Siamo giovani per sempre: è questa la sensazione e l’augurio che ci si porta con sé uscendo dalla mostra della galleria Viasaterna dedicata Marion Baruch. L’artista, nata a Timisoara quasi un secolo fa (nel 1929), da decenni ha scelto di vivere e lavorare in Italia, più precisamente a Gallarate. Questa nuova esposizione è incentrata sulle opere tessili degli ultimi dieci anni di produzione di Baruch, un periodo che abbraccia la produzione dal 2012 al 2023 e include diverse opere mai mostrate prima.
Tra queste, emergono lavori come Teatro e Teatrino del 2013, ispirati all’architettura scenica, ma anche opere più recenti come Schwerkraft del 2018 e l’inedita Oranjegekte, Follia Arancione! del 2023. Il percorso espositivo si chiude con Meccanismi di precisione per sculture del 2022, una serie inedita in cui frammenti di tessuto sono sospesi in teche aperte, creando dialogo con lo spazio circostante.
Un elemento distintivo nel processo creativo di Baruch appare così l’atto di titolazione di ogni opera. Questo arriva alla fine del processo creativo e risulta essere intriso di richiami alla memoria e di riflessioni sull’attualità, contribuendo a plasmare l’identità unica di ogni creazione. Nei titolo c’è tutta l’artista che, poliglotta e aperta a diverse culture, manifesta e rimarca sempre la sua visione sfaccettata e cosmopolita.
Se con gli anni l’arte di Marion Baruch si è ammorbidita nella sua forza e nel suo significato, perdendo il profondo interesse per l’impatto sociale degli esordi, stupiscono l’instancabilità e il “bisogno” di creatività che impediscono all’artista di rimanere con le mani ferme, anche alla soglia dei cent’anni, anche se si è costretti a vivere in una casa di cura.
Nel suo nuovo studio, vicino alla struttura che la ospita, assistita dai parenti più cari, l’artista continua a dare vita a installazioni tessili, realizzate a partire dagli scarti delle aziende della zona, che per lo più confezionano abiti prêt-à-porter. Il tessuto è così uno dei fili che collega le performance sociali dei decenni passati – uno su tutti l’Abito-Contenitore del 1970 nel quale l’artista si immergeva e nascondeva mentre passeggiava per le vie dello shopping di Milano – alla ricerca artistica più recente.
In queste ultime opere l’artista non scompare più nell’abito, ma nella materia tessile, dal momento che il vero autore è sempre più la forza della gravità. Il gesto di Marion si è fatto minimale e consiste soprattutto nella ricerca e selezione dello scarto dalle forme giuste, che l’artista non modifica, se non nel modo di affissione e di composizione. In fondo la “nuova” arte di Baruch risiede proprio nel sapersi meravigliare e vedere oltre le piccole cose di tutti i giorni: come un bambino che gioca con ciò che trova, anche senza giocattoli, l’artista realizza opere – quasi ready-made – adattandosi alle condizioni determinate dall’avanzare dell’età, ovvero quasi senza compiere gesti.
L’arte può così anche essere il riuscire a trasferire agli altri il proprio sguardo diverso e innovativo. Tutto ciò si manifesta in opere ludiche, in cui si rintraccia un forte e inedito piacere per la decorazione e il disegno nello spazio, che fa (ri)emergere un tratto grafico scultoreo, derivante dall’esperienza e dallo studio della pittura.
L’approccio al tessuto non cela alcuna critica urlata al consumismo, quanto il compiacimento di vedere, a differenza degli altri, del bello in ciò che è uno scarto per i più. Curioso constatare come il nero, tanto amato dall’artista, lasci spazio e quasi compensi le tribulazioni quotidiane con colori sgargianti dall’azzurro all’arancione. Le opere tessili di Baruch, sfidando le definizioni convenzionali di pittura e scultura, svolgono una duplice funzione: preservano ciò che è destinato a scomparire e ad essere smaltito, celebrando al contempo la fragilità della materia e in fondo dell’intera esistenza umana.
Capiamo perciò come il nuovo attore delle opere sia infine il vuoto, grande protagonista dell’arte contemporanea degli ultimi settant’anni. Alla fine della propria esperienza, forse, quello c’è al di là del tangibile assume una dimensione diversa e imprescindibile: non a caso le famose Attese (i “tagli”) che Fontana realizzò alla fine della sua esistenza, sembrano essere le vere fonti di ispirazione per questa opera che vive di luci, ombre e colori al di là della materia dell’opera stessa.