Da quando abbiamo tutti smesso di capire il mondo, neanche i fondamentali sono più tali. Il figlio d’un’amica va alla scuola canadese, non sa niente di cattolicesimo, l’anno scorso le ha chiesto se Gesù avesse dei fratelli.
Sentendomi grandemente superiore, quando lei mi raccontò del puccettone ignaro del catechismo mi precipitai a metterlo in un capitolo del libro che stavo scrivendo, a dire quanto ai giovani d’oggi manchino le basi, conoscono i nomi dei Pokémon ma non sanno niente della Trinità. Non avranno neanche il gusto di crescere mangiapreti come noialtri che a scuola abbiamo imparato le preghiere in latino.
Però martedì è successa una cosa che ha fatto sbarellare le mie certezze. Certezze che ho maturato ormai da un po’ di anni, anni culminati nell’elezione di Stefano Bonaccini alla presidenza della regione Emilia Romagna.
Ogni tanto la mia amica C. mi dice: ti ricordi quella domenica? Certo che me la ricordo. Ero per coincidenza a Bologna, a vedere lo spettacolo di Gianni Morandi al teatro Duse, Salvini era andato a citofonare a un tizio al Pilastro chiedendogli se spacciasse, si parlava delle Sardine da vive, e dopo il Morandi pomeridiano andai a cena con le mie amiche.
C. beveva acqua perché faceva il dry January, uno dei portati più imbecilli dell’americanizzazione del mondo. Da un po’ di anni, hanno tutti questa fissazione di non bere alcolici a gennaio. Per compensare gli stravizi natalizi, perché s’illudono di morire sani, perché non hanno letto Susan Sontag: «Mi sono sempre identificata con la Signora Stronza Che Si Autodistrugge», scriveva ventisettenne, avendo la fortuna d’avere ventisette anni negli anni Sessanta, mica in questo tempo d’illusioni salutiste.
A gennaio di quest’anno io e C. siamo andate a cena, lei ha bevuto mezza bottiglia di vino, io le ho chiesto ma una volta non facevi il dry January, e lei mi ha ricordato che l’ultimo gennaio senza alcolici era quello che includeva quella domenica dopoteatro, quella cena in cui io invano le dicevo ma bevi un bicchiere di vino e poi allunghi di un giorno l’astinenza a febbraio, cosa cambia.
Lei, tenace, non cedette, e quello che non bevve sarebbe stato non dico l’ultimo bicchiere di vino con le amiche ma quasi: era il 26 gennaio del 2020, e un mese dopo sarebbe cominciato lo stillicidio dei ristoranti chiusi e della clausura pandemica. Nessuno toglierà a C. la convinzione che a portare sfiga a tutti noi sia stato quel gennaio senza alcolici.
Poi però, martedì scorso, Giorgia Meloni va a parlare davanti ai corrispondenti della stampa estera. Fa un elenco di recenti sfighe e dice «sto pure facendo la Quaresima, e non posso neanche affogare i miei dispiaceri nell’alcol». No, un attimo. No, ma in che senso. Io ho studiato dalle suore e poi dai preti e poi di nuovo dalle suore. Io so le preghiere in latino. A me questa cosa della Quaresima come madre di tutti i dry January non me l’ha mai detta nessuno.
Google, rifugio degli ignoranti, dice che in Quaresima non si mangia la carne, si digiuna il venerdì, c’è una distinzione tra digiuno e astinenza che non riesco a capire ma già mi sta salendo un languorino, poi finalmente trovo un articolo di Avvenire. Il martedì grasso si chiama così perché è il giorno prima del mercoledì delle ceneri, quando iniziano le astinenze quaresimali, e quel giorno bisognerebbe quindi consumare tutti i cibi grassi in casa, come quando il giorno dopo cominci la dieta (Avvenire non fa queste similitudini, figuriamoci, ma se qualcuno a catechismo mi avesse spiegato la Quaresima così magari l’avrei memorizzata e non starei guglando come un’ignorante quarant’anni più tardi).
Da nessuna parte trovo riferimenti agli alcolici (siccome Google è il regno del presentismo, è ormai inutile cercare assieme Quaresima e alcol: escono centinaia di articoli sul discorso della Meloni). Però mi pare sensato che, se c’è un periodo di sobrietà alimentare, non si abolisca il filetto tenendo il Barolo. Incidentalmente, dice Google che, nel 2010, l’arcivescovo di New Orleans ha detto che la carne di lucertola si può mangiare perché è pesce: se lo viene a sapere Lollobrigida, gli piglia un coccolone.
In un articolo di Famiglia Cristiana l’autore si lamenta che quando fa il digiuno quaresimale c’è sempre qualcuno che gli dice che non bisogna saltare i pasti, che la colazione è fondamentale, e tutte le altre obiezioni note a chi non sa neanche le date della quaresima ma ben conosce quell’altra americanata che è il semidigiuno (cioè: il lasciar passare sedici ore tra un pasto e l’altro, saltando quindi o la cena o la colazione).
Il digiuno, mi dice Famiglia Cristiana, ci deve portare all’«amore verso il Signore, cosicché la fame fisica sia memoria della nostra fame di lui, della nostra “povertà in spirito” (cfr. Matteo 5,3)». Ma quindi forse basta non bere costosi whisky torbati ma vini da poco, no? Cioè devi sacrificarti, mica diventare astemia a tempo determinato.
Altrove leggo che, diversamente dagli ortodossi orientali che si astengono da vino e olio, i cattolici hanno sì digiunato ma mai rinunciato al vino per ragioni di salute: «Un po’ di vino aggiunto all’acqua uccide i patogeni dell’acqua, e la birra a basso contenuto di alcol conteneva alcol sufficiente da eliminare i germi ma non abbastanza da intaccare le capacità lavorative».
Quindi la superstizione della mia amica C. non è superstizione ma considerazione scientifica. È stato per quello, che ci è toccata la pandemia. Perché, con tutti gli smaniosi che facevano il dry January e non bevevano alcolici indispensabili alla disinfezione, i patogeni e i germi e tutte le schifezze infettive hanno prosperato. Date a C. il Nobel per la Medicina, e per carità offrite subito da bere alla Meloni.