Sembrava che tutto andasse in maniera spettacolare per Giorgia Meloni, fino a ieri. Fonti parlamentari del Partito Popolare europeo hanno fatto sapere attraverso l’Ansa che «una eventuale adesione di Viktor Orbán al gruppo Ecr sarebbe un serio ostacolo per la futura cooperazione del centro-destra nel Parlamento europeo. Sarebbe un grosso regalo alla minoranza liberale e di sinistra e minerebbe l’influenza dell’Ecr sulla direzione della politica dell’Ue». Tutto tra virgolette: di solito, quando la principale agenzia di stampa le usa, vuol dire che si tratta di una fonte autorevole. Non è escluso che sia Manfred Weber, presidente dell’eurogruppo Popolare e leader del Ppe.
Se così fosse, è una botta fortissima per Giorgia Meloni. Appena pochi giorni fa, a margine del vertice straordinario di Bruxelles, Orbán aveva annunciato la sua decisione entrare nella famiglia dei Conservatori. Quindi i futuri europarlamentari di Fidesz si iscriveranno al gruppo di Ecr. Un successo per la leader di Fratelli d’Italia, che da anni fa la corte al sovranista magiaro nonostante i suoi continui veti su decisioni utili al nostro Paese, come quello sull’immigrazione. Orbán aveva fatto fallire a dicembre il Consiglio Ue chiamato ad approvare il bilancio comunitario in cui ci sono otto miliardi per la “difesa” dei confini esterni dai migranti e cinquanta miliardi di aiuti per l’Ucraina. Al vertice europeo della scorsa settimana si è però piegato. Meloni ha vantato la sua moral suasion nei confronti del premier ungherese, precisando che l’ingresso di Fidesz nel gruppo dei Conservatori è rimandato a dopo le elezioni europee.
Non era uno stop a Orbán in perenne contrasto con Bruxelles e il Partito Popolare (nel 2011 lo aveva cacciato dal partito per le violazioni dello Stato di diritto). La stessa premier italiana aveva confidato che la gestione di Orbán per lei rappresenterà un problema, ma anche un’opportunità per risolvere i dossier europei: «Isolare un leader politico non è mai utile». Abbiamo scritto che in questo modo si calava nel ruolo di Miss Wolf, la leader che risolve i problemi. Tutto progettato per il futuro, dopo il voto del 9 giugno, quando si formeranno nuove maggioranze di centrodestra e nuovi equilibri di potere dentro la Commissione. Confermando Ursula von der Leyen. Qualcosa però sarà successo.
L’anatema, filtrato da fonti del Ppe attraverso l’Ansa, mette in difficoltà Meloni. La premier conta sull’exploit elettorale di Fratelli d’Italia, del PiS polacco, di Vox spagnolo e dei futuri eurodeputati ungheresi (oggi sono dodici) per piazzare Ecr come terzo partito europeo. Con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di potere contrattuale. Da quella posizione di forza potrebbe fare la federatrice di una destra europea se Matteo Salvini e Marine Le Pen lasciassero al loro destino i neonazisti di Alternative für Deutschland. Tutto per ribaltare alcune politiche europee, a cominciare dal Green Deal, fare dell’Europa una fortezza anti-immigrazione, contenere il ruolo di Emmanuel Macron e dei governi socialisti di Pedro Sanchez e Olaf Scholz. Avrebbe da Bruxelles e dai rigoristi nordici un occhio di riguardo sui conti pubblici italiani e la possibilità di fare una sfilza di nomine.
Questa indiscrezione dal Ppe potrebbe far saltare i piani di Meloni. Sono chiare alcune cose. Orbán rimane un sorvegliato speciale. È visto come la quinta colonna di Vladimir Putin, un disturbatore anti-europeo seriale. Con un’Europa destinata a essere sempre più sovrana e militarizzata, soprattutto se dovesse capitare la disgrazia di Donald Trump in America, non ci sarà spazio per i tentennamenti. Il colpo di freno alla Sorella di Roma sarà arrivato da Donald Tusk, esponente di peso del Ppe che in Polonia ha sconfitto alle urne il leader dei Conservatori Mateusz Morawiecki. Sarà arrivato anche dai Popolari tedeschi e del nord Europa.
Non è un caso che ieri Manfred Weber nell’aula di Strasburgo abbia detto che Orbán è tornato a casa a mani vuote dall’ultimo vertice europeo e che non gli sia stato consentito di ricattare l’Unione europea. Non è affatto un caso che abbia voluto ringraziare in particolare «la forte leadership di Tusk: ha svolto un ruolo importante e ha mostrato una direzione chiara». Un modo per dire a Meloni di fare molta attenzione.