Il premier ungherese Viktor Orbán non ha preso parte al vertice dei capi di Stato e di governo europei convocato d’urgenza questa settimana dopo i gravi sviluppi nel conflitto in Medio Oriente. L’Ue ha ribadito il sostegno a Israele ma anche la necessità di rispettare il diritto internazionale. Orbán invece ha scelto di farsi rappresentare dal cancelliere austriaco Karl Nehammer, mentre era impegnato a rendere omaggio a Xi Jinping e Vladimir Putin a Pechino al Belt and Road Initiative (Bri) forum, in occasione delle celebrazioni per il suo decimo anniversario.
Il presidente ungherese si è fatto fotografare con il suo omologo russo in quella che è stata la prima stretta di mano tra Putin e un leader europeo da quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022: segno che il Cremlino può ancora contare su qualche amico in Europa.
Il forum ha riunito a Pechino circa venti tra capi di Stato e di governo, per lo più provenienti dai mercati in via di sviluppo del Sud-est asiatico, dell’Asia meridionale, del Medio Oriente, dell’Africa e dell’America Latina.
L’unico leader europeo presente è stato proprio Orbán, che al tavolo con autocrati e leader illiberali evidentemente si trova bene. L’altro Paese dell’Ue ad aver firmato il memorandum con Xi nel 2019, l’Italia, non ha inviato figure di primo piano ma l’assenza del governo Meloni era annunciata dato che Palazzo Chigi sta cercando di abbandonare un programma che, ad oggi, non ha visto concretizzarsi i principali progetti infrastrutturali sostenuti dalla Cina.
Meeting with President Putin in #Beijing. Everyone in Europe is asking the same thing: can there be a ceasefire in Ukraine? It’s crucial for Europe, including Hungary, that the flood of refugees, sanctions and fighting should end! pic.twitter.com/t6Ge0bXatZ
— Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) October 17, 2023
L’amico Putin
Budapest sceglie ancora una volta di isolarsi dal blocco europeo – che nel frattempo sta cercando di rendersi meno dipendente da Pechino – e lo fa in uno dei momenti più delicati sul fronte geopolitico degli ultimi anni.
Orbán continua ad alzare la posta con Bruxelles perché ben consapevole che il suo potere di veto su alcuni temi sensibili come le misure di sostegno all’Ucraina o lo stesso percorso di adesione all’Ue di Kyjiv lo pone in una posizione favorevole (che sia arrivato il momento di rivedere il meccanismo del voto all’unanimità?). La stessa strategia che gli ha consentito di tenere un atteggiamento ondivago sul conflitto scatenato dalla Russia.
Nel corso dell’incontro con Putin, Orbán ha voluto ringraziare Gazprom per il rispetto puntuale dei contratti esistenti e, soprattutto, l’azienda nucleare russa Rosatom (uno dei pochi giganti statali sfuggito alle sanzioni proprio grazie al veto ungherese) che sta costruendo la seconda centrale nucleare a Paks.
Nonostante la guerra totale del Cremlino, infatti, Ungheria e Russia hanno continuato a fare affari e il leader magiaro non ha mai nascosto la propria vicinanza a Mosca: «Siamo riusciti a salvare molto di quello che abbiamo realizzato, a nessuno piace vedere vanificati i risultati del suo lavoro ottenuto in passato per ragioni di cui non ha colpa» ha detto l’ungherese a margine dell’incontro tra sorrisi e strette di mano.
Budapest chiede inoltre da tempo che vengano fermate le sanzioni e anche per questo Putin ha voluto sottolineare il rapporto privilegiato con l’alleato: «Nonostante il fatto che nelle attuali condizioni geopolitiche, le opportunità per mantenere i contatti e sviluppare le relazioni siano molto limitate non può non essere motivo di soddisfazione il fatto che le nostre relazioni con molti Paesi europei si siano mantenute e sviluppate. Uno di questi paesi è l’Ungheria».
Pechino express
La visione comune su alcuni aspetti politici interni come i rapporti con magistratura, opposizione, mezzi d’informazione e Unione europea, ha avvicinato l’Ungheria non solo alla Russia ma anche alla Cina. Queste strette relazioni diplomatiche – che in Europa coinvolgono anche la Serbia di Aleksandar Vučić, pure lui presente a Pechino – si sono poi tradotte in investimenti, nel contesto di una più ampia strategia di soft power da cui Xi Jinping ha ricavato la fedeltà politica dei Paesi a cui ha concesso prestiti agevolati.
Con Orbán il piano del leader cinese ha funzionato e la sua presenza al forum Bri ne è la plastica dimostrazione. L’opera simbolo di questa partnership è la realizzazione di un’infrastruttura ferroviaria ad alta velocità nei trecentocinquanta chilometri che separano Budapest e Belgrado. Il completamento di questa tratta si inserisce in una visione più ampia di Xi che mira a collegare il porto greco del Pireo – già controllato da Pechino – ai Balcani occidentali e all’Europa centrale.
Quando c’era Xi
I lavori sulla linea hanno però subito notevoli ritardi e l’obiettivo iniziale di inaugurarla entro il 2025 sembra essere diventato un miraggio. Così come sembra irrealistico il budget stanziato per la realizzazione dell’opera: 2,1 miliardi di euro finanziati da Pechino per l’ottantacinque percento sotto forma di prestito (di cui però è stato secretato il tasso d’interesse).
I motivi sono diversi: alcuni dipendono da fattori esterni come la pandemia o l’aumento dei costi delle materie prime, altri invece sono imputabili alla Cina come i ritardi nello stanziamento dei fondi necessari, l’assenza di trasparenza e le difficoltà di Pechino nel soddisfare gli alti standard richiesti dallo European train control system.
Il governo cinese però continua a essere ottimista e, anzi, la realizzazione della tratta ferroviaria è solo uno dei progetti che mira a realizzare con Budapest: «Le due parti dovrebbero lavorare per il completamento e l’apertura della ferrovia Budapest-Belgrado nei tempi previsti – si legge nel comunicato del Ministero degli Affari esteri cinese – gestire bene la zona di cooperazione commerciale e logistica dell’Europa centrale, aumentare le dimensioni dell’e-commerce transfrontaliero ed espandere la cooperazione nelle tecnologie dell’informazione e nelle nuove industrie energetiche».
E nei piani di Xi c’è anche l’implementazione degli scambi culturali tra le due nazioni attraverso il «buon uso della piattaforma di centri culturali istituiti nei rispettivi Paesi e l’incoraggiamento dell’insegnamento delle lingue dei due Stati».
Insomma, Orbán sta facendo di tutto per diventare il galoppino preferito di Putin e Xi. Anche perché al momento il presidente magiaro non ha tante alternative. L’inaspettata sconfitta dei nazionalisti in Polonia, principali alleati di Budapest, ha isolato ancora di più l’Ungheria in Europa.
Con Meloni ormai l’intesa è di facciata più che di contenuti: dalla gestione dei migranti ai rapporti con Russia e Ucraina, negli ultimi mesi sono pochi i punti di contatto. L’unico potenziale interlocutore rimasto tra i Ventisette è lo slovacco Fico. Non esattamente una plusvalenza dal punto di vista politico.