Dossieranti & dossieratiIl caso Emiliano è solo l’ultima puntata della nostra telenovela politico-giudiziaria

Maggioranza e opposizione sono strapiene di magistrati che passano sistematicamente dal fare inchieste sulla politica al fare politica con le inchieste. In tutti i partiti e a tutti livelli: Parlamento, governo, regioni e comuni. E si lamentano pure

Mauro Scrobogna/LaPresse

Può darsi che abbia ragione Michele Emiliano, presidente della Puglia ed esponente di primo piano del Partito democratico, oltre che magistrato di lunga esperienza, nel denunciare l’uso politico delle norme antimafia da parte del centrodestra. Ma anche volendo tralasciare la polemica che lo ha investito direttamente, per via dell’incredibile “aneddoto” sull’incontro tra lui, l’allora assessore Antonio Decaro e la sorella di un boss, rimarrebbe comunque aperta una domanda, per Emiliano e per tutto il centrosinistra.

Questa: il rischio di una strumentalizzazione politica si pone soltanto quando al governo c’è la destra e il comune a rischio di scioglimento è guidato dal centrosinistra, o è possibile, in linea puramente teorica, che un simile rischio si sia già presentato e possa ancora presentarsi in altre occasioni, e ci sia dunque qualcosa da sistemare nelle regole, o perlomeno nel modo in cui vengono applicate, e più in generale nell’equilibrio dei poteri?

E ancora: dietro tutte queste polemiche, alimentate ieri anche dalla foto di Decaro insieme ai famigliari del boss di cui sopra, spuntata improvvisamente sulla stampa di destra, c’è solo la normale dialettica politica, o si intravede anche qualcosa di più inquietante e di più losco? C’è o non c’è, insomma, nel rapporto tra magistratura e politica – o meglio: tra magistratura, stampa e politica – un problema che riguarda tanto l’equilibrio dei poteri fissato dalle norme e dalle prassi, diciamo così, regolamentari, quanto l’abuso e la violazione di quelle stesse norme, sistematico e sostanzialmente impunito, come sembrerebbe emergere, per stare solo all’ultimo caso di cronaca, dall’inchiesta sui presunti dossieraggi avviata dalla procura di Perugia?

Perché da tutte queste vicende potrebbe anche venir fuori che ad avere ragione sia anzitutto Carlo Nordio, ministro della Giustizia e antico paladino delle battaglie garantiste (specie quando i diritti da garantire non sono quelli degli immigrati), oltre che magistrato di chiara fama, noto in particolare per le sue inchieste sul Pci-Pds.

Sulla questione dei presunti dossieraggi, infatti, Nordio è stato sin dall’inizio uno dei più netti, tanto da proporre una specifica commissione d’inchiesta, visto anche il trambusto sollevato in Antimafia attorno alla presenza di Federico Cafiero de Raho, vicepresidente della commissione e autorevole esponente del Movimento 5 stelle, oltre che, fino a ieri, procuratore a capo di quella stessa direzione nazionale antimafia al centro del caso.

Fermo restando, va da sé, che potrebbe benissimo avere ragione Cafiero, e i molti giornalisti, politici e magistrati che hanno difeso il suo diritto a presenziare alle riunioni della commissione, a cominciare dal suo collega Roberto Scarpinato, pure lui celebre magistrato antimafia, ora compagno di partito nel M5s; come d’altra parte potrebbe avere ragione chi sottolinea invece la gravità delle parole pronunciate in quella sede, a proposito della Dna precedentemente guidata da Cafiero, dall’attuale procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, che ha detto di aver trovato una situazione «disastrosa», e dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone, che ha definito le dimensioni del problema «mostruose».

In ogni caso tranquillizza sapere che a coordinare la riunione tenuta il 13 marzo a Palazzo Chigi e dedicata al tema degli accessi illeciti alle banche dati informatiche, all’origine di tante misteriose fughe di notizie, ci fosse il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, autorità delegata per la sicurezza della Repubblica ed esponente di punta di Fratelli d’Italia, tornato alla politica proprio con questo governo, dopo una lunga militanza nel centrodestra tra il 1996 e il 2013, anno in cui, deluso prima dal Pdl e poi da Mario Monti, aveva deciso di riprendere il suo primo mestiere. Il magistrato, ovviamente.

Forse però la domanda principale che ciascuna di queste oscure vicende lascia aperta, a proposito dell’equilibrio dei poteri, andrebbe rivolta a tutti quei pm che sui giornali e in tv denunciano quotidianamente oscuri tentativi della politica di mettere loro la mordacchia: con chi ce l’avete, esattamente?

Maggioranza e opposizione sono strapiene di magistrati – in tutti i partiti e a tutti livelli: Parlamento, governo, regioni e comuni – che passano sistematicamente dal fare inchieste sulla politica al fare politica con le inchieste. E si lamentano pure.

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