Questo è un articolo del numero speciale di Linkiesta Paper, pubblicato in occasione del secondo anniversario della guerra in Ucraina. In edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. È ordinabile qui.
Due anni fa, la guerra è tornata nel cuore del nostro continente e in poco tempo ha mutato in profondità il nostro modo di pensare l’Europa stessa, la comunità euro-atlantica e la comunità delle democrazie.
L’Ucraina è entrata a far parte della nostra storia di europei e di occidentali e nelle sue sterminate pianure sta scrivendo un capitolo fondamentale della storia stessa dell’Europa. Bucha, Irpin, Mariupol, le acciaierie Azovstal, Volodymyr Zelensky e il suo «Non ho bisogno di un passaggio, ma di armi»; le campagne per sbloccare le agognate e vitali forniture di armi: i Javelin, i Leopard, gli F-16, gli ATAMCS, i Taurus; la gloriosa resistenza ucraina; la formazione della Coalizione Ramstein; l’attacco russo alle forniture di grano e i rischi di un “Holodomor globale” sventato dall’intelligenza delle start-up ucraine che hanno sfornato decine di modelli di droni aerei e navali che hanno cambiato il corso della guerra. Sono i tanti capitoli di una storia che deve essere ancora compiutamente scritta.
È una storia di donne e uomini liberi che sono insorti contro chi quella storia la voleva riscrivere. Vladimir Putin iniziò una guerra con una “lezione di storia”: Il 21 febbraio del 2022 si rivolse alla nazione per spiegare come l’Ucraina non fosse un Paese con una propria storia, una propria lingua, una propria cultura e una propria identità nazionale e che i quaranta milioni di ucraini non fossero altro che una “variante minore” della gloriosa tradizione russa. Per il satrapo di Mosca, la statualità riconquistata nel 1991 dall’Ucraina non era stata altro che una gentile concessione russa a un Paese in realtà creato da Lenin e Stalin e la cessione della Crimea nel 1954, nient’altro che un regalo di Nikita Khrushchev in un momento di scarsa lucidità.
Peraltro la riscrittura della storia è una costante dei regimi dittatoriali, che per raggiungere lo scopo non esitano a bruciare libri, deportare e sterminare interi popoli, radere al suolo Paesi e culture. Come mi disse una volta Garry Kasparov citando un famoso proverbio in voga durante l’era sovietica: «Noi russi viviamo con un passato imprevedibile».
Riscrivere la storia e negare il diritto a esistere di interi popoli è ciò che accomuna le autocrazie di Russia, Cina e Iran e tale visione strategica condivisa non è soltanto un’astratta narrazione, ma si traduce anche in una concreta cooperazione militare ed economica: i droni iraniani che ogni notte si abbattono sulle città ucraine, i milioni di proiettili nordcoreani forniti a Mosca con il beneplacito di Pechino, le esercitazioni militari congiunte nello stretto di Hormuz di queste settimane fra le forze navali dei tre Paesi, descrivono un Asse delle Autocrazie che è già una realtà.
La negazione del diritto di esistere di Ucraina, Israele e Taiwan viene perseguita con ogni mezzo, a cominciare da un progetto speculare di esportazione sistematica di instabilità e insicurezza in Europa, Medio Oriente e Asia.
L’Iran degli ayatollah persegue da trent’anni un disegno criminale di lungo periodo di riscrittura della storia del Medio Oriente, fondato innanzitutto sulla negazione del diritto di esistere di Israele: la narrazione, ripetuta in modo ossessivo dalla guida suprema Ali Khamenei, sulla necessità di “estirpare il cancro sionista” e sulla indifferibile necessità di liberare la Terra Santa dalla presenza ebraica “dal fiume fino al mare”, sono la cornice strategica dentro la quale si è collocato il pogrom del 7 ottobre scorso nel Sud di Israele.
La Cina di Xi Jinping ha cambiato nome del Tibet in Xizang, incurante della millenaria e autonoma tradizione di un Paese occupato da Pechino soltanto sessantacinque anni fa. E, dopo avere cancellato la città-libera di Hong Kong e incarcerato due milioni di uiguri in campi di concentramento, esporta instabilità in tutta l’Asia orientale con le continue minacce militari a Taiwan e con l’occupazione illegale di una porzione enorme del Mar Cinese Meridionale.
E in questo 2024 nel quale due miliardi di esseri umani in tutto il pianeta sono chiamati al voto in India, in Europa e negli Stati Uniti è fondamentale non commettere più gli errori del passato: l’appeasement nei confronti dei regimi, delle dittature, del terrorismo non serve a rendere più ragionevoli i regimi stessi, ma li legittima e li rafforza e la resa al nemico come strumento per la ricerca della pace, insieme alla pretesa furbesca di accondiscendenza con i dittatori in cambio di presunta stabilità e sviluppo, non riducono i rischi di nuove guerre, ma ne accrescono la possibilità.
Continuare a sostenere la guerra di liberazione dell’Ucraina, impedire che la storia venga riscritta in modo arbitrario dal satrapo di turno, promuovere la democrazia e lo Stato di diritto, sono gli obiettivi primari che una non più rinviabile Alleanza globale fra le democrazie dovrà porsi nei prossimi anni.
Questo è un articolo del numero speciale di Linkiesta Paper, pubblicato in occasione del secondo anniversario della guerra in Ucraina. In edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. È ordinabile qui.