L’incontro svoltosi a Berlino tra Emmanuel Macron, Donald Tusk e Olaf Scholz potrebbe inaugurare una nuova fase del sostegno europeo all’Ucraina. Il summit arriva infatti in un momento complesso per la situazione sul campo, con le linee del fronte rimaste sostanzialmente invariate dopo la controffensiva estiva ucraina e il successivo proseguimento dell’attacco russo, che ha visto nuovi guadagni territoriali anche a causa della carenza di munizioni che affligge Kyjiv e a cui, per ora, Stati Uniti e Unione Europea non hanno posto rimedio.
Proprio questa situazione, nelle scorse settimane, ha spinto Macron a un nuovo protagonismo, affermando la necessità di rinvigorire il supporto europeo all’Ucraina, che viene visto come elemento necessario per la sicurezza dell’Europa intera, e arrivando a non escludere l’invio di truppe sul campo. Preso atto, dunque, del fallimento della linea tenuta all’inizio del conflitto, quando la Francia si poneva come possibile mediatrice, Macron sposta in maniera netta Parigi tra i più convinti sostenitori di Kyjiv. Una novità motivata anche dal bisogno tutto interno di contrapporsi a Le Pen, i cui rapporti con Mosca sono stretti, ma che non va sottovalutata o derubricata, perché potenziale spartiacque della gestione europea della questione.
Proprio per questo motivo, lo scontro con la Germania si è acuito: mentre Macron rilancia l’urgenza di agire, Scholz appare tentennante (come spesso succede dall’inizio del conflitto) e forse non del tutto disposto a prendere atto che la situazione attuale è qualcosa di nuovo, non leggibile come nei primi due anni di guerra.
Il meeting di Berlino tra Francia, Germania e Polonia nasce prima di tutto dal bisogno di rinnovare l’intesa dei tre Paesi del triangolo di Weimar in materia di sicurezza e cooperazione, e ricucire almeno in parte la frattura creatasi a seguito dello scontro tra Macron e Scholz, dopo le accuse del primo verso il secondo di non compiere nessun vero passo decisivo per continuare a sostenere l’Ucraina in maniera adatta alla nuova situazione. Le dichiarazioni finali del meeting, vaghe e senza possibilità di domande da parte dei giornalisti, tradiscono però il fatto che non tutti i conflitti sono sanati.
I diversi accenti europei sono rispecchiati del resto anche nel fondo di assistenza all’Ucraina concordato a livello europeo la settimana scorsa, il cui funzionamento è sostanzialmente un monumento all’attuale incapacità europea di agire in maniera decisiva verso Kyjiv. Il fondo, infatti, si aggiunge allo European Peace Facility e ammonta a cinque miliardi di euro: cifra di per sé già a stento sufficiente, per giunta resa praticamente simbolica dalla regola per la quale i Paesi europei potranno contabilizzare come contributi al fondo gli aiuti bilaterali all’Ucraina, di fatto utilizzando questi come un’esenzione. Il fatto che sia stata proprio la Germania a combattere per questa regola rende evidente le difficoltà di Berlino nel realizzare i rischi connessi al contesto attuale.
In questo scenario, vale la pena notare l’assenza dell’Italia. Se il governo Meloni è stato finora chiaro nel proseguimento della linea Draghi di sostegno all’Ucraina, ottemperando agli obblighi decisi a livello europeo e atlantico, è altrettanto vero che la situazione di conflitto tra Francia e Germania ha creato le condizioni per un inserimento dell’Italia nella cabina di regia della risposta europea alla fase di stallo, ma né dalla presidente del Consiglio né dal ministro degli Esteri sono venute mosse in tal senso.
Ritagliarsi un ruolo più centrale sarebbe stato cruciale per aumentare l’influenza e la capacità d’azione del nostro Paese tra i partner occidentali, e a nulla serve l’obiezione per la quale il triangolo di Weimar è un format consolidato, risalente al 1991: non c’è nessun motivo reale per cui l’Italia non possa sedersi al tavolo con Francia e Germania, specie dopo la firma del Piano d’Azione italo-tedesco, che completa una triade di accordi bilaterali tra i tre più grandi Paesi UE, e che prevede anche una più stretta cooperazione in difesa e sicurezza.
I prossimi mesi saranno decisivi non solo per la resistenza di Kyjiv, ma anche per il proseguimento di un progetto di sicurezza comune a livello europeo. Se l’UE sarà in affanno, starà ai maggiori Paesi trainare il dibattito e le azioni conseguenti. Al di là della capacità di Macron di dare concretezza al ruolo che sta provando ad attribuirsi, la situazione chiamerà necessariamente in causa l’Italia, che dovrà farsi trovare pronta.