Da ormai quasi un anno, la guerra nelle regioni ucraine occupate dalla Russia è diventata statica, al punto che i soldati passano gran parte del tempo tra un attacco e l’altro scavando trincee. Le truppe di Kyjiv in prima linea hanno anche trovato un nuovo motto da qualche mese: «Se vuoi sopravvivere, scava», come racconta anche Luke Mogelson per il New Yorker. Nei primissimi mesi dell’invasione, l’esercito ucraino era riuscito a ottenere numerosi successi con le sue controffensive: a settembre 2022, le forze militari ucraine hanno sfruttato l’errore di Vladimir Putin di spostare una parte massiccia delle sue truppe a sud del Paese a difesa di Kherson (dove pareva che si sarebbero concentrati i contrattacchi degli occupati) per riprendersi la regione di Kharkiv. La controffensiva è poi davvero avanzata verso il fronte meridionale, e Kyjiv è riuscita a riconquistare Kherson.
In meno di sei mesi, l’Ucraina ha recuperato circa dodicimila chilometri quadrati nella regione di Kharkiv e altri cinquemila a Kherson; circa un anno dopo, a luglio 2023, Antony Blinken ha detto in un’intervista che la controffensiva si era ripresa la metà dei territori occupati dall’inizio della guerra. Con il passare del tempo, però, la situazione è cambiata. Nelle zone dove il conflitto è costantemente attivo –quelle, cioè, che la Russia ha annesso illegalmente al suo territorio, Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, al confine orientale tra i due Stati – è in corso una guerra di logoramento, combattuta sulle linee difensive scavate a mano dai militari.
Il malcontento, già forte nelle trincee, è poi esacerbato da una cattiva gestione dei fondi statali da parte del governo centrale, almeno secondo i soldati, nonostante l’annuncio dello stanziamento di cinquecento milioni di dollari per rinforzare le fortificazioni già presenti al confine russo. L’idea preponderante tra il personale militare – anche allontanandosi dal fronte, tra i membri delle unità di difesa dell’oblast’ di Kyjiv – è che i fondi vengano utilizzati per costruire infrastrutture nella parte occidentale del paese che al momento non dovrebbero avere la priorità.
I soldati denunciano poi la mancanza di squadre di ingegneri militari con cui collaborare e di macchinari che possano aiutare a velocizzare gli scavi. Sulle trincee, infatti, non arrivano sufficienti attrezzature dalla capitale, né personale specializzato, che semplifichino la costruzione delle barricate. I militari quindi sono costretti a scavare con delle semplici pale – un processo lungo e che li lascia esposti a droni e sensori termici russi.
La vita in trincea mette ovviamente a dura prova l’umore e il fisico dei soldati per diversi motivi. Una situazione particolarmente difficile da gestire è il dover convivere con frotte di ratti: questi animali prosperano nelle condizioni create dalla guerra. Poiché i contadini non possono più curare molte zone coltivate dall’inizio della guerra, i roditori hanno trovato nuove fonti di sostentamento e si sono moltiplicati. Considerando poi che negli ultimi anni le temperature sono state piuttosto miti anche durante l’inverno, e quindi i prodotti agricoli non sono gelati diventando una fonte di sostentamento bella e pronta per gli animali, il numero di ratti è aumentato a dismisura.
I topi sono un enorme problema per due motivi principalmente: diffondono malattie dove le condizioni igieniche sono già estremamente compromesse a causa dell’umidità e della sporcizia che ristagnano nelle trincee e contemporaneamente rovinano le poche risorse elettroniche e militari a disposizione sul fronte.
Le risorse sono scarse perché come viene costantemente sottolineato, in Ucraina le munizioni scarseggiano in maniera sempre più critica, al punto che gli ordini sono di non sparare a bersagli composti da uno o due soldati nemici. Ovviamente, i russi hanno trovato il modo di sfruttare al massimo queste direttive e, per conquistare le postazioni ucraine, hanno iniziato a far avanzare i propri militari a due a due fino a che non riescono a sopraffare numericamente i loro avversari.
Le criticità legate alla quantità di munizioni a disposizione, comprese quelle di artiglieria, hanno chiaramente a che fare (anche) con i ritardi negli aiuti finanziari che dovrebbero arrivare da Europa e Stati Uniti. Il nuovo pacchetto di finanziamenti di Washington, che ammonterebbe a sessanta miliardi di dollari, è bloccato da più di due mesi a causa dello scontro al Congresso fra Repubblicani e Democratici che agglomera la questione ucraina e quella della sicurezza interna (su cui i due partiti non riescono a trovare un accordo). Rispetto al 2022, comunque, anche i dem sembrano aver cambiato almeno parzialmente rotta: se Joe Biden aveva spesso affermato che gli Stati Uniti avrebbero sostenuto Kyjiv «per quanto necessario», lo scorso mese ha ridimensionato l’assunto a un «per quanto possibile».
I ritardi oltreoceano preoccupano anche l’Europa, in particolare la Germania, che a oggi è il secondo finanziatore delle forze armate ucraine. La posizione del cancelliere Olaf Scholz riguardo gli aiuti all’Ucraina è a dir poco ambigua: se da una parte esercita una costante pressione sui membri dell’Unione europea affinché contribuiscano maggiormente allo sforzo bellico, dall’altra è l’autore dietro la controversa decisione di non fornire missili cruise a Volodymyr Zelensky per paura di «essere trascinato in guerra».
Un paese europeo che invece sceglie di seguire una linea ben più pragmatica è la Repubblica Ceca. Praga è infatti riuscita a raccogliere i fondi necessari, con l’aiuto di altri quindici membri Unione, per distribuire entro i prossimi quattro mesi almeno quattrocento mila proiettili. Questa risoluzione viene presentata dopo una precedente dichiarazione dell’Unione riguardo la consegna a Kyjiv di un milione di munizioni entro la fine dell’anno, la quale era in realtà precedentemente stata programmata per marzo e dimostra la volontà di alcuni membri di accelerare sugli aiuti al fronte.
Intanto la guerra procede ogni giorno e all’Ucraina servono diversi tipi di attrezzature, soprattutto a chi sta in trincea. È necessario fare in modo che i nemici non riescano a individuare i movimenti dei soldati ucraini: servono per esempio reti mimetiche e altri strumenti che ostacolino i sensori termici russi. Poi, sono fondamentali macchinari per velocizzare la costruzione di postazioni di tiro sulle trincee in modo da eludere la videosorveglianza dei droni di Mosca. E ancora, servono mezzi corazzati per il trasporto del personale, carri armati che possano essere manovrati negli spazi stretti tra le barricate e attrezzature tecniche per lo sminamento.
Per Kyjiv, insomma, è cruciale che l’Occidente prenda una decisione coerente e soprattutto veloce. O, per citare Frederick Kagan, ex docente di storia militare all’Accademia militare degli Stati Uniti, l’Ucraina ha bisogno di armi e non di discussioni su quali ricevere.
Gli aiuti, oltre che a sostegno dell’industria bellica, dovranno essere indirizzati in un secondo momento anche a operazioni di tipo ambientale, dal momento che il conflitto sta avendo un costo estremamente alto anche in questo senso. Ce lo ricordano i tanti eventi critici avvenuti negli ultimi due anni, come l’esplosione della diga di Kakhovka il 6 giugno 2023, ma anche la distruzione di ettari di foreste in un territorio che era considerato la patria della biodiversità europea. Il lato positivo, a cercarne uno, sta nel fatto che le trasformazioni a cui è sottoposto l’ambiente potrebbero, in futuro, dare vita a luoghi da cui partire per la restaurazione ecologica dell’Ucraina al termine del conflitto. Così facendo diminuirebbe l’impatto delle sostanze nocive che si stanno disperdendo nel terreno, nell’aria e nell’acqua. E sarebbe vantaggio non solo per l’Ucraina, ma anche a tutti gli Stati confinanti.