Riformismo evanescenteL’idea di una revisione dei trattati europei non ha futuro

La risoluzione approvata dal Parlamento Ue lo scorso novembre è scomparsa dai programmi post-elettorali di tutti i maggiori partiti. Così, diventa necessario esplicitare i rischi che porta l’immobilismo intergovernativo

LaPresse

Il voluminoso rapporto sul da farsi dopo le elezioni che era stato approvato con una ristretta maggioranza dal Parlamento europeo il 22 novembre 2023 con l’obiettivo di avviare – per la prima volta dal 2009 – la procedura per la revisione dei trattati è sostanzialmente scomparso dall’agenda europea.

Non ne parlano i manifesti dei partiti europei in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024 approvati dai loro congressi, o meglio, non ne parla il partito dei popolari, i cui parlamentari si opposero a maggioranza il 22 novembre a quel rapporto, costringendo tuttavia gli altri gruppi ad accettare in sede di emendamenti compromessi fortemente riduttivi rispetto all’ambizione iniziale della Commissione affari costituzionali.

Non ne parlano i socialisti, che si espongono in modo articolato sulle politiche (policies) ma non sul modo in cui attuarle (politics) per nascondere le divergenze fra europeisti convinti ed europeisti tiepidi se non euro-nazionalisti.

C’è silenzio anche da parte dei liberali, che esprimono un teorico atto di fede verso un’unione sempre più stretta (dixi et salvavi animam meam) e tacciono sul metodo e sui tempi per realizzarla, tradendo così l’impegno del liberale Guy Verhofstadt spesosi a favore della Convenzione come provvisorio risultato della sua presidenza belga del Consiglio con la Dichiarazione di Laeken a dicembre 2001. Convenzione tracollata prima per la decisione dei governi di trasformare il già modesto trattato-costituzionale in un indecifrabile ermafrodita e poi con i referendum francese e olandese.

E poi è sparito dal programma dei Verdi, che scelgono invece di uscire dal cul de sac in cui si è infilato il Parlamento europeo e chiedono di aprire le porte del labirinto della Convenzione per favorire la via più diretta del processo costituente.

Non vale la pena di parlare del manifesto delle sinistre europee paralizzate dal contrasto fra la maggioranza di sovranisti, che rigettano per ragioni ideologiche il passato e il presente dell’Unione europea e ritengono invece che il futuro dell’Europa debba essere affidato all’improbabile vittoria del socialismo radicale a livello nazionale, e una esigua minoranza di federalisti fedeli al messaggio del Manifesto di Ventotene.

Non si può naturalmente parlare dei mai concepiti e mai nati manifesti dei seguaci dell’Europa confederale delle Nazioni uniti o piuttosto disuniti nei “conservatori e – chissà perché – riformisti” e dei sovranisti puri e duri con forti pulsioni di estrema destra che appartengono nel Parlamento europeo al gruppo Identità (nazionale) a cui si accompagna grottescamente la parola Democrazia sapendo che gli uni e gli altri contestano il metodo sovranazionale dei candidati di punta (Spitzenkandidaten) alla presidenza della Commissione europea.

Non parla del rapporto del 22 novembre neppure la comunicazione di Ursula von der Leyen del 20 marzo 2023 sulle conseguenze dell’allargamento per le riforme interne. La ormai candidata di punta del Ppe alla sua conferma dimentica il retorico «è venuto il momento della Convenzione», lanciato nell’emiciclo di Strasburgo nel lontano 15 settembre 2022 e confermato con l’impegno che preso con il Parlamento europeo a gennaio 2024 di presentare entro la fine di febbraio una roadmap sul futuro dell’Europa, data la scelta della Commissione di condividere la scelta dei governi di garantire l’efficacia del funzionamento dell’Unione europea ampliata a trattati costanti.

Infine, non ne parlano i governi che, divisi ormai su quasi tutto – come è apparso nell’inconcludente Consiglio europeo del 21 e 22 marzo –, sono d’accordo sull’idea di impedire l’apertura del vaso di Pandora della revisione dei trattati attraverso la Convenzione. Gli Stati piccoli, infatti, vogliono mantenere il potere di veto e un commissario per Paese, mentre i cosiddetti frugali sostenuti dalla Germania non vogliono cambiare le regole del bilancio, e gli euro-nazionalisti non vogliono affidare maggiori competenze all’Unione europea. La Francia, poi, non vuole rinunciare alla sua gollista force de frappe in politica estera e di difesa.

Cosicché i ministri degli affari europei hanno predisposto il 19 marzo le conclusioni del successivo Consiglio europeo del 21 e 22 marzo ripetendo la formula scritta dai diplomatici e dal segretariato del Consiglio che chiude definitivamente la porta alla riforma del Trattato di Lisbona.

Bisogna preparare il terreno, coinvolgendo singoli candidati e le reti della società civile, affinché denuncino i rischi dell’immobilismo intergovernativo e diplomatico – che sarebbe comunque inevitabile se, per ipotesi assurda, si creasse nel Consiglio europeo una maggioranza semplice di capi di Stato o di governo favorevole alla procedura ordinaria dell’articolo 48 TUE – e creino le condizioni per l’avvio di un processo costituente dal basso con l’insurrezione pacifica di assemblee di cittadine e di cittadini nelle istituzioniparlamentari nazionali ed europea. Parallelamente è necessario che promuovano la convocazione di una nuova Conferenza sul futuro dell’Europa che abbia al suo centro un modello di democrazia partecipativa e di assise interparlamentari aperte ai rappresentanti dei paesi candidati e dei poteri locali e regionali.

In questo quadro appare necessario convocare due contro-Vertici in occasione della quarta (18 luglio 2024, Regno Unito) e della quinta (7-8 novembre 2024, Ungheria) riunione della Comunità Politica Europea. I temi all’ordine del giorno devono essere pace, democrazia e giustizia sociale. Ancora, dovrà essere sollecitata l’assemblea del Forum della società civile di Marsiglia dal 25 al 27 aprile per l’approvazione di questa proposta.

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