Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu affronta in questi giorni una grave crisi politica interna proprio nel momento del suo massimo isolamento internazionale, dopo la decisione di Joe Biden di lasciare approvare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la risoluzione che chiede un immediato cessate il fuoco a Gaza. Richiesta peraltro non subordinata al rilascio degli ostaggi israeliani che pure viene richiesto.
Uno schiaffo degli Stati Uniti al premier israeliano, una decisione senza precedenti negli ultimi cinquant’anni, che indebolisce grandemente il Paese sulla scena internazionale e che aggrava le tensioni del gabinetto di guerra e anche del governo, la cui maggioranza rischia peraltro di deflagrare a seguito di una rovente crisi interna.
Crisi innescata dalla questione dell’esenzione dal servizio militare degli haredim, i religiosi ultraortodossi, che sono quasi un milione e trecentomila sui sette milioni di ebrei israeliani. Per una decisione presa a suo tempo da David Ben Gurion, gli haredim sono esentati dal servizio militare, eccezion fatta per alcuni piccoli contingenti, ma sulla base di una legge recentemente cassata dalla Alta Corte di Giustizia.
Tale esenzione riguarda il diciotto per cento dei giovani richiamati per il servizio militare e da anni è contestato dalla società laica israeliana. È diventato poi ancora più impopolare e scabroso in questi mesi di guerra per la sicurezza di Israele, durante cui sono morti a Gaza duecentoventitré soldati israeliani, che si aggiungono ai trecentocinquantanove soldati uccisi nel tentativo di contrastare il pogrom del 7 ottobre, e alle migliaia di feriti. Ma il privilegio è garantito dal golden share che i partiti religiosi hanno sulla maggioranza di governo. Senza il loro appoggio e il loro voto, vincolato anche al mantenimento dell’esenzione dal servizio militare, il governo cade.
Il problema è che l’intenzione di Netanyahu di promulgare una nuova legge per ribadire l’esenzione dal servizio militare per gli ultraortodossi provoca la reazione di Benny Gantz, il quale annuncia che, se questa legge fosse votata dalla Knesset, lui si dimetterebbe dal Consiglio di Guerra: «La gente non lo tollererà, la Knesset non potrà votare a favore, e io e i miei collaboratori non potremo far parte di questo governo di emergenza se questa legge passerà. Approvare una legge del genere significherebbe oltrepassare una linea rossa in tempi normali, e durante la guerra è come sventolare una bandiera nera, non saremo in grado di guardare negli occhi i combattenti né all’interno dei nostri confini né e al di fuori per chiedere loro di estendere il loro servizio». Non solo, anche il ministro della Difesa Yoav Gallant si è espresso nettamente contro la nuova promulgazione.
Dunque, se Netanyahu decide che la sua priorità è salvare la maggioranza e cede alle richieste dei partiti religiosi, ci sarà l’uscita di Benny Gantz. Salterà poi il Consiglio di Guerra e quindi l’unità nazionale contro Hamas.
La salvezza del governo a ogni costo è la priorità del Primo ministro. Infatti, ha presentato una legge sul servizio militare degli ultraortodossi che sostanzialmente preserva i privilegi, a tal punto che è stata criticata anche da molti esponenti del suo partito, il Likud.
Il governo sta dunque attraversando una fase tesissima sia sul fronte internazionale sia su quello interno, che evidenzia un dato gravissimo per Israele: Netanyahu dimostra di non avere assolutamente la caratura, il carisma, la visione strategica di un leader che guida una nazione in guerra.
Traspaiono palesemente la sua volontà di mettere al primo posto la sopravvivenza al potere, e solo al secondo gli interessi strategici del Paese. Così come emergono la sua mancanza di visione, la sua arroganza, il suo cinismo, addirittura la sua scarsa empatia col suo stesso popolo.
Sono impietosi i paragoni con i grandi leader delle guerre di Israele del passato: Ben Gurion, Moshé Dayan, Golda Meir, Yitzhak Rabin, Ariel Sharon. La leadership inadeguata del premier è un problema drammatico per Israele nell’ora più difficile della sua storia.