La linea da seguire nei media generalisti per le cronache di questo 25 aprile è quella del profilo basso: è andato tutto bene, la sacralità della giornata in fin dei conti non è stata sporcata. Il resto sono ragazzate: a Milano ci sono dieci adolescenti nordafricani che escono dal McDonald’s, aggrediscono e bloccano la Brigata Ebraica, mentre a pochi metri, in area Duomo, stanno parlando le autorità e gli islamofascisti del movimento pro Palestina si appendono alle transenne. I maranza, le seconde e terze generazioni, i ragazzi che trappano il disprezzo nelle banlieu milanesi, colgono di sorpresa il corteo perché non fanno parte dei manifestanti ufficiali pro Palestina. È la Stella di David a far scattare la molla, per loro quelle bandiere biancoazzurre sono una provocazione, e partono gli insulti. Poi partono i calci, poi un adolescente scalmanato estrae il coltello e si mette a tagliare lo striscione della Brigata. Ma evidentemente bisognava far assaggiare quella lama a un ragazzo di nome Davide. C’è infatti un parapiglia, dentro ci sono i volontari dei City Angels che erano di scorta al corteo. E l’aggressione riparte. Il giovane filo palestinese si scaglia contro il giovane Davide in carne e ossa, brandendo il coltello. La ferita è superficiale anche se lunga dieci centimetri, ma la linea è sempre che so’ ragazzi.
So’ ragazzi che la polizia ferma, intanto che si guardano i video per individuarne altri e chiudere la faccenda. Alla fine sì, la faccenda si chiude con nove denunciati per istigazione all’odio razziale, che poi è il reato più comune su facebook, una sorta di sette in condotta ma meno grave perché non ti bocciano a scuola.
Non fanno paura a nessuno, quindi, sono sbandati maggiorenni e minorenni, tutti nordafricani di seconda e terza generazione, senza alcuna sponsorizzazione politica o adesione a circoletti attenzionati. Descritti quasi come paninari di ritorno che stazionano al fast food, un po’ di hashish, zainetti, patatine fritte, smartwatch e un tram per tornare a sera nell’underground dei Palazzi. Sembra non importare granché quella somiglianza di stile di vita con i radicalizzati ventenni che in Europa negli ultimi anni sono passati dalle lame agli attentati col Kalašnikov. E siccome si dice che non sappiano nemmeno dove sia la Striscia di Gaza, in fondo perché preoccuparsi?
La stessa “tenuità” applicata alla valutazione della banda del panozzo antisionista, però, la si ritrova anche tra gli altrettanto giovanissimi manifestanti che, sotto al palco del 25 aprile insultano chi sta parlando al microfono. Ecco i «Giovani palestinesi», questi sì più attenzionati. Furia identitaria respirata in famiglia e cavalcata dai vecchi volponi della piazza, ovvero i facinorosi professionisti a tempo indeterminato di Cobas, pattuglie antagoniste, anarcoinsurrezionalisti e compagnia bella.
Cercano la rissa, che gli regalerà quei quindici minuti di shitstorm che non si negano a nessuno ma fanno curriculum al Gratosoglio. Spingono, sgomitano, sbraitano. Al servizio d’ordine dell’Anpi manca forse il guizzo dei tempi migliori e non riescono a contenerli. E quindi passano la palla agli agenti antisommossa, che invece hanno scudi e manganelli. Così gli agenti respingono l’assalto pur senza fermare le vergate con le aste delle bandiere, le randellate con i manici di piccone, bottigliate e petardi. Nessun ferito, ma sottovalutare la violenza degli scontri sarebbe l’ennesimo errore.
A Roma, dove l’Anpi disdegna la presenza dei partigiani ebrei da sempre, il 25 Aprile di buon mattino ha offerto il tetro spettacolo del confronto tra filopalestinesi e brigata ebraica a Porta San Paolo. Tra i dettagli più tristi di uno scontro senza grosse complicazioni, il lancio di barattoli di mais e la reiterata appropriazione indebita della melodia di Bella Ciao, la cui origine musicale Klezmer, quindi appartenente alla tradizone ebraica aschenazita, è stata, come al solito, ignorata.