A guardare l’ultima collezione di Pierre-Louis Mascia, la prima, però, dedicata alla maison vengono in mente quelle antiche case dei secoli passati, quasi sparite ormai, spazzate via già dalla tarda metà del Novecento. Un tale, raffinato, eccentrico gusto per l’Art de la table non esiste quasi più. Stoviglie in terracotta realizzate da una bottega toscana, tovaglie in seta stampata. Oggi le case hanno rifiutato l’eccentricità barocca. Sono diventate semplici, essenziali, funzionali. Verrebbe da dire asettiche. Ma è solo l’immaginario dell’epoca che guarda altrove, alla modernità asciutta degli alberghi di nuova generazione, i tavolini di vetro, le chaises-longues, i divani in pelle, nicchie di legno, pannelli solari, vetrate che guardano a strapiombo sui tetti. Ecco, si tende al grattacielo, al suo significato ontologico: librati, verso il cielo, sul punto di scivolare all’interno di una dimensione ultraterrena. Forse.
Oppure, si ha la sensazione che le case in cui ci si stabilisce non siano mai le ultime, ma siano sempre e comunque soluzioni abitative temporanee. Si viaggia, ci si trasferisce, si trova di meglio. Non ci si radica mai. Qualcosa di un po’ più grande, un po’ più spostato verso il centro, un po’ più in campagna, un po’ più economico, un po’ più verde… L’acquisto solenne di una casa di proprietà questa epoca la vede in ritardo, forse non la vede affatto. Invece, Pierre-Louis Mascia guarda sfacciatamente al passato, alla vecchia abitudine di circondarsi di suppellettili, di accumulare ninnoli, stoffe, oggettistica varia e diversa. I cassetti, le mensole, i ripiani strabordano, letteralmente.
Case di antenati che le intestano ai propri discendenti con tutto quello che c’è dentro, case colme di pezzi d’arredo, argenteria, fotografie, diversi servizi di posate, pile di cambi di biancheria. Già, ma anche un po’ case d’artista, case sistemate in quattro e quattr’otto da una specie di ineffabile giudizio, che le trasformava, le riadattava e nel giro di pochi giorni sembravano radicalmente diverse da quelle che erano. Erano case che scoppiavano personalità. Abbozzi, acquerelli, souvenir acquistati in giro per il mondo, libri, libri e ancora libri, scartoffie, sculture, teste di antiche divinità indiane, campanellini, manifesti.
Non si aveva paura del peso di ciò che si possedeva? Per questo, forse, Pierre-Louis Mascia, non si è limitato all’Art de la table: pigiami, vestaglie e pantofole, plaid, cuscini stampati. Paraventi in legno, una serie di carte da parati, quaderni e tavole da disegno rivestiti in seta. Anzi, secondo la scenografia pensata e realizzata da lui, certi manufatti sono stati selezionati e disposti in ciascuna stanza, come fosse il palcoscenico di uno spettacolo, come a dire: qui inizia una storia, i personaggi inventateli voi.
Un sasso, ad esempio, forse raccolto su una spiaggia o sul letto di un fiume. Un mazzo di fiori. Un quadro. Un giocattolo. Mazzi di fiorellini di campo versati in una canfora d’acqua, tappeti e arazzi ricamati a motivi cinesi oppure uzbechi. Pezzi del XVIII secolo provenienti dagli archivi delle collezioni del Musée Galliera. Tale è la cura anche solo nello scegliere i casuali frutti di melograno disposti intorno ai piatti che sembra di sostare all’interno di un fotogramma di un film in costume.
Niente di più diverso dal marchio Objects Are By, tutto fondato sulla libertà delle forme. Un design che si difende dalla classicità per tornare a un principio di comodità e di concretezza proprie alla comunità di giovani cosiddetti globalizzati. Non a caso i due fondatori, Jenny D. Pham e Phil America, si riferiscono proprio al frangersi continuo delle esistenze contemporanee. Altro che passato.
Objects Are By punta al futuro. Phil è statunitense, Jenny è originariamente tedesca, ma ormai abituata alle diramazioni di una postura scomposta, caotica, eccitante e mai radicata. La prima collezione in ceramica è dedicata a Milano, la città dove hanno fondato il marchio e interamente ispirata alla metropolitana. Ancora una volta, il passaggio, l’attraversamento, il viaggio. E di fatto la metropolitana, attenendosi al suo significato lessicale, è ciò che rende Milano la metropoli che è, ciò che rende possibile attraversarla, fenderla, parteciparvi – e che l’ha trasformata dal centro raccolto che era al modello collegato e trasmutabile di adesso, con diversi punti nevralgici che si snodano e si accumulano.
Vasi di dimensioni diverse, tazze, teiere e caraffe, vassoi, ciotole, bicchieri e portacandele che ricordano i suoi colori, il logo di Noorda, le creazioni di Franco Albini nel design dei corrimano, i puntini sulla pavimentazione, i tunnel notturni. Questa prima stagione include anche The Internet, una serie di coperte realizzate dalla direttrice creativa Elena Flores, a partire dal concetto capzioso di Internet, cioè del web, come spazio. Di nuovo navigabilità, transizione, sosta. Andare da un punto a un altro. Non fermarsi. Il processo di progettazione collaborativa si è basato su un ampio modello linguistico messo a punto dall’intelligenza artificiale: Flores si è avvalsa di Chat GPT per generare 100 prompt, presentati a Mid Journey allo scopo di creare arazzi tessuti e opere d’arte. Ha insomma trattato Internet, la tecnologia e il digitale, se fossero luoghi tangibili.
L’anteprima della seconda collezione sarà presentata alla Milan design week: un nuovo servizio da tavola in porcellana vietnamita, realizzata con la tecnica dell’areografia da Babybrush, celebre artista e fashion designer svizzero-italiano. Sempre rassicurante, semplice, adatta a tutti è la stampa floreale Unikko della casa di design finlandese Marimekko, che festeggia il suo sessantesimo anniversario. In collaborazione con Apartamento, il più influente magazine spagnolo dedicato all’arredamento di interni, il marchio ha acquisito un caffè milanese in via Stoppani, rinominandolo Bar Unikko per un pop-up di una settimana durante la design week. Una serie di spensierati oggetti da collezione in edizione limitata dalla colazione all’aperitivo.
E, per non farsi mancare niente, la sobria, antiquata, romantica eleganza della nuova collezione Laboratorio Paravicini, visibile presso lo Studio Mingotti e Giordano Architetti. Una via di mezzo, potremmo definirla, tra la contemporaneità scatenata e avanguardista e le atmosfere barocche del passato. L’acquiescenza terrena e riflessiva della vita di tutti i giorni.