«All’inizio eravamo Matteo e Salvatore, due fratelli calabresi. Studiavamo economia a Bologna e da bravi studenti squattrinati mangiavamo tanta pizza. Ne volevamo una che non fosse solo buona, ma anche preparata e servita con attenzione. Per questo abbiamo deciso di fare da noi: aprendo la nostra prima pizzeria nel 2010 a Castel Maggiore, vicino Bologna, stringendo tantissimo i denti e la cinghia. Eravamo convinti di poter valorizzare la pizza come piatto sfiziosissimo, mantenendo la sua anima popolare, senza fronzoli. Per riuscirci abbiamo messo in gioco tutte le nostre competenze, studiando e lavorando tantissimo per capire come funzionava l’affascinante alchimia della fermentazione e viaggiando in tutta Italia alla ricerca dei prodotti migliori che ogni regione poteva darci».
Questo è il racconto dei fratelli Aloe, fondatori di Berberè, che ricordano il loro passaggio da studenti fuori sede a imprenditori. In quattordici anni sono arrivati ad aprire venti pizzerie in otto città italiane e a Londra, nei quartieri di Clapham e Kentish Town. Raggiungendo il quinto posto della classifica mondiale Artisan Chains della guida 50 Top Pizza.
La ventesima pizzeria è stata aperta poche settimane a Firenze, dopo i due locali nella centrale via de’ Benci e nel quartiere di San Frediano. Adesso la scelta si è indirizzata fuori dal centro storico presso gli spazi di Manifattura Tabacchi, alle spalle del Parco delle Cascine, nell’ex fabbrica di sigari. Si tratta di un luogo in cui è in corso un importante progetto di rigenerazione urbana, animato da una community vivace e da spazi che vanno dalla cultura, alla moda, all’arte e al design.
Qui vengono proposte pizze artigianali con un impasto a base di farine biologiche macinate a pietra, fermentato con solo lievito madre vivo per ventiquattro ore, guarnite con farciture stagionali e servite già tagliate in otto fette in nome della condivisione.
Il ricordo di Salvatore Aloe parte dalla prima apertura nel capoluogo Toscano. «Firenze è stata la prima città, fuori Bologna, dove nel 2014 abbiamo aperto un locale. Una città che ci ha accolto molto bene e che fin da subito ci ha coinvolto. Il debutto è avvenuto a San Frediano, un quartiere storico fiorentino. Abbiamo realizzato il secondo locale a Santa Croce, una zona di grande afflusso turistico. Ora cercavamo un quartiere residenziale e il contesto della Manifattura Tabacchi, con il progetto che c’è dietro, ci è sembrato perfetto per la nostra terza pizzeria in città. Una zona più distante dal centro rispetto alle altre due, ma molto ben abitata. Berberè si vuole presentare come una pizzeria di riferimento per il quartiere, un luogo dove poter andare con la famiglia, con amiche e amici oppure per prendere una pizza da portare a casa dopo il lavoro».
Il locale è caratterizzato da una struttura che evoca l’architettura di una chiesa, omaggiando la basilica di Santa Maria Novella. In corrispondenza della cucina a vista si innalza un elemento architettonico che richiama la struttura di due navate e, al di sopra di esse, un rosone circolare. Le lampade a sospensione, progettate per questo spazio dall’architetto Giambattista Ghersi e prodotte da Viabizzuno, sono un omaggio a Pierluigi Nervi, architetto che negli anni Trenta aveva disegnato la Manifattura Tabacchi.
Ma la crescita di Berberè non si ferma qui. In primavera è prevista a Bologna l’inaugurazione del nuovo polo Casa Madre, che ospiterà gli uffici centrali, la quarta pizzeria cittadina e il centro di formazione del brand. Il nome dello spazio richiama il lievito madre: un ingrediente essenziale per l’impasto delle pizze, che necessita un ciclo quotidiano di cura e lavorazione.
In questo luogo si potrà imparare il mestiere e avviare un percorso professionale, con la possibilità di continuare a crescere, proprio come il lievito madre. La formazione non sarà riservata solo alle persone appena assunte, ma sarà erogata anche a coloro che lavorano in azienda già da tempo.
Come ci sottolinea Matteo Aloe: «Imparare è una delle cose più belle al mondo e forse ne stiamo dimenticando il piacere. Ricordo come ero felice quando da bambino ho imparato ad andare in bici. Nella ristorazione è un po’ la stessa cosa: aver tolto le rotelle è fondamentale, ma non ci si deve fermare a quello. Questo nuovo progetto imprenditoriale farà bene a tutti, perché avremo sempre più persone gentili che servono pizze buonissime, in posti bellissimi».