Non c’è cerimonia, non ci sono sponsor, nessun bravo presentatore. Solo una mail, che arriva quando a New York è da poco passata l’alba, con cui il New York Times annuncia i cento ristoranti dell’anno scelti da Pete Wells.
Pete Wells è il numero uno dei critici del più autorevole quotidiano del mondo, il mammasantissima della ristorazione della Grande Mela. Un suo giudizio può fare la fortuna o decretare la fine di un ristorante. Zero Calcare direbbe che la Michelin a Pete Wells «gli spiccia casa», perché la Rossa, che cerca sempre più spazio, e che anche negli Stati Uniti usa la stessa formula di presentazione europea, non ha la stessa autorevolezza per i ristoranti della città: la usano soprattutto i turisti stranieri che non hanno molte altre fonti per scegliere un locale.
Dal 2023 oltre alle consuete recensioni periodiche ecco la lista dei migliori cento che esce appunto tra fine marzo e inizio aprile. Non c’era mai stata prima dell’anno scorso una classifica assoluta, ma al New York Times ci tenevano a nominare un “best of the year”. Il commento del critico alla richiesta del direttore è stato: «dovrò mangiare un sacco», perché come è sua consuetudine ha visitato tutti i locali (tranne due che erano chiusi per il periodo invernale) presenti in classifica, specificando che ha sempre pagato il conto e non accetta mai inviti gratuiti.
Al primo posto si conferma Tatiana by Kwame Onwuachi, il ristorante dello chef di origini nigeriane divenuto famoso per il suo libro denuncia sulla condizione delle persone afroamericane nelle cucine. Oramai è popolarissimo: quest’anno è stato invitato a giocare nella squadra dei vip dell’All Star Game di Basket Nba, dove c’era anche il nostro campione olimpico e mondiale di salto in alto Gianmarco Tamberi. Secondo Wells anche quest’anno in tutta la città non c’è nulla di meglio della cucina di ispirazione caraibico-creola di Tatiana al Lincoln Center.
Naturalmente non staremo ad analizzare ogni singola posizione, ma ci soffermeremo sui cambiamenti più significativi rispetto a un anno fa. A cominciare dal secondo posto dell’esordiente Blanca, riaperto a inizio 2024 dopo aver chiuso per la pandemia. Blanca è a Bushwick (Brooklyn), fa parte del gruppo di locali di Carlo Mirarchi, l’uomo che sta dietro alle pizzerie Roberta’s, ora anche in versione surgelate per la grande distribuzione. Dodici posti attorno alla cucina per un menu degustazione oggi opera della chef Victoria Blamey. Blanca ha preso il posto sul podio che era di Atomix scivolato al quarto. Al secondo resta il francesissimo Le Bernardin (che ha comunque anche tre macarons).
Sono ventidue i nuovi ingressi, nei primi dieci c’è pure Superiority Burger, locale lacto-ovo vegetariano. Insomma Pete Wells non ha preclusioni sul tipo di cucina, men che meno sul borough, anzi ci tiene a sottolineare che nella sua lista ci sono tutte e cinque i distretti della città e posti per tutte le tasche.
Un gran balzo in avanti lo ha compiuto ABCV che guadagna trentacinque posizioni arrivando quattordicesimo.
Tra le stroncature più significative, a parte i ventidue che sono usciti, troviamo Shukette, un bistrot medio orientale a Chelsea che ha perso cinquantuno posti, e il food truck Birria-Landia che ne ha persi cinquantadue. Tra le uscite che colpiscono Taqueria Ramirez, Lilia, Chefs Table at Brooklyn Fare.
Un discorso a parte si potrebbe fare sui ristoranti considerati italiani presenti nella lista: sono dodici, in maggioranza relativa su un totale di cento, tenendo conto anche di quelli italian-american. Il più alto in classifica al quinto posto c’è il famosissimo Via Carota, altrettanto famoso è Torrisi (una stella) al decimo. Seguono Ci Siamo, Café Carmellini, I Sodi, Rezdôra (una stella), Misi, Don Peppe, Barbuto, Foul Witch, Lodi, Mark’s Off Madison.
Forse Pete Wells avrebbe bisogno di un viaggio in Italia, magari in compagnia di Stanley Tucci, per capire meglio la nostra cucina. Con questi dodici starebbero bene nella lista, anzi forse meglio della maggior parte, almeno queste insegne: La Devozione, Osteria 57, Farina, Lucciola, Risotteria Melotti. Ma lasciamo a Pete Wells ciò che è di Pete Wells.