Quanto tempo trascorrete tra gli scaffali dei supermercati a leggere le etichette dei prodotti da comprare? Probabilmente molto più di quanto pensate. Gli italiani, dicono i dati, sono sempre più attenti a quello che mangiano. Sempre più salutisti e vigili sulla sostenibilità e la provenienza del cibo.
Nella seconda giornata di Disquisito, il festival di Linkiesta e Il Post che a Torino celebra i dieci anni del Mercato centrale, si è parlato di “Cosa comprano e cosa cucinano gli italiani” con Marco Cuppini, direttore GS1 Italy, il pasticciere Fabrizio Racca e Umberto Montano, presidente e fondatore di Mercato Centrale.
In base agli ultimi dati contenuti nei report di Gs1 Italy, che raccontano i consumi alimentari degli italiani attraverso le etichette dei prodotti comprati, viene fuori una sempre maggiore consapevolezza negli acquisti di cibo. Sulle confezioni degli alimenti non si guarda più solo la data di scadenza. «Gli italiani sono sempre più attenti anche alla provenienza dei prodotti e alla sostenibilità, anche se spesso si trovano informazioni molto generiche», spiega Marco Cuppini.
Sul packaging del cibo negli scaffali, il trend più forte è quello della italianità. «Quasi il 30 per cento dei prodotti venduti ha un riferimento all’italianità», aggiunge Cuppini. E si trovano anche molte indicazioni sulla regione di provenienza degli alimenti. Con il Trentino-Alto Adige che si classifica al primo posto per il posizionamento del proprio nome in etichetta. «Si associa l’italianità alla qualità», dice Cuppini. «Il che è vero, ma non è meccanicamente vero. Così l’indicazione della provenienza italiana dei prodotti, che magari prima era sul retro delle confezioni, ora viene messa davanti in bella vista».
Sul podio, poi, si trovano i prodotti «free from», che non hanno qualcosa: senza zuccheri aggiunti, senza lattosio, senza glutine. A seguire, sul fronte opposto, i prodotti arricchiti con proteine, magnesio o fermenti lattici.
Etichette che raccontano mode alimentari, a volte passeggere (ve le ricordate le bacche di Goji?). Ma anche vere esigenze legate ad allergie o intolleranze o scelte precise, come chi ha intrapreso stili alimentari vegetariani o vegani.
Di questo deve tener conto anche la pasticceria, rompendo a volte gli schemi tradizionali. Magari riducendo gli zuccheri o trovando alternative vegetali alla panna classica. «Le persone non hanno bisogno di dolci, hanno il piacere di acquistare un dolce, per cui è importante comunicare questo piacere ed essere aperti anche alle diverse esigenze», dice il pasticciere Fabrizio Racca, che si è inventato la formula della monoporzione di 100 grammi.
Dopo l’alta stagione del periodo invernale, dalla primavera per chi fa dolci comincia un periodo di calo, tra il minor bisogno fisiologico di grassi da parte del nostro corpo e l’attesa prova costume.
«In questo momento siamo noi stessi cominciando a lavorare sulla pasticceria alternativa», rivela Racca. «Oggi dobbiamo fare ricerca e proporre al nostro cliente anche un prodotto alternativo. Il mondo vegetariano e il mondo vegano sono una quota di mercato che sarà sempre più importante per il futuro. Così come quello delle intolleranze. È una questione di business, ma anche di etica e di inclusività».
Eppure, nella scelta di quello che mangiamo conta e non poco anche la comunicazione. Anche la terminologia per cui scegliamo le cose che mangiamo riflette i tempi che viviamo. Marco Cuppini ha fatto l’elenco delle parole più usate oggi sui prodotti alimentari. Vincono morbido, avvolgente, cremoso, vellutato. Perde terreno il croccante, molto popolare solo qualche anno fa.
La spiegazione l’ha data Umberto Montano. «C’è una forte differenza tra gli italiani che acquistano e gli italiani che cercano esperienza. Il pubblico vuole sapere del cibo, da dove proviene e come viene fatto», ha detto. D’altronde siamo italiani: quelli che parlano di cibo anche mentre sono a tavola.