Avete ancora pochi giorni per andare in visita all’ultima creazione di David Tremlett allo Zazà Ramen, in via Solferino a Milano. Precisamente fino al 21 aprile. Una parete dapprima nuda, asettica. Sgombra. Che l’artista decora, o meglio, dipinge, affrescandola d’improvvisi colori, di un’animazione contemporanea, decisa, che riempie lo spazio, lo caratterizza, quasi s’impone. Si intitola BBZR23, una sorta di nome in codice che racconta, parla di un omaggio al ristorante, da dieci anni ormai in questa strada austera e densa di traffico del centro cittadino.
Il lavoro pittorico sui muri, l’intervento di affresco rimanda subito a un immaginario sacrale, proprio di chiese, cappelle, di secoli ormai passati. Antiche, potenti curie che commissionavano scene religiose a giovani professionisti spesso rimasti anonimi. Del resto, una parete affrescata, a prescindere dal metodo, dallo stile più o meno avanguardista, che tratti o meno sequenze e icone cristiane, contiene comunque un’aura magica, forse soprannaturale.
Sarà che sembra un’impresa compiuta da più uomini tutti insieme, forse calati dal cielo, a penzoloni nel vuoto. Sarà dunque un caso che David Tremlett abbia in effetti affrescato la cappella al Parco Horti di Pavia o la cappella del Barolo decorata a quattro mani con Sol Le Witta a La Morra, nelle Langhe. Nato a Sticker, in Cornovaglia, nel 1945, consolida una tecnica per le sue installazioni che le rendono simili a improvvisi squarci nel muro. Di nuovo, una presenza dall’al di là. Non per forza divina. Laicamente, la si potrebbe definire un medium, un mezzo, una feritoia, un ingresso a un mondo altro, che potrebbe anche essere quello della creazione artistica.
Diversamente dal murale, che invece è una riappropriazione urbana, un gesto tutto politico e assolutamente non mistico, anzi, è accessibile, squadernato, orizzontale. È un’opera di partecipazione. Basta pensare ai murales che corrono lungo la East Side Gallery a Berlino sui resti di quello che una volta era il muro che tagliava in due la città. Disegni, schizzi, scritte, il famoso bacio tra il leader russo Leonid Brezhnev e il presidente del partito SED della Germania dell’est Erich Honecker.
No, David Tremlett assolve un’altra funzione. Drawing for free thinking è il nome della sua opera più celebre, alla Manton Staircase della Tate Britain: disegnare in favore, in virtù o a causa del libero pensiero. Un pensiero scevro dalle convenzioni formali, in grado di librarsi, alto, sulle cose. Simile, per certi versi, all’approccio di Mondrian e alle sue geometriche linee neoplastiche, David Tremlett torna in Italia, in un luogo, stavolta, apparentemente privo di influssi poetici e spirituali: un ristorante. Che peraltro aveva già affrescato, in parte, nel 2014, quando ha aperto.
Ecco, forse il senso più autentico di questo tipo di “messa in arte” è il suo essere definitiva. Calata nei contesti più diversi, non passa, non diviene, non muta, non viene cancellata o sfigurata dal passaggio saltuario e a volte rozzo della massa. L’osservatore la integra e la rispetta, perché è consapevole della sua appartenenza a un sistema, a un regime altro, superiore, incontrastato.