L’Unione europea ha rimosso l’iraniana ArvanCloud dalla lista delle sanzioni sui diritti umani. L’azienda del settore informatico era stata inserita nell’elenco a novembre 2022, accusata di aiutare il regime nella censura nei confronti dei cittadini iraniani che in quelle settimane protestavano contro la repressione. Erano i giorni e le settimane successive all’uccisione della ventiduenne Mahsa Amini. Adesso la compagnia dice – in maniera poco credibile – di aver tagliato i rapporti con il ministero delle Comunicazione e dell’Informatica della Repubblica islamica e, secondo fonti vicine alle autorità europee citate da Iran International, la stessa ArvanCloud dice di aver avuto un ruolo significativo nel fornire a milioni di iraniani un accesso a internet gratuito durante le proteste degli ultimi mesi.
Per i cittadini iraniani, però, ArvanCloud è ancora un prolungamento informatico della dittatura degli ayatollah. ArvanCloud infatti controlla quasi metà del mercato dello spazio cloud iraniano e continua a ospitare molti dei siti più importanti della Repubblica islamica, tra cui la Presidenza, l’agenzia di stampa Irna e il Ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico.
Meno di un anno fa, a giugno 2023, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha indicato ArvanCloud come partner chiave del ministero della Repubblica Islamica nello sviluppo della rete informatica nazionale. Per questo la rimozione delle sanzioni sembra solo l’ennesimo assist dell’Occidente a un regime autoritario, criminale, colpevole di atrocità inammissibili contro i suoi stessi cittadini. Insomma, si capisce perché negli ultimi giorni sia apparsa una petizione per far cambiare idea a Bruxelles sulla rimozione di ArvanCloud dalla lista delle sanzioni.
D’altronde, Teheran negli ultimi due decenni ha bloccato decine di migliaia di siti web e piattaforme social – come Facebook, Twitter (X) e YouTube – e applica una censura pesantissima praticamente a tutti i media, così come a ogni tipo di prodotto culturale, libri e film compresi. «I diritti digitali del popolo iraniano sono continuamente violati dalla Repubblica islamica», ha scritto proprio su X l’attivista iraniana Rayhane Tabrizi, che vive a Milano. «Con il sostegno di aziende come ArvanCluod la Repubblica islamica è riuscita a creare le condizioni per tagliare completamente l’accesso del popolo iraniano a internet per ridurre il costo dei suoi crimini».
Dalla morte di Mahsa Amini e dall’inizio delle proteste del movimento “Donna, Vita, Libertà” il mondo ha portato spesso la sua attenzione sull’Iran. Solo che a questa non sempre hanno fatto seguito azioni concrete per togliere strumenti e risorse alla repressione del regime.
«Ricordiamo che a metà marzo il Congresso americano aveva rinnovato una deroga alle sanzioni iraniane consentendo all’Iraq di acquistare elettricità da Teheran per un valore di dieci miliardi di dollari», dice a Linkiesta Pejman Abdolmohammadi, professore in Relazioni Internazionali del Medio Oriente dell’Università di Trento e Associate researcher dell’Ispi. «Paradossalmente, quello che vediamo quando l’Unione europea o gli Stati Uniti rimuovono sanzioni di questo tipo è che l’Occidente politicamente critica un regime alleato di Russia, Cina e altre dittature, dall’altro adotta una linea troppo morbida quando si tratta di limitarne le risorse che finanziano la repressione interna e le guerra all’estero».
I centri di potere della Repubblica islamica sono sempre più distanti dalla popolazione, c’è uno scollamento totale tra autorità e cittadini: quella di Teheran è una dittatura che non ha alcun legame con gli iraniani nati dopo la Rivoluzione del 1979 (e anche molti nati prima). E non va aiutata in nessun modo.
Tre giorni fa, gli analisti del think tank Foundation for Defense of Democracies in merito alla decisione dell’Unione europea di rimuovere ArvanCloud dalla lista delle sanzioni avvertivano dei possibili rischi: «La Repubblica Islamica sfrutta il suo controllo su internet per nascondere il malcontento popolare, sorvegliare i dissidenti, sporgere denuncia contro gli attivisti e impedire il coordinamento delle manifestazioni civili». E ancora: «La rimozione di entità come ArvanCloud dalla lista delle sanzioni potrebbe incoraggiare altre entità del settore ad appellarsi all’Unione europea per liberarsi dallo stigma delle sanzioni senza dover apportare cambiamenti al loro comportamento. Peggio ancora, metterebbe in luce la mancanza di una strategia in Occidente per affrontare la pervasività del regime in nella quotidianità digitale dei cittadini».
Nei prossimi giorni la repressione del regime sui suoi cittadini potrebbe aumentare sulla scia dei recenti attacchi sul suolo iraniano. Perché una dittatura come quella degli ayatollah non rinuncia a strumentalizzare i fatti di cronaca quando ne ha l’occasione.
Nella notte tra mercoledì e giovedì il gruppo militante sunnita Jaish al-Adl ha colpito una caserma delle Guardie della Rivoluzione islamica (Irgc, o pasdaran) in Beluchistan, nel Sud-Est del Paese, uccidendo almeno undici persone presenti sul posto. Nell’occasione, le forze iraniane sono state colte di sorpresa e il conseguente scontro a fuoco tra i militanti e le autorità della Repubblica islamica presenti sul posto è durato diverse ore.
#BREAKING Three simultaneous attacks have targeted two IRGC bases in Chabahar and Rask and a police station in Chabahar in southeastern Iran, official news agency IRNA reports. An interior ministry official says two militants have been killed so far. pic.twitter.com/SgyfEfRax0
— Iran International English (@IranIntl_En) April 3, 2024
Nelle regioni del Sud-Est iraniano, la repressione del regime è sempre stata fortissima. Gli abitanti locali sono discriminati sistematicamente dalle autorità in quanto sunniti e il timore di molti osservatori internazionali e di cittadini iraniani è che gli ultimi eventi possano essere strumentalizzati da Teheran per giustificare una repressione ancora più aggressiva. Anche perché Jaish al-Adl ha una lunga storia di attacchi contro le forze armate iraniane, in particolare contro i pasdaran, nelle aree al confine con il Pakistan (il gruppo è sulla lista delle organizzazioni terroristiche straniere degli Stati Uniti dal 2010 e in alcune occasioni ha ucciso civili durante i bombardamenti).
In tutto questo va ricordato che la Repubblica islamica, proprio in queste ore, sta progettato la sua ritorsione nei confronti di Israele dopo l’attacco di lunedì scorso a Damasco, in Siria, in cui è morto Mohammad Reza Zahedi, generale della Forza Quds, unità speciale dei pasdaran.
La Cia avrebbe già informato i servizi israeliani che Teheran preparerà un attacco a breve. Deve solo capire come. «Teheran è alle prese con il dilemma su come calibrare una ritorsione che invii un messaggio forte ai suoi avversari senza innescare una conflagrazione più ampia», scriveva ieri il Financial Times. «Il pericolo per l’Iran è che una ritorsione troppo debole rischierebbe di danneggiare la sua reputazione e il morale del suo esercito, così come dei gruppi che sostiene (come Hamas). Tuttavia, una risposta più aggressiva potrebbe trascinare la repubblica in uno scontro diretto con Israele, e potenzialmente con gli Stati Uniti, che il regime si ritiene desideroso di evitare».
Ma un attacco ci sarà quasi sicuramente, come c’era stato quattro anni fa dopo la morte di Qassem Soleimani. Per la Repubblica islamica non è solo una questione di sicurezza nazionale o di vendetta: l’Iran deve difendere la sua immagine all’estero, perché è all’estero che deve trovare i suoi punti d’appoggio, avendo perso gran parte del sostegno interno. Quindi Teheran deve dimostrare di poter essere una grande potenza regionale in Medio Oriente – in grado di foraggiare i militanti della Jihad islamica – e un partner credibile, affidabile, o addirittura indispensabile, per altre dittature, come Russia e Cina.
«Le proteste degli iraniani nell’ultimo anno e mezzo dimostrano che la nuova rivoluzione culturale del Paese è già in atto», dice ancora a Linkiesta Pejman Abdolmohammadi. «Non è avvenuta ancora una rivoluzione politica perché, come da manuale, i regimi autoritari cadono soltanto se hanno, oltre a un malcontento interno molto forte, anche un attore globale importante che possa far cadere il governo, non con un vero regime change, ma sostenere l’ultimo passo per la caduta della dittatura. È per questo che finora l’Occidente ha le sue colpe nell’essere stato troppo morbido e accondiscendente nei confronti di Teheran».