Legislazione putinianaCosa prevede la legge sugli agenti stranieri che ha scatenato le proteste europeiste in Georgia

Nonostante le continue manifestazioni della società civile, il partito di maggioranza non ha ritirato la norma che considera nemici dello Stato gli enti e i media che ricevono più del venti per cento dei loro fondi da istituzioni fuori dal paese. A Tbilisi continua la mobilitazione per mantenere il Paese lontano dalla sfera di influenza russa

LaPresse

La notte tra il 28 e il 29 di aprile ha segnato un nuovo punto di svolta per le proteste contro l’introduzione di una legge «sugli agenti stranieri» in Georgia. Almeno ventimila manifestanti (ma alcune testate ne hanno contati centomila) si sono riuniti in viale Rustaveli a Tbilisi, davanti alla sede del parlamento, per manifestare il loro malcontento rispetto alla decisione del partito di maggioranza, Sogno Georgiano, di riproporre la «legge russa» – come viene chiamata dall’opposizione – coordinati da circa cento tra gruppi per la tutela dei diritti e partiti di opposizione, che hanno organizzato una vera e propria «Marcia per l’Europa». 

Durante la manifestazioni ci sono stati alcuni scontri tra manifestanti e polizia, che ha usato spray al peperoncino anche contro alcuni giornalisti, senza avvertimenti, e ha arrestato l’ex ministro per l’Integrazione europea ed euro-atlantica Aleksi Petriashvili, accusato di vandalismo e di aver opposto resistenza contro le forze dell’ordine.

Il disegno legge contestato è strutturato in modo da far ricadere nella categoria di agente straniero quegli enti che ricevono più del venti per cento dei loro fondi da istituzioni straniere, che dovrebbero registrarsi come organizzazione «portatrice degli interessi di una potenza straniera». Gli agenti stranieri poi, sarebbero costretti a condividere informazioni riservate sotto richiesta del ministero della Giustizia, pena sanzioni fino a novemilacinquecento dollari.

L’approvazione della legge inciderebbe negativamente sul percorso di integrazione europea della Georgia: l’Unione europea – come anche Stati Uniti e Regno Unito – ha messo in guardia Tbilisi sul fatto che il decreto è incompatibile con i valori di cui Bruxelles si fa portavoce. E i partiti che hanno organizzato le proteste di ieri (tra cui il maggiore partito di opposizione, lo United National Movement, Unm) hanno recepito il messaggio, spiegando in una dichiarazione congiunta che «a legge russa voluta da Sogno Georgiano è in contraddizione con la Costituzione, la volontà della popolazione di diventare un membro Ue e Nato, e l’obiettivo a lungo termine di assicurare la sovranità nazionale».

Le proteste di ieri hanno preceduto di poche ore la seconda udienza del Comitato sugli Affari Legali del Parlamento sulla legge, a cui è vietato assistere per tutte le agenzie di informazione – fatta eccezione per gli enti televisivi –,  e soprattutto l’udienza plenaria in programma oggi. Ieri sera si è tenuto un corteo voluto da Sogno Georgiano, a cui ha preso parte il segretario ed ex primo ministro Bidzina Ivanishvili, a sostegno del disegno di legge (a cui, pare, molti impiegati statali sono stati costretti a partecipare dalle istituzioni) chiamato “L’assemblea universale del popolo – Patria, linguaggio, fede!”. E c’è stato un contro-corteo organizzato dagli attivisti che ormai da settimane si riversano nelle strade della capitale.

Per ora, il disegno di legge è stato approvato in prima lettura il 17 aprile. La stessa procedura si dovrà ripetere altre due volte affinché possa essere implementata. La presidente georgiana Salome Zourabichvili ha annunciato che, se il Parlamento dovesse effettivamente approvare la legge, sarebbe pronta a porre un veto, che però potrebbe essere aggirato dal partito di maggioranza nel caso in cui riuscisse a raccogliere almeno settantasei voti a favore, ossia la maggioranza assoluta in Parlamento.

La legge sarà determinante per il futuro del Paese: la Georgia si sbilancerà verso l’Europa o verso la Russia a seconda del suo esito dopo le votazioni in Parlamento. In realtà, Sogno Georgiano sta cercando di distanziarsi da chi si riferisce alla legge sugli agenti stranieri come a una legge russa, tacciandoli di diffondere disinformazione. E si è difesa dalle accuse sia accusando a sua volta le Ong che operano in Caucaso di aver tentato di dare il via a due rivoluzioni, di aver promosso «propaganda gay» e di aver attaccato la Chiesa Ortodossa, sia facendo riferimento ad altri Stati in cui sono stati introdotti decreti simili. Tra questi figurano Turchia, Azerbaijan e Khirghizistan. 

Il paragone, però, non gioca a favore del partito di maggioranza. La parlamentare dell’opposizione Anna Dolidze (di Per il popolo), ha dichiarato che: «Ai Paesi filomoscoviti nel cosiddetto vicinato russo è stato chiesto di approvare questa legge per creare una divisione tra loro e l’Europa». E infatti, l’Ong Open Society Foundations, che da trent’anni operava anche in Kirghizistan, ha deciso di ritirarsi dopo l’introduzione del decreto, che secondo i loro portavoce comporta «un impatto gravissimo sulla società civile, sui difensori dei diritti umani e i media» nel Paese. 

Sogno Georgiano però continua a cercare di smentire le accuse di russofilia paragonando la legge proposta a Tbilisi al Foreign Agents Registration Act (Fara) statunitense, in un tentativo di dimostrare la vicinanza del governo all’Occidente. Ma la tesi non regge. La testata giornalistica indipendente Civil Georgia, in un’analisi firmata da Ted Jonas, ha spiegato perché le due misure sono profondamente diverse. 

Il Fara, prima di tutto, è stato varato nel 1938 per contrastare le attività della Germania nazista, mentre la legge georgiana, stando alle dichiarazioni dei membri del partito di maggioranza, colpirebbe le Ong finanziate da Unione europea e Stati Uniti (nonostante il Paese abbia ottenuto lo status di candidato a membro europeo e si dichiari partner di Washington). In poche parole, nazisti e Unione europea sono messi sullo stesso piano. Nel Fara, poi, non esistono correlazioni tra l’essere un agente straniero e ricevere fondi dall’estero. In Georgia, i finanziamenti esteri sono l’unico prerequisito per essere colpito dalla nuova legge. E ancora, negli Stati Uniti, chi non agisce per conto di un governo o partito politico straniero non può essere schedato nel Fara, mentre a Tbilisi anche chi lavora sotto un’organizzazione o un’azienda estera può essere considerato agente straniero. 

La somiglianza con la legge russa, d’altro canto, è decisamente più immediata. A Mosca il decreto è stato introdotto nel 2012 ed emendato nel 2022, a pochi mesi dall’invasione dell’Ucraina. Queste modifiche hanno fatto sì che, mentre inizialmente solo le Organizzazioni non governative potevano essere inserite tra gli agenti stranieri, come in Georgia, a oggi chiunque si esprima contro le decisioni prese dal Cremlino o critichi le autorità del Paese possa essere considerato un agente straniero (e, nella Federazione, questo significa essere esclusi dalla società civile, dover pagare multe salatissime – fino a cinquecentomila rubli –, e poter essere incarcerati per anche cinque anni). 

In Russia esistono due criteri per cui si può essere considerati agenti stranieri, ossia essere sottoposti a «influenza straniera» (cioè ricevere supporto, anche solo tecnico, da fuori i confini nazionali) o beneficiare di finanziamenti provenienti dall’estero. Proprio come in Georgia. 

I politici russi, però, fanno finta di non riconoscere queste analogie. Dmitry Peskov, il portavoce del Cremlino, ha negato qualunque legame tra Mosca e la proposta di legge: «Non è una tendenza russa, è una tendenza normale di un gran numero di Stati che fanno di tutto per proteggersi dall’influenza esterna, dall’influenza straniera sulla politica interna». E ha poi accusato implicitamente l’Occidente di voler destabilizzare la situazione a Tbilisi: «Stanno cercando di usare questo processo politico interno come strumento per alimentare sentimenti anti-russi. È improbabile che questi impulsi siano alimentati dall’interno della Georgia. Probabilmente provengono dall’esterno».

Altri esponenti delle élite russe si dicono felici della decisione presa da Sogno Georgiano. Il filosofo ultraconservatore Aleksandr Dugin ha dichiarato: «La Georgia è sulla strada giusta. Vuole sovranità e vuole distruggere la quinta colonna. Anche noi abbiamo intrapreso questa strada, e i suoi effetti positivi sono evidenti». E ancora, l’ex presidente russo Dmitry Medvedev ha scritto sul suo canale telegram che dietro le manifestazioni a Tbilisi «si vede una mano esperta e familiare hollywoodiana», anche lui alludendo al ruolo degli Stati Uniti nel fomentare il malcontento tra la popolazione.

Popolazione che è particolarmente attiva nelle proteste anche perché il 26 ottobre si terranno le elezioni parlamentari, che proprio a causa della nuova legge potrebbero tenersi in un ambiente anti-democratico. Le Ong che sarebbero colpite dal provvedimento, infatti, sono anche quelle che provvedono a monitorare il corretto svolgimento delle votazioni. 

Già durante le ultime elezioni, a ottobre 2020, l’Osce aveva registrato in Georgia casi di pressione sulla popolazione che avrebbero compromesso l’esito delle votazioni – in  cui Sogno Georgiano era risultato vincitore. E già in quell’occasione i cittadini erano scesi in piazza per protestare contro l’operato del governo per chiedere una nuova tornata elettorale. Le manifestazioni avevano suscitato una reazione nei partiti di opposizione, che avevano deciso di boicottare il Parlamento, non presentandosi alle sedute per sei mesi, fino a quando, grazie alla mediazione dell’Unione europea, si era raggiunto un accordo tra le parti che includeva una riforma elettorale e giudiziaria che a oggi è stata parzialmente completata. 

E ancora, nel 2023 la popolazione georgiana era riuscita – apparentemente – nel suo intento di boicottare l’introduzione della stessa legge che però oggi è tornata al centro del dibattito politico del Paese. I successi passati dati dalle mobilitazioni a Rustaveli spingono la popolazione a continuare a scendere in piazza nel tentativo di riportare la Georgia sulla strada dell’integrazione europea, che è sostenuta dall’ottanta per cento della popolazione. 

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