Circa un anno fa l’Emilia-Romagna è stata vittima di una delle più grandi alluvioni mai registrate: allagamenti, straripamenti e frane hanno coinvolto più di quarantaquattro comuni del territorio. A distanza di dodici mesi c’è ancora tanto da fare per riportare la situazione alla normalità. Inondazioni del genere sono provocate da fattori diversi, dalla cementificazione al cambiamento climatico, ma anche da un fenomeno meno conosciuto, quello della subsidenza
Sul sito dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e per la ricerca ambientale, la subsidenza è definita come «ogni movimento di abbassamento verticale della superficie terrestre, indipendentemente dalla causa che lo ha prodotto». Il suolo può abbassarsi per cause naturali, legate a processi geologici, ma il fenomeno può essere aggravato dalle attività umane.
Secondo il sito della Protezione civile, la subsidenza antropica è causata dal prelievo di acque dal sottosuolo, dall’estrazione di gas o petrolio, dall’estrazione di solidi e da bonifiche idrauliche. Anche il grado di urbanizzazione può influenzare lo stato di subsidenza di un determinato territorio.
Nel caso della subsidenza naturale, il suolo può abbassarsi di qualche millimetro l’anno in tempi molto dilatati. Diversamente, la subsidenza antropica provoca riduzioni di terreno dieci volte superiori rispetto a quelli causati da processi geologici, raggiunti in tempi brevi. «Dove ci sono importanti estrazioni di fluidi del sottosuolo assistiamo a tassi di abbassamento abbastanza importanti. A volte possono superare i dieci-quindici centimetri all’anno», spiega a Linkiesta Luigi Tosi, ricercatore dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr).
All’inizio degli anni Cinquanta la subsidenza antropica ha cominciato a manifestarsi anche in Italia, soprattutto a causa del prelievo di fluidi dal sottosuolo. Questa pratica ha comportato il verificarsi di intense alluvioni nelle zone più a rischio, oltre a causare danneggiamenti a edifici e infrastrutture. Il fenomeno può anche nascere da una combinazione di fattori naturali e antropici: «La subsidenza di origine naturale è dovuta a cause geologiche derivate dalla costituzione dei terreni poco solidi, non consolidati, che ancora devono formarsi. Se carichiamo questi terreni con delle città e delle strutture pesanti, questi saranno sottoposti a una subsidenza maggiore e più veloce», dice Valerio Comerci, ricercatore dell’Ispra.
Il fenomeno in Italia
I dati sulla subsidenza in Italia vengono forniti dall’Ispra. Nel 2023 circa il diciassette per cento dei Comuni italiani è stato colpito dalla subsidenza, con prevalenza nella Pianura Padana – dove questa settimana, in particolare nel milanese, si sono verificate intense alluvioni – e nelle pianure costiere. Fenomeni di lenta subsidenza si sono verificati lungo la fascia costiera adriatica da Rimini a Venezia, specialmente nei pressi del Delta del Po, ma anche nei dintorni di agglomerati urbani come Milano, Bologna e Modena, a causa dell’estrazione di acqua dal sottosuolo.
Le regioni più esposte sono il Veneto e l’Emilia-Romagna, con oltre il cinquanta per cento dei Comuni interessati dal fenomeno. Ma la subsidenza è presente anche in Puglia, Lazio, Toscana, Campania e Calabria. Nella ricerca di Ispra viene indicato che la descrizione del fenomeno è ancora parziale e disomogenea, perché alcuni interventi legislativi a tutela del territorio sono riusciti a rallentare o eliminare il fenomeno.
Come conferma Valerio Comerci dell’Ispra, «se nelle zone industriali le fabbriche chiudono, diminuisce lo sfruttamento dell’acqua». Il risultato? «Si verifica una una sorta di recupero da parte del terreno della subsidenza persa, in genere di un trenta per cento».
Gli effetti
La subsidenza è un fenomeno globale che può causare impatti ambientali, sociali ed economici. Sebbene l’abbassamento del suolo sia un processo lento e graduale, può ridurre in modo permanente la capacità di immagazzinamento d’acqua dei sistemi acquiferi, danneggiare edifici e infrastrutture, aumentare il rischio di inondazione nelle aree alluvionali e nelle pianure costiere. In queste zone, anche pochi centimetri di subsidenza aumentano la probabilità di inondazione.
Un collegamento, quello tra subsidenza e alluvioni, spiegato da Comerci: «L’alluvione che un anno fa ha colpito l’Emilia-Romagna ha messo in evidenza che le zone soggette a maggiore subsidenza sono state quelle che hanno subito fenomeni alluvionali disastrosi. Questo perché in caso di alluvione l’acqua viene convogliata nelle zone più depresse». Dello stesso parere è Tosi del Cnr: «Confrontando le mappe di subsidenza e le mappe che descrivono l’alluvione in Emilia-Romagna di un anno fa si nota una certa correlazione. Nel momento in cui queste zone si allagano è difficile tirare via l’acqua o farla scorrere via».
Le inondazioni non sono l’unica conseguenza causata dal fenomeno dell’abbassamento del suolo: «Altri fenomeni che possono preoccuparci sono sicuramente l’abbassamento dei litorali – prosegue Comerci – perché andiamo incontro al sollevamento del livello marino e c’è il rischio dell’ingresso del mare, e quindi anche dell’erosione costiera. La città di Como ha dovuto attrezzarsi con delle paratie, perché la parte costiera della città è costruita su depositi antropici già dall’epoca dei Romani. Questi riporti con il tempo si abbassano, e il lago in caso di piena arriva fino in città».
Questi effetti sono aumentati anche dal cambiamento climatico che, secondo Tosi, «può essere collegato alla subsidenza per la necessità di approvvigionamento idrico: gli abbassamenti più importanti sono dove si estraggono i fluidi, quindi l’acqua. In caso di prolungata siccità – come sta succedendo da qualche estate – le riserve d’acqua dolce andranno un po’ diminuendo, e quindi è necessario approvvigionarsi con nuovi pozzi. Estraendo più acqua possono aumentare gli abbassamenti del suolo in zone già predisposte, ma non è una situazione preoccupante per l’Italia, a differenza di altre parti del mondo».
L’ambito urbano
Come già affermato sopra, l’urbanizzazione può contribuire a peggiorare la subsidenza, perché il carico di edifici induce l’abbassamento del suolo. Secondo Comerci, «abbiamo casi di zone di espansione urbana in aree dove ci sono delle piane alluvionali, generalmente vicino ai fiumi. In quelle zone i palazzi stessi mostrano dei problemi statici perché sono costruiti su terreni non consolidati che non garantiscono la stabilità. Penso a Roma, dove hanno costruito in una zona paludosa: alcuni edifici sono stati addirittura abbattuti, perché si sono inclinati o perché magari una parte delle fondazioni era fondata sul duro, una parte sul morbido e quindi risultavano instabili». In ambito urbanistico è dunque importante costruire nelle zone più solide, dove è presente una roccia consolidata.
In Italia l’urbanizzazione collegata alla subsidenza descrive un fenomeno comunque circoscritto: «Nella zona di Jesolo vengono costruiti centri commerciali e residenziali. Lì si verifica un fenomeno di subsidenza piuttosto locale. L’abbassamento è in corrispondenza della struttura costruita, perché in quel punto c’è un peso nuovo e questo peso va a compattare i sedimenti costieri, che sono recenti. Inoltre, a differenza della subsidenza naturale, quella di queste nuove strutture può durare un massimo di venti anni, poi si esaurisce», aggiunge Tosi.
Le possibili soluzioni
Gli interventi per mitigare il fenomeno dovrebbero basarsi su una corretta gestione delle risorse idriche, evitando di ricorrere in modo eccessivo al prelievo dalle falde, e in una rigorosa pianificazione delle attività edilizie. Come sottolinea Valerio Comerci, «la cosa migliore per evitare una subsidenza accelerata è non sfruttare troppo le falde acquifere. Facendo riferimento a Como, negli anni Settanta esisteva una forte industria tessile della seta, e alla subsidenza di origine naturale si aggiunse quella antropica con un forte sfruttamento della falda.
Il Comune decise di interrompere questo sfruttamento della falda e i centimetri di subsidenza passarono a diventare millimetri. Non si è risolto completamente il problema, ma sicuramente si è ridotto l’impatto di questo fenomeno sulla città». Anche secondo Luigi Tosi limitare le estrazioni dal sottosuolo è la chiave per contenere la subsidenza: «Occorre regolamentarle, soprattutto nelle zone costiere. Nell’entroterra vediamo meno il problema perché non abbiamo a che fare con il mare che cresce, ma quando vengono le alluvioni queste zone si allagano di più e occorre tempo per tirare fuori l’acqua».
Secondo gli esperti, attraverso i giusti accorgimenti edilizi e idrogeologici gli effetti della subsidenza possono essere contenuti. «Grazie ai nuovi satelliti – conclude Tosi – siamo riusciti a monitorare completamente il territorio italiano, e abbiamo potuto vedere che effettivamente i centri urbani di nuova realizzazione sono quelli che si abbassano di più. Per questo motivo bisogna cominciare a pensare a nuove tipologie di costruzioni o a una distribuzione di carichi in modo più ragionato».