Acqua alla golaIl malgoverno di Regione Lombardia dietro le esondazioni del Seveso

Oltre a essere in ritardo con le vasche di laminazione di sua competenza, la Lega sta sottovalutando gli interventi necessari per rinaturare la valle del Seveso. Gli oltre cento straripamenti dal 1975 a oggi sono figli della cementificazione e del tombinamento del torrente: puntare il dito contro l’amministrazione Sala è troppo facile

Stefano Porta/LaPresse

Strade, cantine e sottopassi allagati, mezzi pubblici bloccati, pendolari intrappolati sulle scale delle stazioni, decine di alberi caduti. Milano nord, nelle prime ore di martedì 31 ottobre, ha rivisto i fantasmi del 2014, quando il Seveso – che nasce a Cavallasca (Como), sul Monte Sasso, e sfocia (tombato) nel naviglio della Martesana – straripò per sei volte nel giro di circa tre mesi. Gli allagamenti sono durati più di sei ore a causa di quella che il Comune di Milano ha definito «una bomba d’acqua» caratterizzata da precipitazioni medie pari a settanta millimetri l’ora.

Anche il 2 novembre il fiume ha raggiunto la cosiddetta “soglia di attenzione”, e i disagi non sono mancati nemmeno nella giornata di oggi: «Le forti e persistenti piogge di adesso e stanotte (non previste da Centro funzionale di Regione Lombardia) e fuori da allerta, stanno provocando un aumento significativo dei livelli di Lambro e Seveso a Milano», ha scritto su Facebook Marco Granelli, assessore alla Sicurezza del Comune di Milano, nella mattina del 3 novembre. 

Oltre ai danni e alla paura, un altro aspetto tristemente simile agli eventi di nove anni fa è il rimpallo di responsabilità tra Regione Lombardia e l’amministrazione meneghina. Quest’ultima, come vedremo, ha le mani legate in merito alla gestione di un fiume (che in realtà è un torrente) lungo cinquantadue chilometri e che bagna tre province lombarde. È necessaria, come spiega Legambiente in un comunicato stampa, «una progettualità di sistema per l’intero bacino del Seveso». E il Comune, da questo punto di vista, può fare ben poco, sia in termini economici che di margini d’azione. 

Allargando lo sguardo, le centodiciotto esondazioni del Seveso in quarantacinque anni sono figlie della cementificazione selvaggia, che in Italia avviene anche nelle aree a rischio idrogeologico. In questo contesto è entrata a gamba tesa l’emergenza climatica, che rende i fenomeni alluvionali più intensi, frequenti e imprevedibili. Il cocktail tra consumo di suolo e riscaldamento globale è quindi indigesto, a maggior ragione nella Regione più cementificata d’Italia e nel terzo capoluogo – dietro Roma e Venezia – per aumento di coperture artificiali nel 2022. 

Negli anni, l’impronta antropica ha ristretto gli alvei del torrente e dei suoi affluenti. Il risultato? Le onde di piena raggiungono Milano molto più rapidamente per via della mancata infiltrazione delle acque nel suolo, il cui potere assorbente è già ridotto a causa dei fenomeni siccitosi degli scorsi mesi. Una volta arrivato nel capoluogo lombardo, il Seveso entra in un tubo sotterraneo che ha una capienza non superiore ai trentacinque metri cubi al secondo. Nella notte tra il 30 e il 31 ottobre, però, si sono raggiunte punte da centocinquanta metri cubi al secondo.

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«Nonostante i ritardi, il Comune di Milano sta tenendo il passo. Anche se non è servita e non sarebbe bastata, la vasca di laminazione di Bresso (quella del Comune, ndr) è attualmente in fase di collaudo. In questo momento è Regione Lombardia a essere rimasta indietro, perché i lavori per le vasche di laminazione a suo carico non sono ancora avviati», spiega a Linkiesta Lorenzo Baio, vicepresidente e coordinatore del settore acqua di Legambiente Lombardia, che si riferiva alle vasche di Varedo dell’area ex-Snia, Lentate sul Seveso, Paderno Dugnano e Senago, dunque fuori dal territorio di competenza del Comune di Milano. 

Gianluca Comazzi, assessore regionale al Territorio e ai Sistemi verdi, a settembre ha promesso che «la vasca di Senago verrà terminata per dicembre 2023 ed entrerà in esercizio nella primavera del 2024», ma la chiusura dei cantieri – come si apprende dalla stampa locale – dovrebbe avvenire nel settembre 2024. «Per quella di Lentate sul Seveso l’intervento è stato avviato», ha aggiunto genericamente Comazzi. 

Le vasche di laminazione sono dei serbatoi di stoccaggio temporaneo dell’acqua piovana in eccesso. Si tratta di opere preziose ma anche impattanti, in quanto profonde diversi metri e grandi anche come un campo da calcio. Non a caso, negli ultimi anni sono nati dei comitati “No Vasca”, allarmati dall’impatto ambientale dei cantieri e dai reflui fognari. 

Lungo le zone bagnate dal Seveso, l’unica vasca (quasi) pronta è appunto quella al confine con Bresso, situata al Parco Nord e gestita dal Comune di Milano tramite MM. Il 3 novembre (oggi), come confermato dall’assessore alla Sicurezza del Comune Marco Granelli, verranno realizzate le prove funzionali, e tra dicembre e gennaio l’opera entrerà a pieno regime. I ritardi, dovuti anche alla pandemia, hanno coinvolto anche questo bacino, il cui cronoprogramma del 2021 prevedeva l’inaugurazione nell’autunno 2022. 

Senza la presenza di altri serbatoi più a nord, però, la vasca di laminazione di Bresso potrebbe rivelarsi inutile in caso di eventi meteorologici estremi. I bacini di raccolta non vanno concepiti singolarmente, ma – in riferimento a un singolo fiume – devono costituire un impianto in grado di lavorare in sinergia per contenere le alluvioni. Da questo punto di vista, l’amministrazione del sindaco Beppe Sala non ha responsabilità.

Claudio Furlan/LaPresse

«La sola vasca di Bresso avrebbe coperto sì e no un’ora di evento, ma a Milano gli allagamenti sono durati sei ore. Se ci fossero state le altre quattro vasche previste a monte sarebbe stato diverso, il flusso d’acqua sarebbe arrivato a Milano con un’energia più gestibile e meno impattante. Avremmo avuto qualche disagio, ma minore», sottolinea Baio. 

Dall’altra parte, Regione Lombardia continua a criticare la (presunta) scarsa pulizia dei tombini e dei bocchettoni di scolo da parte degli operatori sotto il Comune di Milano: «Basta vedere l’acqua che stagna nelle vie, significa che i tombini non ricevono. Non bisogna essere dei fenomeni per capirlo», ha detto il presidente regionale Attilio Fontana. 

La pulizia dei tombini è senza dubbio fondamentale per limitare i danni dovuti alle esondazioni. Tuttavia, il 31 ottobre le strade si sarebbero allagate a causa della fuoriuscita dell’acqua del torrente dai tombini. Insomma, è come se fosse successo l’opposto rispetto a una “canonica” alluvione. Come anticipato in precedenza, infatti, a Milano il Seveso viene accolto da un tubo sotterraneo dalla capienza ridotta e non adatta a “bombe d’acqua” di un certo calibro. In ogni caso, l’evento di questa settimana deve far riflettere in merito all’insufficienza della rete di caditoie e tombini del territorio lombardo.

L’Italia ha abusato per secoli dei fiumi tombati, sfruttando in modo insostenibile le zone paludose e incrementando il rischio idrogeologico. Ingabbiare i fiumi nel cemento può essere conveniente dal punto di vista ingegneristico, ma in termini ambientali è un’abitudine priva di lungimiranza (nonché una pratica dell’era napoleonica). E il conto, a causa del cambiamento climatico, si sta rivelando salatissimo. Trasformare un fiume in un canale sotterraneo – al solo scopo di edificare sopra di esso – significa anche eliminare l’area lungo gli argini che permette all’acqua di defluire. 

«In generale, nessuno degli enti e delle istituzioni preposti alla soluzione di questo problema sta affrontando la soluzione vera, che è quella di rinaturare la valle del Seveso. Come tutte le valli fluviali – anche se il Seveso è un torrente – anche questa prevede che il fiume esondi. Si chiamano pianure alluvionali perché, banalmente, esistono le alluvioni. Se si cementifica una pianura alluvionale, il minimo è ottenere un evento come quello visto a Milano l’altro giorno. D’ora in poi, le politiche sui territori devono estendere le aree verdi e ricollocare infrastrutture e aree edificate palesemente a rischio idrogeologico», aggiunge il vicepresidente di Legambiente Lombardia. 

La lezione è sempre la stessa: ci salveremo grazie alla natura e alle cosiddette “nature based solutions”. L’acqua ha bisogno di spazio e terreno poroso, e la rinaturazione dei fiumi serve proprio a eliminare gli elementi artificiali (impermeabili) lungo gli argini di un corso d’acqua. Per dirla semplice, si restituisce al fiume il suo spazio naturale, ripristinando un habitat precedentemente degradato dagli interventi umani. Da questo punto di vista, conclude Lorenzo Baio, «ci vuole pianificazione strategica, e non sembra che la Regione stia facendo granché. Il Comune di Milano può approntare una vasca o depavimentare, creando nuove aree verdi, ma l’effetto è limitato perché si è già alla fine della corsa: il Seveso fa capolinea a Milano».

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