Nei primi mesi del 2024 gran parte d’Europa è stata travolta da un’ondata di proteste degli agricoltori, che si sono mobilitati in massa bloccando le strade, i viadotti e le autostrade delle principali città a bordo di trattori. Le dimostrazioni hanno preso una piega particolare in Francia, dove alcuni viticoltori non si sono limitati a bloccare il traffico, ma hanno deciso di manifestare il loro malcontento lanciando degli esplosivi nella sede della Direction Régionale de l’Environnement, de l’Aménagement et du Logement (Dreal) di Carcassonne. Gli autori del crimine si sono firmati con dei graffiti sui muri: «CAV». È la sigla del Comité d’Action Viticole, nome ben noto alle forze dell’ordine francesi.
I militanti del Comitato vogliono proteggere il mercato francese dalle importazioni di vino spagnolo a prezzi sleali. Da tempo il settore è già fiaccato dal calo del consumo di vino rosso che ha portato a una completa saturazione del mercato e quindi a una riduzione drastica dei guadagni per i produttori locali.
L’anno scorso, il governo francese ha stanziato duecentosessanta milioni di euro per cercare di stabilizzare i prezzi del vino chiedendo ai produttori di distruggere la produzione in eccesso, da trasformare in alcol etilico per l’industria dei disinfettanti, e contemporaneamente di ridurre delle aree coltivate adibite a vigneti. Ma la situazione non è migliorata, e così i «terroristi del vino» (così li chiama Foreign Policy) hanno preso in mano la situazione, come fanno da più di mezzo secolo.
Il Cav (o Crav), infatti, nacque nella regione meridionale della Linguadoca all’inizio degli anni Settanta, in concomitanza con il lancio del mercato unico europeo del vino, che stimolava l’importazione di vini a basso costo e danneggiava quindi la produzione locale. Inizialmente le azioni dei militanti si erano limitate a blocchi stradali o occupazioni degli spazi pubblici, ma l’entrata nel gruppo dei veterani di ritorno dall’Algeria trasformò le manifestazioni in azioni violente. I soldati in servizio in Nord Africa avevano imparato le tecniche di guerriglia dei fellagha, i gruppi nazionalisti algerini, e adesso le riproponevano in Francia. La trasformazione in milizia armata del Comitato spinse diversi media a speculare addirittura su una possibile alleanza tra il Cav e Muammar Gheddafi, dittatore della Libia dal 1969 al 2011, che aveva l’obiettivo di rovesciare il governo francese.
L’apice delle violenze arrivò nella primavera del 1976, quando il 3 marzo due viticoltori furono arrestati con l’accusa di aver attaccato un commerciante sospettato di importare vini italiani di scarsa qualità e di mischiarli con prodotti francesi più pregiati. I militanti risposero dando fuoco a una serie di mezzi cargo e riunendosi tre giorni dopo nel paesino di Montredon, in Occitania. La protesta finì in tragedia: durante gli scontri tra viticoltori e polizia qualcuno aprì il fuoco, uccidendo un agente e un manifestante e ferendo gravemente altre diciassette persone. Ancora oggi il colpevole non è noto: il viticoltore Albert Teisseyre fu accusato e messo a processo sulla base di prove fotografiche probabilmente manipolate, ma venne assolto nel 1985.
Dopo gli eventi di Montredon, il Comitato è rimasto praticamente inattivo fino a quindici anni fa. A maggio 2007, infatti, una fonte anonima ha inviato a France TV un filmato in cui i militanti del gruppo minacciavano l’allora presidente Nicolas Sarkozy di ripercussioni di cui «lui stesso sarebbe stato interamente responsabile» nel caso in cui il governo francese non avesse preso misure adeguate per migliorare la situazione economica dei viticoltori in Linguadoca. «Scorrerà sangue», avvisavano i radicali.
Nello stesso filmato, il Comitato abbandonava per la prima volta la sua dimensione regionale, appellandosi a tutti i produttori di vino della Francia affinché si comportassero come «degni eredi della rivolta del 1907, in cui molti morirono perché le generazioni future potessero vivere dignitosamente». E in effetti, l’anno seguente, i protezionisti hanno portato avanti una serie di attacchi contro edifici pubblici e privati, supermercati, ma anche a camion che trasportavano vino d’importazione a basso prezzo e intere aziende accusate di colpire volontariamente gli interessi dei lavoratori non solo della Linguadoca, ma di tutto il Paese.
Dopo avere messo la Francia a ferro e fuoco, per cinque anni il Cav sembrava essersi volatilizzato. Ma nel 2013 ha colpito di nuovo: nella notte tra il 16 e il 17 luglio la sede del Partito Socialista (Ps) a Carcassone, nell’Aude, è stata bombardata, e sulla sua facciata i vigili del fuoco hanno trovato gli stessi graffiti lasciati sul palazzo di Dreal quest’anno. Le azioni del Comitato arrivano dopo altri attacchi contro gli edifici del Ps a Narbonne e a Montpellier. I socialisti erano (e sono ancora oggi) il partito di maggioranza nell’Aude, e quindi gli attivisti li identificano come l’associazione che dovrebbe tutelare i loro diritti, ma che non ci riesce.
Il giornale francese Libération ha intervistato il segretario di partito nel dipartimento dell’Aude, Eric Andrieu, che si è detto sorpreso dalle azioni del Cav, dal momento che il governo era riuscito, anche a livello europeo, ad andare incontro a buona parte delle richieste avanzate all’epoca dai viticoltori. L’ex senatore e membro del Ps Roland Courteau è stato meno diplomatico: «Dopo tutto quello che abbiamo fatto ci ringraziano con una bomba? Il mondo del vino deve sapere una cosa: difendere la viticoltura in Senato, a Parigi, non è una passeggiata! Quante volte sono stato chiamato assassino o irresponsabile dalla lobby anti-vino? È difficile difendere la viticoltura: che se lo mettano in testa».
E da quel momento, il Comitato ha ripreso con cadenza regolare a commettere azioni di guerriglia e di boicottaggio in quella che i suoi stessi membri hanno definito «guerre des vins»: ad aprile 2016 un camion spagnolo che importava vino in Francia è stato circondato dai militanti, che ne hanno sversato il contenuto per le strade del paese di Le Bouillon, in Normandia.
I viticoltori francesi erano già irritati dal fatto che il Tour de France, quell’anno, avesse scelto come sponsor un vino cileno: decisione inammissibile e umiliante per i membri del cav, per cui il transito del furgone iberico nel Paese è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Madrid però ha visto l’episodio come una «violazione di numerosi valori dell’Unione europea» e ha accusato la polizia francese di non aver fatto abbastanza per fermare i miliziani. Il Cav però non si è fermato, e ha continuato con i suoi attacchi, dando fuoco a una delle maggiori aziende vinicole del Paese, Vinadeis, nella sua sede di Maureilhan, in Occitania, (e che in realtà importa solo il dieci per cento dei suoi prodotti), e prendendo di mira un imprenditore di Teyran, rovesciando duecento tonnellate di vino e causando danni per trecentomila euro.
Il presidente francese Emmanuel Macron nel 2017 aveva tentato di placare gli animi dei viticoltori in crisi, incoraggiandoli a «pensare e agire come una start up», qualunque cosa significhi. L’idea non è stata accolta positivamente nel settore, dove la disoccupazione toccava, in alcuni ambiti, il venti per cento. E così, ancora oggi, i produttori di vino – anche quelli meno radicali – devono fare i conti con un’industria in crisi che, a detta loro, non è sussidiata sufficientemente da Parigi. E nel 2024 come nel 1976 il Comitato trova terreno fertile per le sue rappresaglie.