I nuvoloni neri su di lui continuano ad addensarsi. L’iniziale del nome è sempre la “F”, ma stiamo chiaramente parlando di Fedez, e non di Fantozzi. Dopo l’ipervetrinizzata separazione dalla moglie Chiara Ferragni – con tanto di paradossali e assai contraddittori strali contro gli operatori dell’informazione (liquidati “spregiativamente” come paparazzi, chissà perché) che se ne sono occupati –, Federico Leonardo Lucia continua a calcare le scene in maniera discutibile, al centro di fatti e fattacci. E non, come verosimilmente dovrebbe essere, per la produzione di qualche contenuto artistico (d’altronde, il dibattito intorno alla loro qualità è assai aperto, e acceso, da tempo).
A ben guardare, la sua rissa con un personal trainer noto alle cronache mondane (diciamo così) nel privé di una celebre discoteca milanese, con contorno di ultras milanisti che gli farebbero da security rappresenta un’istantanea dello spirito del tempo. E già il lessico con cui abbiamo dovuto scrivere la frase precedente risulta più che emblematico. Un episodio e una stratificazione di ruoli e “status” sociali – per dirla con un lessico sociologico fin troppo nobilitante – che sembrano arrivare direttamente dagli anni Ottanta. Con l’unica differenza dell’aggiunta della parola magica “influencer”. Quel decennio, infatti, non è mai finito, e i tempi odierni, mutatis mutandis, ne costituiscono una protesi, anzi un’extension.
Proprio in quel decennio del nostro retrofuturo, al tempo stesso ormai antico e nuovissimo (e fondativo), si è formata una durevolissima «egemonia sottoculturale» realizzata dalla tv commerciale berlusconiana. Un’egemonia vera e profonda, assai più forte e persistente di qualsivoglia tentativo odierno messo in capo dalla Destra maldestra (per citare il nuovo, ottimo libro di Alberto Mattioli, pubblicato da Chiarelettere).
A ben guardare, a detenere un pezzo rilevante dell’egemonia sottoculturale, diffusa e alimentata soprattutto via social media, sono da qualche tempo a questa parte alcuni influencer, con una capillarità, pervasività e potenza di fuoco impareggiabili. E fra loro svetta, giustappunto, Fedez, orgoglioso testimonial di una “vita (alquanto) spericolata” di fatto, sebbene non rivendicata pubblicamente mai come tale (i tempi cambiano anche per i rapper…). E, anzi, finalizzata a farsi direttamente “istituzione”, con il finto impegno politico, e addirittura i sermoncini da sedicente maître-à-penser progressista, abbondantemente corteggiato a sinistra (che si deve fare per provare a pigliare qualche voto in più…).
E, tuttavia, la realtà ha la testa dura, e oggi riemerge in modo palese la sua “natura” autentica, e un posizionamento pseudoengagé tenuto per fini esclusivamente reddituali fino al crollo del “muro di Citylife”. Un’estetica e comportamenti da macho di banlieue in linea con la trap che, a dispetto di tante narrazioni embedded, non è sociologia delle periferie, ma spettacolo per fare business che si traduce in una predicazione da cattivi maestri per troppi ragazzi (basti citare il sessismo e la misoginia in materia). E, a scanso di equivoci, qui nessuno sta facendo del moralismo fine a sé stesso…