L’11 luglio si commemora San Benedetto, patrono d’Europa ma da quest’anno sarà anche la Giornata internazionale per la riflessione e la commemorazione del genocidio del 1995 a Srebrenica. Un nome lungo e articolato che sembra riflettere gli stop&go che hanno segnato il raggiungimento di questo obiettivo all’Assemblea Generale dell’Onu. Comunità internazionale divisa e probabili future scintille di instabilità nei Balcani, dato che dell’eccidio è accusata la Serbia, che in questo momento si sente una cellula dormiente di Russia al centro dell’Europa.
La risoluzione, approvata a maggioranza con molti Paesi astenuti era stata fortemente sostenuta dall’Occidente, da vittime e sopravvissuti e da parte della popolazione bosniaca. Ci sono voluti 29 anni all’Onu per riconoscere il massacro di ottomila persone rastrellate e uccise dalle truppe regolari e paramilitari (gli Scorpioni) guidate dal generale Ratko Mladić, infischiandosene del fatto che l’area delle operazioni era stata dichiarata zona protetta dall’Onu. Ma sulle ricostruzioni dell’evento le polemiche non si sono mai sopite e alcuni paesi portano ancora avanti una linea storico politica negazionista, anche dopo la sentenza delle Corte Internazionale di giustizia che nel 2007 ha confermato che il crimine di guerra è avvenuto per mano serba.
A elaborare il testo della risoluzione sono state le rappresentanze di Germania e Ruanda, con l’appoggio netto di una quarantina di nazioni, tra cui Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Italia e tutti gli Stati balcanici. La Serbia, che rifiuta l’idea di aver commesso un “genocidio”, bolla da sempre la condanna come la scelta di un capro espiatorio gettata addosso a un intero popolo, quello serbo ufficiale ma anche a quella parte di serbo-bosniaci che vivono nell’area. Alla fine, comunque i sì hanno prevalso (84), pur con 19 paesi contrari, tra i quali Cina, Ungheria e Russia. Più grave ancora è che le astensioni sono state ben 68. Così, al Palazzo di Vetro il dibattito si è infiammato e l’esposizione delle motivazioni sul voto da parte dei Paesi membri si è svolta tra le tensioni e gli slogan: «Chi non ricorda il passato è condannati a ripeterlo», ha ammonito la rappresentante tedesca all’Assemblea, Antje Leendertse, ricordando che il «genocidio a Srebrenica è stato riconosciuto» come tale dalla giustizia internazionale e che la Giornata è la via per onorare «le vittime» e favorire un’autentica riconciliazione.
La Serbia, che ha condotto per mesi una durissima battaglia diplomatica contro la risoluzione, puntava a ridurre i sì al testo a meno di cento, come poi è effettivamente accaduto. Così il presidente della Repubblica Serba, Aleksandar Vučić si è rivolto all’Assemblea generale ricordando di «aver già provveduto a onorare le vittime» recandosi a Srebrenica. Ha quindi bollato la risoluzione come politicizzata e totalmente inefficace nell’intento di portare alla pacificazione definitiva in Bosnia e nella regione: «Riaprirà vecchie ferite», ha detto, «creando il caos geopolitico nei Balcani e non solo». Dopo il voto, per protesta Vucic si è avvolto in una bandiera serba.