Le polemiche di questi giorni sulle parole di Jens Stoltenberg riguardo alla possibilità per gli ucraini di usare le armi occidentali per colpire in territorio russo, fondate su un equivoco, ne hanno chiariti in compenso molti altri: facendo cadere l’ultimo velo sulla favola della conversione atlantista, europeista, pragmatica e modernizzatrice della destra italiana, e illuminando lo stato della politica italiana nel suo complesso. Nell’intervista all’Economist del 24 maggio, il segretario generale della Nato diceva infatti una cosa leggermente diversa da quella che la politica italiana gli ha attribuito, e soprattutto non la diceva a noi, ma agli americani (o perlomeno: anzitutto agli americani, sia pure senza nominarli). Stoltenberg si era limitato a spiegare che dal momento in cui il conflitto si è spostato su Kharkiv, in una zona cioè in cui la linea del fronte corrisponde di fatto al confine con la Russia, pretendere che gli ucraini non colpiscano oltre quel confine (come chiede l’amministrazione Biden) limita enormemente le loro possibilità di difendersi. Ragion per cui il segretario della Nato invitava i membri dell’alleanza (cioè, anzitutto, gli Stati Uniti) a valutare la possibilità di togliere quelle restrizioni.
In proposito, ieri il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che si dovrebbe permettere all’Ucraina di neutralizzare le installazioni militari in Russia da cui vengono lanciati i missili, ma non altri obiettivi civili o militari, mentre gli Stati Uniti continuano a frenare. In questa discussione, fin troppo cauta, spicca la sfilza di dichiarazioni allarmate e indignate pronunciate dai vertici del nostro governo, dal ministro degli Esteri a quello della Difesa, per non parlare di stampa e tv, che hanno reagito come se Stoltenberg ci avesse chiesto di invadere la Russia. Reazioni che non si possono spiegare soltanto con la campagna elettorale (ammesso e non concesso che sarebbe una giustificazione, e non un’aggravante).
Pronunciate all’indomani dell’ennesima strage compiuta dai russi, un centro commerciale colpito di sabato pomeriggio, proprio a Kharkiv, con l’unico obiettivo di uccidere quante più famiglie possibile, quelle dichiarazioni non hanno solo un valore politico, ma anche morale. Una vergogna cui si aggiungono, come ciliegina sulla torta, le parole del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, che ieri ha dato direttamente del «bombarolo» a Josep Borrell (il responsabile della politica estera europea, colpevole di avere condiviso la posizione di Stoltenberg). Si conferma così che in Italia i populisti fanno sempre il gioco di Putin, anche quando, occasionalmente, si schierano contro di lui (e non solo in Italia: lo spiegava ieri a Repubblica il ministro degli Esteri Radoslaw Sikorski, e oggi allo stesso giornale dice qualcosa di simile anche il socialista francese Raphaël Glucksmann).
Lo abbiamo già visto con Giuseppe Conte, passato dal voto in favore degli aiuti all’Ucraina alla campagna per interromperli a seconda della sua collocazione in parlamento. E lo abbiamo visto, specularmente, con Giorgia Meloni, passata dalle manifestazioni per togliere le sanzioni alla Russia dopo l’occupazione della Crimea (quando era all’opposizione) alla posizione diametralmente opposta (ora che è al governo). E vedremo cosa farà se a novembre Donald Trump dovesse tornare alla Casa Bianca (è una domanda retorica, ovviamente).
Se a questo umiliante spettacolo aggiungiamo anche le interviste di Marco Tarquinio, candidato del Partito democratico alle europee, sulla necessità di sciogliere la Nato, abbiamo il quadro completo. Vale a dire un arco parlamentare, e un dibattito pubblico, in cui i populisti sono di fatto al novanta per cento. Una tragedia civile in cui hanno una responsabilità particolare, non da oggi, i mezzi di comunicazione: chi ci lavora, chi li dirige e chi li possiede. E in fondo ognuno di noi.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.