Questione di FideszChi è il nuovo leader dell’opposizione a Viktor Orbán

Dopo aver abbandonato il partito del premier, Peter Magyar ha fondato un movimento politico, Tisza, che sta ottenendo un discreto successo nella sua campagna contro la corruzione del governo sovranista

Lapresse/ Magyar

C’è chi dice fossero duemila, in questo caso i numeri della questura non vengono comunicati pubblicamente e quindi bisogna rimanere alle dichiarazioni di chi c’era, il Primo Maggio, in Piazza Szent Imre a Veszprém, non lontano dal lago Balaton. In duemila assieme a Peter Magyar a recitare una poesia che parla delle onde del fiume Tibisco, in ungherese Tisza. Tisza, come il partito di Magyar, il cui nome è in realtà l’acronimo di Tisztelet (Rispetto) e Szabadság (Libertà).

Il colpo d’occhio è sufficiente per tornare al paragone con la sfortunata esperienza di Peter Marki-Zay alla guida della grande coalizione che si schiantò nuovamente contro il premier ultraconservatore Viktor Orbán: c’è chi mostra foto di un raduno proprio a Veszprém durante quella campagna elettorale, con la stessa piazza piuttosto deserta. Marki-Zay non aveva scaldato i cuori e lo testimoniava il meno undici percento che il suo candidato di riferimento aveva preso nel collegio cittadino all’uninominale. L’appuntamento non era in una data casuale, perché il Primo Maggio di vent’anni fa Budapest entrava nell’Unione Europea nel maxi allargamento a Est di quell’anno, dopo che gli ungheresi avevano ampiamente confermato questa volontà nel referendum che si era tenuto nel 2003.

Ci sono buoni motivi per credere che Peter Magyar possa riuscire nell’impresa, seppur platonica, di impedire a Orbán la maggioranza assoluta dei voti alle Europee e preparare l’assalto al 2026, ma non mancano gli scettici e i complottisti. In realtà, la partita non è esclusivamente platonica, perché a Veszprém, come nel resto dell’Ungheria, capitale inclusa, si terranno le elezioni per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali in contemporanea al voto per mandare a Bruxelles e Strasburgo ventuno europarlamentari.

Cinque anni fa, l’opposizione a Orbán ebbe un sussulto quando, spesso grazie agli accordi di desistenza con il partito di destra radicale Jobbik e una serie di liste civiche, riuscì a strappare otto capoluoghi ai venti fino a quel momento governati da Fidesz. Nella capitale, il verde Gergely Karacsony sconfisse l’uscente Istvan Tarlos e, oggi, gioca in difesa contro la giovane orbaniana Alexandra Szentkiralyi, moglie del ministro della Difesa Szalay-Bobrovniczky. A differenza delle Europee, Tisza non schiererà le proprie liste alle amministrative, ma l’opposizione a Orbán andrà comunque divisa, con i liberali di Lmp che sosterranno l’indipendente Vitezy e la destra radicale di “Mi Hazank” a sostegno di Grundtner, uno schema che si riproporrà in quasi tutte le grandi città del Paese e che sarà critico per la tenuta dell’opposizione dato che non è previsto il ballottaggio.

La dispersione del voto non è una novità di quest’anno e sono stati diversi gli episodi che, in passato, hanno fatto pensare ad uno stratagemma gestito da Orbán o da qualcuno del suo cerchio magico: la prima volta fu con Jobbik, nato come partito di destra radicale e anti-rom, finanziato dal tycoon Lajos Simicska, fino a quel momento vicinissimo al premier, tanto che la reazione di Fidesz fu quella di ribattezzarlo pubblicamente Simcsicska (un gioco di parole con la parola csicska, leccapiedi).

Con il tempo, Jobbik si spostò su posizioni meno estremiste e smise di utilizzare un linguaggio incendiario nei confronti delle minoranze. Contemporaneamente, Lmp, che al suo interno aveva figure un tempo vicine a Fidesz come Andras Schiffer od organici al gruppo Simicska come Peter Ungar, si oppose agli accordi di desistenza con il centrosinistra nei collegi cittadini di Budapest, dove Fidesz vinse ipotecando di nuovo il raggiungimento della supermaggioranza in parlamento per poter cambiare la costituzione. L’ultimo episodio, nel 2022, con la fuoriuscita dei membri più radicali di Jobbik a formare “Mi Hazank”, letteralmente “Casa Nostra”.

“Mi Hazank” ha l’ingrato compito di difendere posizioni che fanno sembrare Orbán un moroteo, ma soprattutto quello di contendere i voti dell’opposizione lontano dai grandi centri, dove quindi Fidesz può passare all’incasso. Jobbik, nel frattempo, è sostanzialmente scomparsa e difficilmente verrà riconfermata al Parlamento Europeo, mentre Lmp è stata sospesa dal gruppo europeo dei Verdi per la decisione di correre contro Karacsony a Budapest.

Proprio per questo, non sono pochi a considerare Peter Magyar l’ennesimo strumento di Orbán per mantenere il ruolo di uomo forte a Budapest e pedina di Vladimir Putin nel Consiglio Europeo. Non a caso Magyar ha già riferito di non essere disposto ad alleanze con la sinistra: pur senza nominarlo, lo ha accusato anche l’ex primo ministro Ferenc Gyurcsany qualche giorno fa in un post su Facebook.

Qui bisogna aprire una parentesi su Gyurcsany, perché non si può parlare dell’egemonia di Orbán sulla politica ungherese senza menzionare quella che, nei fatti, è la sua assicurazione sulla vita. Premier socialista dal 2004 al 2009, Gyurcsany si era trovato nel 2006 al centro di uno scandalo dopo che era emersa una sua dichiarazione registrata in cui aveva ammesso, in un confronto privato con i vertici del partito, di aver mentito ai cittadini sulla situazione economica del paese. Oltre alle proteste, il governo di centrosinistra affrontò la crisi seguita al collasso della Lehman Brothers, tutti elementi che contribuirono alla larghissima vittoria di Viktor Orbán nel 2010 grazie alla quale l’attuale premier ottenne i due terzi del parlamento, modificando la Costituzione e la legge elettorale a suo piacimento.

In qualsiasi altro contesto, Gyurcsany sarebbe ai margini della vita politica del Paese, e invece, dopo aver fondato un nuovo partito, Coalizione democratica (Dk), continua a tessere le trame dell’opposizione, complicando non poco ogni tentativo di rinnovamento. Quando non è lui in prima persona a farlo, il contributo è offerto dalla moglie Klara Dobrev, europarlamentare e candidata alle primarie per la leadership dell’opposizione nell’autunno 2021, sconfitta dal cristiano-democratico Peter Marki-Zay, sindaco del piccolo comune di Hódmezővásárhely, battuto a sua volta da Orbán nella primavera successiva. Klara Dobrev guiderà la rinnovata alleanza fra Dk, socialisti e verdi e, come sempre, per Viktor Orbán è sufficiente nominare il rischio di un ritorno di Gyurcsany (oltre al solito spauracchio George Soros) per rinserrare le fila fra i suoi.

Per Orbán, i due anni che lo separano dalle prossime elezioni per il parlamento di Budapest, e che potrebbero incoronarlo premier per la sesta volta, non saranno una passeggiata: con un tasso di inflazione fra i più alti nell’Unione Europea e le prospettive di crescita tutt’altro che rosee, in particolar modo se i fondi comunitari non dovessero essere sbloccati. Orbán continua a mantenere la propria egemonia lontano dalle grandi città, dove questi problemi sono percepiti in misura minore, ma per la prima volta potrebbe ritrovarsi ad avere un avversario nel suo stesso campo. A questo si aggiunge il recente scandalo legato alle molestie sessuali nelle case-famiglia, che hanno condotto alle dimissioni della presidente della Repubblica Katalin Novak, ora sostituita dall’ex Presidente della Corte costituzionale, Tamas Sulyok.

Peter Magyar non sembra intenzionato a distaccarsi ideologicamente dal premier e dal partito di cui fa parte la sua ex moglie, ma le sue rivelazioni sulla corruzione imperante nel paese hanno causato un malcontento decisamente insolito, dati i precedenti. La macchina della propaganda legata a Orbán e trainata dalla Fondazione per l’informazione mitteleuropea (Kesma), ha già pubblicato accuse di violenza domestica da parte di Magyar nei confronti dell’ex moglie, Judit Varga, già ministra della Giustizia e per lungo tempo ritenuta erede di Viktor Orbán alla guida di Fidesz, caduta in disgrazia anche lei dopo lo scandalo-molestie.

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