Emmanuel Macron prende Xi Jinping per la gola in una baita sull’amato Tourmalet, dove trascorse molto tempo durante l’infanzia insieme all’adorata nonna, gli fa assaggiare agnello, prodotti tipici e torta di mirtilli. Il presidente cinese dice di amare molto i formaggi francesi e promette che sponsorizzerà i prosciutti della zona. Di più: non imporrà dazi sul brandy europeo, che minacciava di colpire soprattutto l’export dei liquori francesi. Ad ascoltare questo resoconto e a vedere le immagini dei due leader sorridenti con gli ombrelli sotto la neve primaverile pirenaica, verrebbe da pensare che si tratta di due grandi amici.
Ed è su questa immagine che puntano entrambi, per ragioni diverse, per mantenere una relazione che nessuno dei due può ancora permettersi di far deragliare, nonostante la strategia di «riduzione del rischio» nei rapporti commerciali con la Cina perseguita dall’Unione europea. La due giorni in Francia ha segnato il ritorno di Xi in Europa, dove mancava da oltre cinque anni. L’ultima volta era datata marzo 2019. Allora il leader cinese era arrivato in Italia per assistere vittorioso all’adesione del governo gialloverde di Giuseppe Conte alla Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta. E poi era andato in Francia, dove aveva firmato accordi per oltre trenta miliardi di euro.
In questi cinque anni è cambiato tutto. E il fatto che l’Italia sia uscita dalla Nuova Via della Seta è forse lo sviluppo meno sostanziale. La guerra in Ucraina, la nuova crisi in Medio Oriente, l’escalation della rivalità tecnologica e strategica tra Cina e Stati Uniti hanno cambiato drasticamente anche il volto dei rapporti tra Pechino e Ue. Se un tempo la Cina era vista soprattutto come un’opportunità commerciale e di investimenti, ora si percepiscono di più le sfide che comporta, sia dal punto di vista geopolitico sia da quello economico. I rapporti con la Russia, l’eccesso di produzione industriale e i sussidi di stato ai colossi privati di alcuni settori strategici erano i tre punti in cima all’agenda di Ursula von der Leyen, quando si è seduta al tavolo del trilaterale co Xi e Macron lunedì mattia.
Nonostante tutti questi cambiamenti, il presidente francese ha riproposto lo stesso schema del 2019. Prima gli incontri di gruppo, poi quelli bilaterali e ifine una gita fuori da Parigi per colloqui più personali, quasi intimi. Prima il dovere, poi il piacere, verrebbe da dire. Nel 2019, il presidente francese invitò Angela Merkel e Jean Claude Juncker, alloraCancelliera tedesca e Presidente della Commissione europea. Stavolta ha invitato Von der Leyen, così come aveva fatto nell’aprile del 2023 quando era stato lui ad andare a trovare Xi a Pechino. Ufficialmente, la mossa dovrebbe mostrare unità europea nell’approccio alla Cina, ma in realtà offre a Macron la possibilità di lasciar toccare tutti i dossier più controversi alla compagna di banco, per poi concentrarsi sugli affari negli incontri a due.
Nonostante le recenti dichiarazioni di Macron, che ha denunciato le pratiche economiche della Cina, la von der Leyen è stata la più critica in pubblico, sottolineando l’eccesso di capacità produttiva cinese nella dichiarazione rilasciata alla stampa dopo l’incontro. «In combinazione con una domanda interna che non aumenta, il mondo non può assorbire la produzione in eccesso della Cina», ha dichiarato. Macron ha assunto un tono più misurato, affermando che Xi deve offrire «regole eque per tutti». Il leader cinese ha negato l’esistenza di un «cosiddetto problema di sovraccapacità della Cina».
I problemi tra Pechino e Bruxelles come gruppo sono rimasti per lo più irrisolti. Nelle prossime settimane l’Ue potrebbe introdurre nuovi dazi sulle importazioni di auto elettriche cinesi al termine di un’indagine su presunti sussidi di stato. Un problema per Xi, che punta molto sul mercato europeo per l’esportazione dei veicoli di nuova generazione. Ma nel mirino c’è un po’ tutta l’industria tecnologica verde, compresi i pannelli solari e le batterie. Xi ha chiesto all’Ue di «depoliticizzare» i rapporti commerciali e ha fatto capire che la Cina reagirà con delle possibili ritorsioni. Tra le leve che potrebbero essere azionate da Pechino ci sono le terre rare e le risorse minerali utili alla produzione di microchip ma anche di auto elettriche e altri segmenti della green economy.
Almeno pubblicamente, è apparso come meno conflittuale il colloquio sulla politica internazionale. Nonostante le crescenti pressioni degli Stati Uniti sui presunti aiuti finanziari e l’invio di dispositivi dual use della Cina alla Russia, l’Europa sembra per ora farsi bastare le rassicurazioni di Xi sul fatto che non fornisce e non fornirà armi a Mosca, e che attuerà maggiori controlli sul possibile invio di prodotti con potenziali applicazioni dual use. Xi ha ribadito di essere pronto a favorire i negoziati di pace, e sempre con lo stesso approccio: oltre all’integrità territoriale ucraina vanno tutelate le «legittime preoccupazioni di sicurezza di Mosca». Il messaggio che fa passare è sempre quello: se si vuole trovare una soluzione bisogna parlare con Vladimir Putin. E Xi lo farà presto, visto che già la prossima settimana potrebbe riceverlo a Pechino per la terza volta in poco più di due anni.
Tra i momenti ad alto tasso simbolico dei colloqui tra Macron e Xi c’è anche quello degli scambi delle torce olimpiche, un riferimento all’impegno preso dal leader cinese a sostenere la proposta francese di tregua di «tutte le guerre» durate i Giochi Olimpici che cominceranno a luglio a Parigi. Insomma, sull’Ucraina il balletto è sempre lo stesso: all’Europa fa comodo sperare in un improbabile intervento pacificatore cinese, a Pechino fa comodo mostrare un volto più teoricamente «imparziale». Ma senza prendere impegni concreti. Anzi, Xi è convinto che dopo oltre due anni di guerra in Occidente inizino a esserci stanchezze e scetticismi. E che dunque c’è chi possa iniziare a considerare la sua posizione come più allettante e accettabile.
Ecco perché Xi ha scelto Parigi per il suo ritorno in Europa. Macron sembra avere posizioni inconciliabili con le sue sull’Ucraina, quando ipotizza l’invio di armi ma anche di truppe a sostegno di Kyjiv, elementi che la Cina giudica come «gettare benzina sul fuoco». Ma allo stesso tempo a Pechino piace molto il continuo richiamo del presidente francese a una «autonomia strategica europea», che nella prospettiva cinene significa una parziale presa di distanze dalla politica estera europea. «Essere alleati non significa essere vassalli», aveva d’altronde detto Macron in riferimento agli Stati Uniti lo scorso anno, proprio durante la sua visita in Cina. I media di Stato hanno esaltato questo approccio anche nei giorni scorsi, decantando un rapporto bilaterale basato su due affinità: avere «anime indipendenti» e possedere «grandi ricchezze culturali». Xinhua, l’agenzia di stampa di Stato cinese, ha ricordato tutte le passioni letterarie e artistiche made in France di Xi: Balzac, Maupassant, Stendhal, Debussy. E si riserva uno spazio speciale alla citazione di Victor Hugo, da un passo de “I miserabili”: «Ci vuole una mente più ampia del cielo mentre ci avviciniamo a civiltà diverse». È quel rispetto reciproco – leggasi non interferenza nei propri affari interni e non omologazione del modello politico – che Pechino chiede nel confrontarsi con l’Occidente.
Oltre al ricchissimo cerimoniale di accoglienza tra Les Invalides e l’Eliseo, in Cina hanno raccontato la trasferta sui Pirenei come l’ennesimo segnale di un rapporto tra i due Paesi e tra i due leader che va oltre le formalità diplomatiche e sfocia nell’amicizia. Anche qui, una prassi consolidata. Nel 2019, dopo il confronto con Merkel e Juncker, Macron aveva portato Xi a Nizza regalandogli un prezioso libro del XVII secolo su Confucio. L’anno scorso, Xi era invece inusualmente uscito da Pechino per accompagnare Macron nel sud della Cina. Per la precisione al Giardino dei Pini di Guangzhou, dove suo padre aveva trascorso anni fondamentali come funzionario. Le immagini di allora, coi due leader intenti a bere tè sulle note di un’antica canzone cinese sull’amicizia, hanno girato a lungo sulle televisioni. Non è un caso allora che, stavolta, i media cinesi abbiano individuato negli scambi personali al Tourmalet il «clou della visita» di Xi.
Al di là della forma, sono stati raggiunti accordi su energia e finanza, oltre che sul cognac. Ma non sono giunte novità sui negoziati per un nuovo ordine di aerei Airbus. Sempre meglio il fronte bilaterale che quello d’insieme con l’Ue, dunque. Non è un caso: Xi sa che può ottenere risultati migliori insistendo nelle relazioni one-to-one. Anzi, in alcuni casi, i rapporti bilaterali sono funzionali anche a mandare dei segnali più ampi. Prima ancora di lasciare i Pirenei, Xi ha criticato la Nato attraverso un articolo a sua firma uscito sul quotidiano filogovernativo serbo Politika. La seconda tappa del presidente cinese è infatti Belgrado, la capitale europea forse più legata a Mosca. Un viaggio che coincide con il venticinquesimo anniversario del bombardamento Nato sull’ambasciata cinese, durante la guerra aerea Nato contro l’allora Jugoslavia di Milosevic. Infine, Xi andrà in Ungheria dove, insieme a Viktor Orbán, inaugurerà un impianto di auto elettriche della cinese Great Wall Motors. Una risposta emblematica alla possibile introduzione di dazi europei.