Quante lezioni ci sono nella disputa legale tra Samuel Harris Altman, di professione accumulo di cliché, e Scarlett Ingrid Johansson, di professione star del cinema, quante. Quante lezioni che come sempre non impareremo.
Altman e Johansson hanno trentanove anni, ma lei sappiamo chi è da ormai cento: a tredici era la bambina dell’“Uomo che sussurrava ai cavalli”, a diciotto la ragazza che c’illuse che Sofia Coppola fosse una regista in “Lost in translation”.
Altman, invece, è la copia di mille riassunti: ha mollato l’università come tutti i miliardari delle piattaforme, da Zuckerberg in giù; ci sono più sue foto in maglietta che in giacca, come tutti gli adolescenti senili di questo secolo; è gay, come l’intera popolazione di San Francisco; ed è a capo di OpenAI, il software di intelligenza artificiale del quale osservatori contriti dicono eh, certo, ora è goffo, ma quando poi impara ci arrubba il lavoro a tutti – e io dico: ma come fa a imparare, se lo programmano umani, deficienti come sono gli umani?
Sabato scorso, il marito di Scarlett Johansson (il terzo, quello in carica, Colin Jost) ha fatto nel suo ruolo al “Saturday Night Live” una gag che non faceva ridere (cioè una gag media di quel programma). Il suo compare di rubrica, Michael Che, gli ha scritto delle battute che lui avrebbe scoperto solo leggendole in diretta, e una di esse riguardava Scarlett.
La rubrica si chiama “Weekend Update”, è una parodia di tg, e la battuta che il marito ha dovuto leggere sulla moglie faceva così: «Chat Gpt ha una nuova voce guida ispirata al personaggio dell’intelligenza artificiale di Scarlett Johansson in “Lei”, che io non mi sono mai incomodato a guardare perché senza quel corpo che mi frega di ascoltare».
Servono alcune didascalie per capire, se siete privi di riferimenti culturali com’è il lettore medio di questo secolo. “Lei” è, assieme a “Lost in translation”, il film per cui è più famosa Scarlett Johansson (lo diresse Spike Jonze che, poiché Hollywood non è affatto un capitalismo familiare, fu il primo marito di Sofia Coppola). In “Lei” non si vede mai Johansson: il suo personaggio è appunto una voce, un’assistente virtuale di cui il non sanissimo di mente protagonista s’innamora.
Johansson era perfetta per la parte giacché è uno di quegli invidiabili esseri umani che, oltre ad avere un aspetto supercalifragilistico, hanno anche una voce strappamutande: una selezione che va da Lauren Bacall a Vittorio Gassman.
Ora, secondo la convenzione narrativa, che sospetto sia realistica, Jost e Che davvero non hanno mai letto prima d’andare in onda le battute che ognuno fa leggere a sorpresa all’altro. Sospetto sia vero perché l’imbarazzo mostrato da Jost m’era sembrato, vedendolo, di grandissima lunga superiore alle doti recitative di cui il ragazzo è in possesso.
Pensavo dipendesse dal fatto di dover fare una battuta sulla moglie, e invece, avanzamento veloce di 48 ore, e si scopre che Scarlett sta facendo il culo ai signori dell’intelligenza artificiale per averle arrubbato la voce. Mi pare plausibile che il marito sapesse degli avvocati al lavoro, e tuttavia porello che poteva fare: rifiutarsi in diretta di leggere il gobbo?
Lunedì sera arriva il comunicato, che comincia così: «Lo scorso settembre ho ricevuto un’offerta da Sam Altman, che voleva scritturarmi per dare la voce all’attuale sistema 4.0 di ChatGPT. Mi ha detto che sentiva che, prestando la mia voce al sistema, avrei potuto colmare il divario tra le aziende tecnologiche e i creativi, e aiutare i consumatori a sentirsi a loro agio con la transizione sismica che riguarda gli umani e l’intelligenza artificiale. Disse che sentiva che la mia voce sarebbe stata di conforto alla gente». Le scelte lessicali sono un po’ così, ma s’intravede una versione per atei del rosario.
Scarlett rifiuta, «dopo averci molto pensato e per ragioni personali», e poi esce ’sto software e «i miei amici, la famiglia, il grande pubblico» (e il compare in trasmissione di mio marito) si accorgono che Sky (il nome della voce di ChatGPT) suona proprio tale e quale a lei.
«Quando ho ascoltato la prova resa pubblica, ero scioccata, arrabbiata e incredula che il signor Altman utilizzasse una voce che era così inquietantemente simile alla mia da rendere impossibile distinguerci ai miei più cari amici e alle testate giornalistiche» (testate giornalistiche invero antonomasia di osservatrici accurate).
Ma il punto in cui s’incarna plasticamente il presente è questo: «Il signor Altman ha persino insinuato che la somiglianza fosse intenzionale, twittando una sola parola, “her”: un riferimento al film in cui davo la voce a un sistema di chat, Samantha, che costruisce una relazione intima con un umano».
Ora, già così capite che abbiamo in una sola cazzata tutti i problemi di tutte le classi dirigenti di tutto il pianeta in questo povero secolo. Tu sei il gran capo della gran azienda tecnologica più esposta del momento; chiedi a una delle voci più famose del mondo, una che con quella voce fattura, di lavorare per te; quella ti dice di no, e tu non solo la usi lo stesso, ma ti privi della possibilità di accampare buona fede twittando il titolo del film grazie al quale la sua voce è divenuta monetizzabile. Ma allora sei scemo. Ma allora sei incontinente (speriamo che la Gruber non mi chieda i diritti). Ma allora non hai degli avvocati, o se ce li hai staranno cercando lavoro presso clienti meno dementi.
Non è mica finita. Il comunicato si conclude, casomai la smania di twittare a costo d’inguaiarsi non bastasse, con quest’altro dettaglio magnifico. «Due giorni prima che la prova di ChatGPT 4.0 fosse distribuita al pubblico, il signor Altman ha contattato il mio agente, chiedendo che io ci ripensassi. Prima che avessi il tempo di rispondergli, il sistema era stato pubblicato».
Quindi questo coglione, non pago della coglionaggine di dire «ma che ci frega, usiamo lo stesso la sua voce, che potrà mai fare», twitta (il 13 maggio, cioè giorni prima della distribuzione al pubblico) «her», poi insiste per avere l’approvazione di Johansson, poi dice no vabbè pubblichiamo comunque.
L’interpretazione più lunare che abbia letto – perché vale sempre la regola che, per quanto grande sia la tua coglionata, i commentatori dell’internet ti supereranno – è che Altman non è davvero gay: nessun uomo gay violerebbe così la volontà e l’autodeterminazione d’una donna, è un tipico gesto da maschio etero. Non vorrei dire che ho molti amici busoni, ma ho in effetti molti amici busoni, e devi averne avuti veramente pochi per pensare che la loro caratteristica precipua sia essere miti e rispettosi.
Ma naturalmente non c’entrano l’essere gay o etero o uomini o donne: c’entra il potere. Sui social gira il video fatto da una giornalista della Nazione che, con la premessa «Pensati donna», si chiede cosa succederebbe se le frasi sessiste che ci sentiamo abitualmente rivolgere noi venissero indirizzate agli uomini.
È un video assurdo perché, per verificarlo, si è portata dietro un operatore di ripresa. Se una ti dice «Ti sei perso? Vorrei essere la tua bussola», pensi semplicemente sia una che ci prova in modo goffo; se te lo dice avendo a mezzo metro un tizio con telecamera, non rispondi a lei: rispondi al pubblico a casa. Abbiamo i telefoni con le telecamere da quasi due decenni e ancora non abbiamo imparato che l’accensione della telecamera falsifica la realtà: cosa potrà mai andar storto, con una curva d’apprendimento così piatta.
Altman, che vive in California da quarant’anni, ancora non ha capito che essere un magnate delle tecnologie ti dà sicuramente più soldi, ma non necessariamente più potere dell’essere un’attrice famosa in tutto il mondo, in un’epoca in cui non solo quella può giocarsi la carta della donna gravemente sovradeterminata (una parola che persino le influencer ormai conoscono), ma pure il tema sensibile dell’identità.
Johansson gli fa scrivere dagli avvocati (cosa pensavi facesse, cuore di mamma, dicesse «eh vabbè pazienza»?), e allora Altman «riluttantemente ha acconsentito a ritirare la voce di “Sky”». Sarebbe interessante sapere quanti soldi abbia fatto perdere alla sua azienda, con questo giochino, questo genio del purissimo presente che guadagnerà in un’ora quello che noialtri in dieci anni. Sarebbe interessante sapere quando cominceremo a renderci conto che non il cambiamento climatico, non gli stipendi bassi, non i menu delle mense scolastiche: la vera emergenza dell’occidente è la mezzasegaggine delle classi dirigenti.