Silene, strigoli, stridoli, cornagì, sciopetì, sclopit, grisolò, grisulò, grisu, grisel, carletti, erba del cucco, verzulì, sono alcuni nomi con cui è nota nelle diverse regioni d’Italia la silene vulgaris, un’erba spontanea commestibile, ricca di vitamina C, sali minerali, acidi grassi e saponine. Nomi che non dicono molto, ma la silene basta vederla in foto per riconoscerla. È quella piantina di circa cinquanta centimetri di altezza con strani fiori bianchi o leggermente rosati e rigonfi noti anche come bubbolini, che sembrano invitare a farli scoppiare. Un gioco un tempo diffuso in campagna tra i bambini, che consisteva appunto nel provocare un piccolo scoppiettio con i fiori della pianta picchiettandoli sul dorso della mano.
Non è facile trovarla nei negozi, anche se alcuni supermercati e le botteghe più attente ai prodotti di nicchia a volte la propongono, ma non è un problema: la silene, che fa parte della famiglia delle cariofillacee, è facilmente adattabile, e prospera in tutt’Italia, dal mare alla montagna, fino a oltre milleseicento metri di altitudine. Cresce nei campi, ma anche a ridosso dei muri e ai bordi delle strade.
Fiorisce da maggio a luglio, dove fa più caldo anche fino all’autunno, ma il suo tesoro nascosto, da raccogliere prima della fioritura, dalla fine di marzo a maggio, sono i germogli e le foglie. Verde cenere, opposte e ovali, quasi prive di picciolo e carnose, di gusto delicato e dolce, si prestano a tutti gli impieghi delle erbe e delle verdure. Può essere consumata cruda, ad esempio nelle insalate, mescolata con altre erbe, spontanee e non, ma solitamente viene cotta e impiegata per preparare frittate, torte salate, al posto di spinaci e bietole, minestre e risotti, a cui aggiunge sapore senza stravolgerne il gusto.
Dalla sua lavorazione nascono pesti come la crema di cornagì e noci e la crema di cornagì e nocciole, ottimi per condire la pasta, per arricchire frittate e torte salate oppure da spalmare su bruschette, piadine e crostini. E Galeata, nell’Appennino forlivese, le ha dedicato una manifestazione, la Sagra dello stridolo, che offre solo piatti tipici cucinati con la silene.
Anche se non fa parte delle piante officinali è usata fin dai tempi antichi per uso terapeutico grazie alle sue proprietà antiossidanti, dovute all’elevata quantità di sali minerali e fenoli, all’efficacia come diuretico. Inoltre, favorisce il transito intestinale concorrendo al benessere dell’intestino. Meno noto il suo potere emolliente, che la rende un ingrediente prezioso per la produzione di saponi per la pelle.
Perché, tra tanti nomi, quello ufficiale sia silene, non si sa con certezza. Si vuole che discenda da Sileno, divinità minore dei boschi nella mitologia greca e parente più zotico dei centauri. Dall’aspetto di un anziano calvo, corpulento e peloso e amante del vino, era raffigurato con una grande pancia. Gonfia, appunto come il panciuto calice florale della pianta.
Secondo un’altra ipotesi, il nome deriverebbe dal greco sialon, che significa saliva, muco, in riferimento alla sostanza bianca e appiccicosa presente nel fusto e nel calice fiorale di molte altre specie dello stesso genere. Una versione più romantica, invece pensa che il nome derivi da Selene, la luna, per la caratteristica di alcune specie di aprire i fiori di notte.