Memoria balcana Il nazionalismo serbo continua a sfruttare il massacro di Srebrenica per i suoi scopi

Alla risoluzione Onu che ha indicato l’11 luglio come giornata per la riflessione e la commemorazione sul genocidio commesso è seguita un’ondata di polemiche. La Serbia ha scelto di marciare sul revisionismo storico e colto l’occasione per rinsaldare i rapporti con il leader della Republika Srpska, Milorad Dodik

AP/LaPresse

Lo scorso 23 maggio l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una storica risoluzione che, a quasi trent’anni da quell’11 luglio del 1995, istituisce la giornata internazionale di riflessione e commemorazione sul genocidio di Srebrenica. Un atto dovuto che ha però trovato nel suo percorso forti resistenze soprattutto da parte della Serbia e dei suoi alleati. I Paesi che hanno votato a favore sono stati ottantaquattro, diciannove i contrari e sessantotto gli astenuti.

A sviluppare il testo della risoluzione sono stati i rappresentanti di Germania e Ruanda, con l’appoggio netto di una quarantina di nazioni, tra cui Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Italia e tutti gli Stati balcanici. Il fronte europeo non è stato del tutto compatto a causa dell’astensione di Grecia e Slovacchia e del voto contrario, ça va sans dire, dell’Ungheria. Contrarie anche Cina e Russia.

A Srebrenica nel 1995 vennero massacrati 8372 bosgnacchi (bosniaci musulmani) per opera dell’esercito della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina guidato da Ratko Mladić. Una sentenza del 2007 della Corte internazionale di giustizia e numerose sentenze del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia hanno stabilito che a Srebrenica, essendo stato commesso un massacro con lo specifico intento di eliminare un gruppo etnico, si è trattato di genocidio. Non vi sono dunque dubbi sulla natura di uno dei più spaventosi crimini della storia recente ed è per questo che sembra surreale la polemica scaturita negli ultimi giorni.

Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha visto nella risoluzione dell’Onu un’opportunità politica per continuare a dare vigore a una narrazione nazionalista sostenuta dai partiti di estrema destra del Paese. Una narrazione che vede il massacro di Srebrenica come una dimostrazione della forza nazionalista serba. Vučić ha definito la risoluzione come «altamente politicizzata» mettendo in guardia gli altri Stati su un ulteriore logoramento dei rapporti tra la Bosnia ed Erzegovina e la Republika Srpska, l’entità che rappresenta i serbi di Bosnia guidata dal suo alleato Milorad Dodik. La plateale protesta del presidente serbo, che dopo la votazione si è avvolto nella bandiera del suo Paese, nasce proprio dalla necessità di mantenere in equilibrio i rapporti con la Republika guidata da Dodik. Un argomento debole visto che non viene aggiunto nulla di nuovo rispetto a quanto stabilito nelle sentenze dei tribunali internazionali. Ma, come detto, Vučić ci ha visto un’opportunità.

Abbiamo chiesto a Giorgio Fruscione, research fellow di Ispi che da anni si occupa di Balcani, di commentare per Linkiesta la vicenda. «Vučić non fa niente di nuovo, è la solita strategia del vittimismo che serve a scrollarsi di dosso le responsabilità politiche e militari. La sceneggiata dell’Onu gli è utile in politica interna dove ha provato a mobilitare la popolazione con il mantra “non siamo un popolo genocida”. Come se la risoluzione delle Nazioni Unite insinuasse qualcosa del genere. Dopo la modifica al testo richiesta dal Montenegro è indicato a chiare lettere come quei crimini siano da imputarsi alle persone e non a un popolo. Tutto sommato l’esito del voto aiuta la narrativa interna di Vučić che potrà dire che i favorevoli sono stati minori della somma di astensioni e voti contrari. Non dimentichiamo che il 2 giugno si vota a Belgrado».

In fin dei conti il presidente serbo proviene da quel movimento nazionalista legato al passato che su Srebrenica ha posizioni ambigue. Certo, sulla guerra non può essere negazionista se vuole mantenere una certa credibilità a livello internazionale, ma l’atteggiamento delle istituzioni lascia perplessi: «Non c’è una propaganda attiva da parte del Governo – prosegue Fruscione – ma attraverso alcuni atteggiamenti si strizza l’occhio ai movimenti nazionalisti di estrema destra e a una narrazione sbagliata. Un tipo di comunicazione che passa attraverso l’arte urbana e questo comprende anche i murales di Mladić che a Belgrado sono tutto sommato tollerati. Si pensi che l’attivista per i diritti umani Aida Ćorović è stata condannata da un tribunale serbo per aver lanciato due uova contro un graffito raffigurante Mladić, un genocida e criminale di guerra».

C’è poi la questione della Republika Srpska, l’entità che rappresenta i serbi di Bosnia. Il presidente Dodik è da sempre vicino a Belgrado e a lui la Serbia ha delegato anche le relazioni con la Russia. Il concetto del “mondo serbo”, ovvero che la Serbia si trovi ovunque ci siano i serbi, uno dei capisaldi della politica estera di Vučić, non fa che alimentare le mire secessioniste della Repubblica serba di Bosnia. «Il cosiddetto “mondo serbo” – sottolinea Fruscione – non è altro che una brutta copia del “mondo russo” e la massima espressione di questo concetto è proprio la Republika Srpska. Dodik è qualcosa di più di un alleato per Vučić. Il leader bosniaco di etnia serba, avendo le mani maggiormente libere a livello internazionale, è la figura che si occupa del lavoro sporco per conto di Belgrado. Dall’inizio del conflitto in Ucraina Dodik ha incontrato Vladimir Putin in quattro occasioni ed è difficile pensare che l’argomento fosse sempre la Republika Srpska. Vučić sfrutta Dodik per le questioni interne ma a lui vengono appaltati anche i rapporti con la Russia».

Srebrenica resta quindi ancora un tema dirimente e divisivo. Non a caso, nel giorno del voto della risoluzione Onu, l’assemblea della Republika Srpska si è riunita proprio nella città dove avvenne il massacro del 1995. Dodik ha voluto mandare un segnale e Vučić a New York gli ha fatto da cassa di risonanza. Fortunatamente la sceneggiata serba non è servita e le Nazioni Unite hanno approvato un documento che “condanna senza riserve” qualsiasi negazione del genocidio di Srebrenica oltre ad “azioni che glorificano coloro che sono stati condannati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio dai tribunali internazionali”.

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