Sembra passato ormai un secolo da quando l’allora ministra degli Interni britannica, Priti Patel, annunciava con tono solenne che il Regno Unito aveva sottoscritto un accordo per la deportazione degli immigrati irregolari in Ruanda. L’intesa, stretta nell’aprile del 2022, colse molti, sia politici che cittadini, di sorpresa. Il governo, però, si è sempre dimostrato risoluto nel sostenere che questa fosse una misura necessaria per contrastare l’immigrazione clandestina nel Paese.
La legittimità di tale politica fu messa subito in discussione. Organizzazioni benefiche per i diritti umani, esperti legali e politici di entrambe le fazioni (sì, anche conservatori) avevano fin da subito espresso una serie di remore riguardo a quello che in questi anni abbiamo conosciuto come Rwanda Bill.
Chi però non ha mai mollato è stato il primo ministro conservatore Rishi Sunak, che da quando si è trasferito a Downing Street nell’ottobre di quell’anno, è rimasto saldo al suo impegno di fermare le attraversate della Manica nonostante la bocciatura della Corte Suprema e le continue faide interne al partito causate proprio da tale politica.
Un’incessante danza attraverso la Camera dei Comuni e quella dei Lord ha caratterizzato gli sforzi del governo per convertire il disegno di legge sul Ruanda in norma prima delle prossime elezioni generali. E finalmente, la scorsa settimana, dopo quasi due anni dall’iniziale annuncio e con tre differenti ministri degli Interni al timone, Sunak ha ottenuto il tanto agognato via libera parlamentare per la sua ambiziosa policy.
«Niente se e niente ma, i voli per il Ruanda partiranno» ha dichiarato Sunak dopo l’approvazione del disegno di legge, spiegando che ci vorranno circa dodici settimane prima che l’operazione abbia effettivamente inizio.
Sebbene nessun richiedente asilo sia stato ancora inviato in Ruanda, il mese scorso l’organismo di vigilanza indipendente della spesa pubblica britannica ha dichiarato che il governo avrà pagato al Ruanda trecentosettanta milioni di sterline, ovvero circa quattrocentotrentatré milioni di euro, entro la fine del 2024. E i costi per attuare la legge aumenteranno ancora di più quando inizieranno effettivamente a decollare i voli. Per ogni persona inviata, il Regno Unito si è impegnato a pagare al Paese africano ulteriori ventimila sterline (ventitremila euro) in spese di sviluppo, più 150.874 sterline (176.507 euro) a persona per i costi operativi. Non solo: dopo l’invio dei primi trecento migranti, Londra ha garantito a Kigali che invierà altri centoventi milioni di sterline (centoquaranta milioni di euro).
Si tratta di numeri da capogiro, soprattutto per un Paese ancora dilaniato dalla crisi del costo della vita e le cui previsioni di crescita economiche sono le più basse di tutti gli altri paesi del G7. Numeri, però, su cui Sunak si gioca il suo futuro politico.
Certo è che l’immigrazione nel Regno Unito ha dominato il dibattito a Westminster per anni. Dal momento in cui l’ex primo ministro David Cameron promise di ridurre la migrazione netta nel 2010, alla sua importanza nel referendum sulla Brexit nel 2016, i politici britannici di entrambe le fazioni si sono confrontati con questa questione per oltre un decennio.
Un recente sondaggio mostra che anche il pubblico continua a tenerci molto. Sebbene l’interesse verso la lotta contro l’immigrazione illegale non sia più una priorità per i cittadini britannici, che sono più preoccupati per la condizione economia e la crisi abitativa del Paese, il trentotto per cento di loro lo ritiene uno dei problemi più importanti che il Paese deve affrontare. Motivo per cui l’attuale inquilino di Downing Street ha legato il suo futuro politico al riuscire a far approvare la politica sul Ruanda. Sunak però, pare aver fatto i conti senza l’oste.
Secondo un recente sondaggio, infatti, solo un elettore su cinque ritiene che il programma per il Ruanda dovrebbe essere portato avanti; con un’ulteriore indagine che rileva che solo un quarto del pubblico considererebbe il decollo degli aerei un “successo”.
«I veri problemi di Rishi Sunak potrebbero essere appena iniziati ora che la legge sul Ruanda è passata in Parlamento. Solo un quarto delle persone ritiene che un aereo in volo per il Ruanda costituirebbe un successo per questo accordo» ha commentato Sunder Katwala, direttore del centro studi British Future, aggiungendo che «il piano del Ruanda continua a dividere l’opinione pubblica lungo linee politiche».
Sunak ha quindi portato avanti un piano che non solo è stato condannato dai gruppi per i diritti umani e giudicato illegale dai tribunali, ma che è anche impopolare tra gli elettori. Al punto che il quaranta per cento dei cittadini vorrebbe che il leader laburista, Keir Starmer, qualora dovesse vincere le elezioni generali, eliminasse il piano. E lo stesso Starmer ha affermato che un suo governo abolirebbe effettivamente l’accordo sul Ruanda.
Ma cosa prenderebbe il suo posto? Il Labour ha ventilato l’idea di lavorare più strettamente con l’Unione europea, potenzialmente garantendo un nuovo accordo per i richiedenti asilo concentrandosi anche maggiormente sulla sicurezza delle frontiere. Tuttavia, il rapporto tra Uk e Ue si è in questi giorni incrinato dopo che l’Irlanda ha dichiarato di voler rimandare i richiedenti asilo nel Regno Unito in base alla legislazione di emergenza, dopo che è emerso che l’ottanta per cento dei recenti richiedenti asilo in Irlanda sono arrivati attraverso il confine terrestre con l’Irlanda del Nord. La proposta è stata duramente respinta da Sunak, che ha specificato che Londra «non ha alcun obbligo legale di accettare il rimpatrio di migranti illegali dall’Irlanda».
I media britannici definiscono questa più una farsa che una vera crisi, una situazione che entrambe le parti preferiscono esagerare piuttosto che risolvere. Ma nel rifiuto del Regno Unito di contemplare il ritorno dei migranti dall’Irlanda, in assenza di un accordo sui rimpatri a livello europeo, c’è forse evidenza che qualcosa di più fondamentale potrebbe essere cambiato nelle relazioni tra Londra e Bruxelles?
Tutto questo succede mentre milioni di elettori in Inghilterra e Galles hanno votato giovedì in una serie di elezioni locali, l’ultimo vero grande test prima delle elezioni generali nel Regno Unito che, secondo tutti gli indicatori, vedranno il Partito conservatore estromesso dal potere dopo quattordici anni.
Mentre Sunak sperava di poter mettere a tacere le voci secondo cui il Partito conservatore cambierà nuovamente leader prima delle elezioni principali del Regno Unito, Starmer spera nella conferma di ciò che i sondaggi d’opinione hanno mostrato da due anni: cioè che il Partito laburista è sulla buona strada per ottenere il potere per la prima volta dal 2010.
Entrambi i partiti lottano per ottenere fiducia sull’immigrazione. Tuttavia, sebbene, l’immigrazione sia la quarta priorità del pubblico in generale, e si collochi come terza questione più importante per gli elettori conservatori, risulta solo dodicesima per il gruppo più ampio che intende votare per il Labour. Alla fine, quindi, la questione dell’immigrazione nel Regno Unito e il suo impatto sulle elezioni, dipenderanno dalla capacità di entrambe le fazioni di affrontare le complesse sfide e le preoccupazioni dei loro elettori.
Sembrerebbe essere però troppo tardi per Sunak, la cui unica possibilità è trasformare completamente il suo approccio. Se non lo fa, sarà ricordato come l’uomo che ha preso un Partito conservatore indebolito e, anziché avviare un lavoro di riparazione, lo ha silenziosamente lasciato affondare nelle profondità della sconfitta.