Il Crocus sativus, conosciuto anche come zafferano vero, è una pianta della famiglia delle Iridacee e ha una storia antica, che comincia in Medio Oriente: se ne trova menzione per la prima volta in un trattato botanico assiro del settimo secolo a.C. compilato sotto il regno di Sardanapalo. Ancora oggi il novanta per cento di tutto quello venduto e consumato nel mondo proviene dall’Iran e il suo nome arabo, zaʿfarān, nasce dalla parola persiana zarparān, “alle ali d’oro”. Anche il nome latino, croco, ha lo stesso significato, un adattamento della forma aramaica kurkema attraverso il termine arabo kurkum e gli intermedi greci krokos o karkum, con il significato di giallo.
Nel bacino del Mediterraneo si iniziò a coltivarlo in modo massiccio solo dopo l’invasione araba della Spagna nel 961 d.C. e il predominio marittimo dei saraceni che lo diffusero in molte altre zone dell’Europa mediterranea. Poi, la sua coltivazione si è diffusa nella maggior parte dell’Eurasia e più tardi è stato portato in aree del Nord Africa, dell’America del Nord e dell’Oceania.
In Italia ne esistono colture estese nelle Marche; in Abruzzo, dove, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nella sola provincia dell’Aquila era coltivata a zafferano una superficie di cinquecento ettari e dove oggi ha trovato il suo habitat nell’altopiano dei Navelli; in Sardegna, dove viene ancora utilizzato il metodo di essiccazione tradizionale ed è particolarmente apprezzato quello di San Gavino Monreale e del medio Campidano; in misura minore in Umbria e infine in Toscana, dove quello di San Gimignano ha ottenuto la Dop.
In generale, la pianta predilige zone collinari calde e ben ventilate, senza grandi sbalzi di temperatura; ama il sole, non ama la nebbia e l’umidità, ma non teme il gelo.
Oggi è usato per lo più in cucina, per dare colore e aroma ai piatti – gli stigmi dello zafferano contengono oltre 150 sostanze aromatiche volatili, ed è piuttosto caro – ma in passato era una spezia tuttofare, appannaggio di dei, re e aristocratici, oggetto di intensi commerci.
Citato nella Bibbia, nel Cantico dei Cantici, raffigurato nel palazzo di Cnosso e menzionato dagli egizi nel Papiro di Ebers, lo zafferano era prezioso come la porpora, serviva per tingere gli abiti dei re Assiri e dei re d’Irlanda, le calzature dei re di Babilonia, e le bende con cui si avvolgevano le mummie egiziane.
Nell’antica Roma, le spose indossavano veli tinti con lo zafferano, una tradizione giunta fino al Medioevo: le nobili indossavano infatti sotto i loro abiti nuziali una tunica di seta tinta con lo zafferano.
Cleopatra, si racconta lo usasse come un fondotinta per dare una tonalità dorata alla sua pelle, ma serviva anche a tingere le unghie e i capelli e per preparare unguenti e oli.
Secondo gli antichi Greci, che ponevano nell’isola di Creta il luogo di origine dello zafferano, da cui viene certamente il Crocus cartwrightianus, che ne è un antenato, un giovane di nome Krokos si innamorò della ninfa Smilace, favorita del dio Hermes, che risolse la questione a modo suo, trasformandolo nel krokos, il fiore dello zafferano.
Nel mondo romano, è Mercurio, l’equivalente di Hermes, sbagliando un lancio del disco, a colpire a morte il suo amico Croco, dal cui sangue nacque il fiore.
In cucina, lo zafferano fu usato fin dal Medioevo dai nobili perché oltre a dare ai cibi il particolare colore dorato e a renderli saporiti e digeribili, era anche simbolo di ricchezza. A quei tempi cinquecento grammi di zafferano valevano quanto un cavallo.
Anche oggi lo zafferano è piuttosto caro, cento grammi possono costare a seconda della provenienza e della qualità dai 300 ai 1.200 euro, ma questo ha una spiegazione nel delicato processo che richiede per salvaguardarne le caratteristiche organolettiche. I fiori vengono raccolti manualmente in autunno, nelle primissime ore del mattino e prima che si schiudano: se dovessero prendere luce, infatti, si perderebbe il lavoro di un anno intero. In una seconda fase si procede alla mondatura, una fase delicatissima in cui i tre pistilli rossi vengono separati dal resto dei fiori, e infine all’essiccazione. Inoltre, la resa è bassissima: per ottenere un chilo di prodotto occorrono decine di migliaia di fiori.
Con il passare del tempo, lo zafferano ha perso la sua aura regale e aristocratica, ma ha conservato le sue proprietà benefiche, che sono tantissime. Considerato afrodisiaco dagli antichi Greci e Persiani, sedativo e antispasmodico dagli speziali nel Medioevo, oggi sappiamo che, grazie alla sua attività estrogenica, favorisce il dimagrimento e il controllo del peso corporeo, aiutando a diminuire la fame nervosa.
Inoltre, come testimonia il suo colore, è uno degli alimenti più ricchi di carotenoidi, e vitamine A, B1 e B2, utili per i disturbi dell’umore. Ha una potente azione antiossidante, grazie a composti come la crocina e il safranale, che aiutano a combattere i danni dei radicali liberi. Grazie alle sue proprietà antinfiammatorie lo zafferano può essere utile anche nelle condizioni infiammatorie come l’artrite.
L’olio di zafferano viene utilizzato in prodotti cosmetici, come creme e lozioni, per le sue proprietà antiossidanti e idratanti. In alcune culture, ad esempio in India con la medicina ayurvedica, è utilizzato per trattare disturbi legati allo stress, all’ansia e al sonno.
Ma il suo uso più noto è, ovviamente, in cucina e non solo per un classico della cucina lombarda come il risotto alla milanese. L’impiego spazia dall’antipasto al dolce, con il pane allo zafferano, o la torta allo zafferano; può essere aggiunto per dare un tocco di sapore in più ai piatti come la pasta allo zafferano, i muffin salati, le tante versioni della paella alla valenciana, e per secondi, come il pollo allo zafferano, o la zuppa di pesce.
Attenzione alla qualità. In commercio si trova lo zafferano sia in povere sia in stigmi, ma, a prezzi decisamente più popolari si trova spesso una spezia realizzata con i fiori di un’altra pianta, il cartamo, detto anche zafferanone o zafferano bastardo, con caratteristiche molto inferiori.