In un mondo che sempre più vive di dettagli infinitesimali e li squaderna, li apre, li rivolta, studia il reale fino a setacciarne gli angoli più imprevisti, la colazione è oggi considerata unanimemente un pasto gourmet. Un’esperienza culinaria a tutti gli effetti. Punto zero di qualunque alimentazione, la base sulla quale poggiano le nostre giornate, è stata proposta a lungo come oggetto di studio. Basti pensare che negli anni Novanta veniva insegnato ai bambini, alle scuole elementari, di non saltarla mai, dato che il suo apporto energetico e calorico era poi funzionale al regolare svolgersi delle funzioni di apprendimento. Le stesse pubblicità diffondevano spot in cui si inneggiava al necessario carburante per cominciare le proprie attività attraverso biscotti, latte, cereali, tazze di latte. Adesso il mercato si è diluito, raccoglie al suo interno nuovi, inediti fattori. Nuovi, insospettabili richieste da parte del consumatore, soprattutto.
La brioche con il cappuccino al bancone del bar sotto casa, di fretta, prima di dirigersi al lavoro, non basta più. Quasi non viene contemplata. Lo sa bene Claudia Agnoletto, che gestisce una pagina Instagram in cui condivide ricette pensate proprio per la colazione. Da una parte, l’attenzione, anzi, diciamo pure l’ossessione che riveste la forma fisica, l’immagine ha letteralmente investito il terzo millennio, in modo sempre più pervasivo via via che proprio i social network sono diventati uno strumento di massa. E così, c’è chi predilige colazioni dietetiche. Dall’altra, il veganesimo riscontra favore sempre maggiore, sono sempre di più coloro che rifiutano i derivati animali e dunque il latte, il burro, i veri radicali finanche il miele, perché appropriarsene significa rubarlo alle api, rubare il frutto di un lavoro collettivo che dura un anno e grazie al quale, ricordiamolo, l’ecosistema sopravvive. Il lavoro di Claudia Agnoletto, perciò, è di condivisione di un sentimento di ricerca della colazione ideale, che pare essere condiviso da tutti.
È d’accordo Vittorio Gangai, della pasticceria Pavé di Milano, storico punto d’incontro per i residenti e anche Fabio del Duca, dell’omonima pasticceria vicino al Politecnico, precisamente fuori dalla stazione di Bovisa. Nonostante uno sia un locale storico e l’altro no, nonostante il primo raccolga una clientela del centro, rodata e tendenzialmente di fretta, che sciama fuori dagli uffici più prestigiosi della città e l’altro invece abbia a che fare con gente dalla scansione quotidiana più lenta, ridotta, che vive di ritmi meno affannosi, entrambi ammettono che tutti sono diventati estremamente più attenti a ciò che scelgono di mangiare. In un’ottica ambientale, sì, per cui non c’è più nessuno che non avveri all’interno del proprio menu opzioni vegane, ma anche nutrizionale e calorica.
Per non parlare dell’annosa questione legata alla salute, denominata approssimativamente healthy. Claudia Viola, digital manager a servizio presso Gaggia, sostiene che sono sempre meno coloro che ingollano brioche confezionate o surgelate accompagnate da caffè cattivo, tanto che per berlo si rendono necessarie due bustine di zucchero. Del resto, certe abitudini sono dure a morire. Al caffè non rinuncerà mai nessuno, tanto più che le macchinette hanno subito un vero e proprio balzo in avanti nelle vendite durante la pandemia e a seguito di essa: è una fase storica in cui tutti lavorano di più, dunque hanno bisogno di caffeina per reggere gli orari e la spossante altalena tra sonno e veglia. Eppure, al tempo stesso, nessuno vuole più giocare al ribasso quando si tratta della propria alimentazione e dunque della propria salute. Ha fatto discutere, ad esempio, una dichiarazione su Twitter di Luca Sofri, il direttore de Il Post, che si scaglia contro queste nuove miscele le quali pretendono di sostituirsi al caffè, pur non essendo affatto caffè. Ode al caffè vero, ha sottolineato. Che è acido, sì, amaro, ma almeno è simile a quello che abbiamo sempre bevuto. Ridateci la nostra caffettiera dall’acre aroma bruciacchiato.
Ecco, pare che a pensarla come Luca Sofri siano rimasti in pochi, anzi, in pochissimi. Tutti vogliono altissima qualità, si capisce che sono disposti anche a pagare un prezzo maggiorato – i consumi proliferano, nonostante tutto– ed evidentemente sono anche disposti a un cambio graduale di abitudini. Questo, almeno, è ciò che sembra. Ciò che la realtà vuol mostrare di sé. Non necessariamente corrisponde alla sua essenza. Spesso, infatti, si tratta di una mera mossa di marketing. In un mondo sempre più volto alla competizione sul mercato, la truffa è dietro l’angolo. Annachiara Leardini, proprietaria di Agrofficina, una vera e propria azienda agricola a conduzione famigliare, sostiene che non ci sia alcuna informazione dietro alle proposte vegetali presenti. Le si acquista senza conoscerle, senza alcuna autentica responsabilità e così si è punto e a capo. Trionfano le mode, le tendenze, meri sistemi di accesso a ciò che in quel momento vende.
È di questa idea anche lo studente Roberto Pocaterra dell’istituto IESS. I suoi coetanei, tutti ancora minorenni, sono letteralmente schiavi di un culto dell’immagine che ben poco ha a che vedere con la sostenibilità o con contenuti di altro genere. Insomma, niente vale più di una foto condivisibile sui propri canali. E in fondo, non è questo il dramma confuso di questi tempi? Come sappiamo dove finisce la sostanza e dove comincia il profitto?