Una verticalizzazione di Darmian incontra Scamacca a metà campo, il lavoro dell’attaccante dell’Atalanta è quello classico del 9 che fa il 10, o del 9 e mezzo, in un flash allarga su Chiesa e gli Azzurri stanno già invadendo in massa la metà campo della Bosnia come corsari che assaltano un vascello con funi, palanche e rampini d’arrembaggio. Da Chiesa a Cambiaso e subito dentro l’area: a raccogliere il cross c’è già Scamacca. La palla esce di poco. È la prima azione buona dell’Italia nell’ultima amichevole disputata prima degli Europei, è solo il quarto minuto. Peccato che sia anche una delle poche azioni con questa qualità, velocità, livello di esecuzione tecnica in tutta la partita.
Le amichevoli di solito non dicono granché, le indicazioni che si possono trarre sono dettagli e poco altro. Anche perché magari c’entra una condizione fisica ancora non ottimale e da quello poi dipendono buchi tattici e carenze tecniche. Ma l’Italia non arriva nel miglior momento possibile a questi Europei tedeschi. Intanto perché non ha ancora una fisionomia definita, si fa fatica a capire chi sono i suoi interpreti chiave e chi i gregari, chi è motore e chi ingranaggio.
Le verticalizzazioni come quella di inizio gara contro la Bosnia al momento sono le migliori opzioni per gli Azzurri, perché l’Italia non è pronta per un calcio più ragionato, sincopato, non è più sintonizzata sul gioco di posizione e sui suoi meccanismi automatizzati: Spalletti non ha avuto il tempo di svilupparli, di provarli, quindi adattarli alla sua squadra.
In questo c’è la prima e più grande differenza con la miglior versione dell’Italia recente, quella che con Roberto Mancini ha vinto gli Europei nel 2021. Quella squadra era stata costruita con pazienza dopo le macerie lasciate da Gian Piero Ventura, con uomini e idee perfettamente coordinati, oliando i meccanismi di gioco nel corso dei mesi, tra qualificazioni, amichevoli e stage saltuari. Un caso praticamente unico per l’Italia, almeno in epoca recente: era una Nazionale costruita come un club, con uno stile di gioco e un’identità forti. Nasceva tutto dal controllo del pallone e del flusso di gioco, e da lì si creavano pericoli in attacco e si proteggeva la porta. Un sistema in grado di esaltare i migliori talenti a disposizione, muovendosi al ritmo di Jorginho, Verratti e Barella. Era una squadra controculturale rispetto alla tradizione azzurra, con un impianto tattico perfettamente cucito sulla rosa a disposizione di Mancini.
L’Italia proposta da Spalletti invece sarà un’altra cosa. La rosa è potenzialmente più varia, nel senso che c’è una buona dose di talento sparso in tutti i ruoli, da Donnarumma a Bastoni, Calafiori e Buongiorno in difesa, da Barella e Fagioli a Dimarco e Di Lorenzo, fino a Chiesa e Scamacca. Però già dai nomi si intuisce che le alchimie vanno cercate, vanno elaborate. Questa squadra deve essere assemblata uno step alla volta. Spalletti è un allenatore eccellente nell’interpretare le informazioni che arrivano dal campo e declinarle sulla lavagnetta. Ad esempio, solo nelle ultime settimane sembra aver deciso per la difesa a tre e non a quattro. In fondo, anche lui ha bisogno di tempo, di fare esperimenti. «Siamo convinti di avere una buona squadra, ma dovremo entrare nel clima della partita vera. Abbiamo fatto giocare un po’ tutti, per vederli e capire cosa vada migliorato», ha detto il ct dopo la partita con la Bosnia. Non è solo retorica: senza la tensione delle partite competitive è difficile capire come spostare le pedine e gli equilibri, dove osare e dove coprire.
Quando è andato via Mancini, l’estate scorsa, la squadra sembrava aver esaurito la sua energia positiva e andava ricaricata, aveva bisogno di un cambiamento – che poi sia stato indotto dall’addio non annunciato dell’ex commissario tecnico è un altro discorso. Anche per questo Spalletti ha chiamato solo nove giocatori dei campioni nel 2021: ci sono molti volti nuovi, sedici giocatori non arrivano in doppia cifra con le presenze e questo dà la misura di una squadra in divenire.
Il ct ha iniziato a lavorare a Coverciano in una stagione in cui il calcio per nazionali ha sofferto il jet lag (cfr. Rory Smith nella sua newsletter sul New York Times) dato da un Mondiale finito pochi mesi prima e gli ultimi Europei disputati appena tre anni fa a causa della pandemia. E nel frattempo il numero di partite per i giocatori delle grandi squadra è solo aumentato, senza sosta, anzi eliminando le soste tra una competizione e l’altra, tra una partita e l’altra. In questo sfasamento del ritmo circadiano dei grandi tornei estivi ricomporre una Nazionale in dieci mesi non deve essere un’operazione facile.
È anche per questo motivo che l’Italia di oggi sembra ancora un progetto in evoluzione, con tutti i problemi e le incertezze della crescita. È inevitabilmente meno forte della miglior Italia recente, meno pronta almeno, ma con un potenziale ancora da scoprire. La sensazione è che gli Europei in Germania siano arrivati troppo presto, e non permettono giudizi definitivi. Allora forse ci si può accontentare di seminare oggi, aspettandosi un traguardo minore come un quarto di finale, in attesa di capire se qualcosa sboccerà domani, guardando ai Mondiali americani del 2026.