Tutta la vita davantiLinda Cocchetto, gli adulti accondiscendenti e l’inutile esame di maturità

La studentessa di Venezia che rifiuta di dare l’orale a causa del basso voto nello scritto di greco capirà che la scuola non dice molto di noi. L’importante è che da grandi si diventi meno scemi d’una liceale

Lapresse

Cara Linda Cocchetto, ti scrivo per generosità. Ti scrivo perché è come se già vedessi i giornali di oggi, dove del tuo numero da diciottenne esibizionista si occuperanno tutti opinionisti con figli, e quindi incapaci di ammettere che i figli loro sono scemi quanto te, e quindi portati all’accondiscendenza.

Gli adulti accondiscendenti, cara Linda, sono i più dannosi che potrai incontrare, a cominciare da tua madre per come la descrivi nelle interviste che ho letto ieri. Assai meglio sarebbe, assai meno danni avrebbe fatto, se ti avesse picchiata con le grucce. (È un riferimento a un film che io alla tua età adoravo, ma tu non avrai visto perché ci sono sempre mille nuove puttanate di Netflix a lasciarti con voragini di lacune sui film classici).

Dunque, Linda, scrivo a te perché tu sei quella che ha letto la lettera alla commissione (una lettera che aveva dei «né» scritti «ne», e già per questo io avrei bocciato alle medie Lucrezia Novello, la compagna di classe che dici a Repubblica sia autrice della rivendicativa missiva che hai declamato) per spiegare perché rifiutava di dare l’orale; quella che ha dato le interviste trasecolando sul basso voto nello scritto di greco; quella probabilmente che ha fornito la foto di voi tre ai giornali, una foto che mi piacerebbe sapere quanti scatti abbia richiesto prima di venire selezionata.

Voi tre siete tre liceali bellocce veneziane, la terza delle quali si chiama Virginia Y Herrera Gonzales (che nome stupendo: foss’in te, Linda, sarei invidiosissima) e Google me la dà tennista. Anche tu, Linda, sei sportiva, lo rivendichi sia nella lettera alla commissione sia nelle interviste, e qui abbiamo il primo equivoco di cui sei vittima e dal quale nessun adulto è stato abbastanza affettuoso da risvegliarti.

Ho una borsa di studio per meriti sportivi, sbraiti tu, vi pare che date un voto basso a me, che ho già una borsa di studio in un’università americana. E nessuno ti vuole abbastanza bene da dirti: ma amore della mamma, le borse di studio per meriti sportivi sono quelle che le università americane danno ai ciucci dalle notevoli prestazioni muscolari. Non sai fare le addizioni a due cifre ma ci servi per vincere il campionato di football? Vieni da noi, eccoti una borsa. (Peraltro stupendi i giornali italiani e il loro squisito provincialismo: scrivono «l’università Miami, nell’Ohio» come non stessero scrivendo «Uninettunouniversity.tv» ma «Ivy League»).

«Sono andata a casa, mi ricordavo come l’avevo tradotta. Ho deciso di correggerla con mia mamma che è laureata in lettere antiche e ha anche un master e secondo lei avevo fatto un errore, ma non al punto di avere così tanti punti in meno». Accipicchia, un master. Lascia che ti racconti dell’ultima (almeno, a memoria mi pare sia la più recente) delle mie bocciature, Linda.

Avevo trent’anni e non diciotto, certo, ma ti farà piacere sapere che a trent’anni ero scema come una diciottenne. Io, modestamente, sono stata bocciata ovunque. All’esame per la patente di guida (quattro volte) e a quello per entrare all’accademia d’arte drammatica, e poi moltissime altre volte tra le quali, appunto, all’esame per l’ordine dei giornalisti.

Mi bocciarono allo scritto, e sai cosa succede quando ti bocciano a quello scritto? Che puoi vedere il compito. Ma per fortuna io, invece di andare a piangere dalla mamma, andai a dire «questi cani, se lo sognano di scrivere come me» (o qualche arroganza simile) a Francesco Cundari. Il quale era stato bocciato alla sessione precedente.

Te lo dico non per rassicurarti (ci sono bocciati all’esame dell’ordine che poi diventano nientemeno che titolari d’una newsletter su Linkiesta – ai tempi, c’era sempre qualcuno che mi rassicurava dicendomi che era stata bocciata anche Natalia Ginzburg – figuriamoci cosa conta un brutto voto allo scritto della maturità); ma per dirti che io a vedere lo scritto non ci andai. Perché Cundari sei mesi prima ci era andato, e gli avevano detto d’averlo bocciato perché «invece», in una grammatica immaginata dagli esaminatori dell’ordine, va tra virgole, e lui non l’aveva messo tra virgole.

Ero ragionevolmente certa che se dei somari abbastanza somari da fare, invece che i giornali, gli esaminatori degli aspiranti giornalisti, se della gente che non era né Gadda né De Mauro m’avesse fatto delle obiezioni così, io avrei dato al mio interlocutore una capocciata sul naso e sarei finita in galera.

Tu invece vedi il voto, torni a casa e vai dalla mamma a ripeterle la traduzione. Traduzione di, quanto ci mettono a dare il voto, una settimana? Di una settimana prima. Ma tu te la ricordi. La tua memoria non è falsata dalla traduzione giusta uscita sui giornali, no: tu sai e hai le prove. La mamma ti dà quasi ragione. A questo punto devo copiare il resto della tua cronaca, dalla quale spunta un eroe.

«Abbiamo chiamato il nostro professore di latino che, inizialmente, ci aveva detto che se ci fosse stata una persona esterna sarebbe stato presente. Ma poi anche lui ci ha detto che avevamo fatto degli errori così gravi, anche grammaticali, che era meglio non prendesse le nostre difese per una questione di dignità». Io al tuo prof voglio un po’ bene, devo dirtelo. Non se ne trovano più, di così disposti all’impopolarità.

Secondo il Corriere vi avrebbero dato voti bassi per far dispetto a lui, che pure non mi pare così indispettito. «Gli studenti ipotizzano che sulla valutazione abbiano influito dissapori pregressi – ipotesi tutta da dimostrare – tra la commissaria esterna di greco, la professoressa Carmelita Pettenà del liceo Franchetti di Mestre, e il loro interno di latino, il docente Francesco Chiaro». Carmelita Pettenà. Da qualche parte Fruttero&Lucentini stanno morendo d’invidia per i nomi in questa vicenda.

Ora, devo svelarti una cosa che ti farà inorridire. Se la tua mamma sapeva tradurre quel testo, non era perché è istruita, perché ha una laurea e, nientemeno, un master (probabilmente conseguiti trent’anni fa e dei quali avrà giustamente dimenticato tutto). La tua mamma sa tradurre quel testo perché non solo a vivere, t’insegna la vita, ma anche a fare la cosa più scolastica e meno utile nella vita, cioè tradurre dal greco antico.

La tua mamma sa come far girare una frase perché ha vissuto trent’anni in più. Sa i confini dell’Umbria perché prima o poi ci ha fatto un weekend, non perché li ha studiati alle medie. Sa cosa significa «una Caporetto» perché ha avuto decenni di conversazioni adulte, non perché in quinta liceo ci arrivarono col programma.

Quel che fa la scuola è cercare di farti avere a diciott’anni quell’infarinatura di cultura generale che a quarantotto avrai comunque, anche se non avrai mai più letto un libro dopo quelli assegnati come compiti delle vacanze, anche se sarai particolarmente stolida e ti interesserai solo alle dinamiche di “Temptation Island” (che comunque sono molto più educative delle versioni dal greco). A volte ci riesce, più spesso no.

Per esempio io non so se il «mi sono sentita mancata di rispetto» nella sintassi di Assunta Patanè (sì, anche questo è un classico della cinematografia che non hai visto) che ti virgoletta il Corriere sia demerito tuo o dell’intervistatrice; ma, se fosse l’italiano dell’intervistatrice, una cosa mi sento di dirti: non c’entrano i suoi prof del liceo.

C’entrerebbe, eventualmente, la vita, e il suo essere accondiscendente come una mamma moderna, e il far credere che non serva un livello minimo d’italiano per scrivere sui giornali. Insomma, Linda, chissenefrega del voto della maturità. L’importante è che, da grande, tu riesca in quel che una volta veniva naturale e ora è divenuta la più audace delle imprese: essere meno scema d’una liceale.

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