Tramonto populista Con la batosta nel Mezzogiorno in Italia è finita la partita delle forze antisistema

Al Sud e nelle Isole il crollo del Movimento 5 Stelle ha lasciato spazio al ritorno della politica più tradizionale, così come avvenne per la Lega secessionista nei primi anni Duemila. A contribuire anche gli ottimi dati sull’occupazione, soprattutto in Puglia

Valerio Portelli/LaPresse

Bentornati alla fine degli anni Novanta e negli anni Duemila. No, non si tratta del desiderio dei tanti quarantenni che mostrano già quella nostalgia una volta tipica solo degli anziani, è la realtà che ci restituiscono le ultime elezioni Europee. Quella di un Paese che, come allora, galleggia in una certa stabilità economica e politica, ha esaurito la stagione della contestazione, abbandona la protesta e, in una certa misura, anche il desiderio del nuovo, e apparentemente si affida a schemi più tradizionali.

Allora fu il tramonto della Lega secessionista e l’assestamento del quadro politico della Seconda Repubblica a simboleggiare quel passaggio, oggi è il declino del Movimento 5 Stelle e le forti difficoltà dei partiti liberali che non vogliono schierarsi organicamente di qua o di là.

Naturalmente le differenze non mancano, in primis l’affluenza, ma lo spirito del tempo sembra quello. Era da molto che i partiti forse definibili più mainstream, Pd e Forza Italia, non registravano entrambi un aumento, e certamente l’Alleanza Verdi Sinistra assomiglia molto più del M5S alla sinistra tradizionale che per tutta la Seconda Repubblica ha affiancato e pungolato Pds e Ulivo. Mentre Fratelli d’Italia rappresenta sempre più quella destra o quel centrodestra classici, da Polo delle Libertà, che un quarto di secolo fa riuscì a svuotare gli indipendentisti padani, come oggi fa con i nipotini salviniani sovranisti.

La cartina al tornasole è costituita dai risultati del Mezzogiorno, l’area del Paese che negli ultimi anni aveva visto i maggiori successi della più importante forza antisistema, o presunta tale, che si sia affacciata nell’agone, il M5S.

Al Sud i pentastellati rispetto al 2022 non perdono solo più punti percentuali, cosa ovvia, visto che partivano da cifre più alte, ma anche e soprattutto voti assoluti. Questi ultimi sono scesi del 60,8 per cento in Puglia, del 56,4 per cento in Sicilia, del 55,8 per cento in Basilicata, mentre al Nord, con l’eccezione del Trentino Alto Adige, la discesa è tra il trenta e il quaranta per cento.

Dati del Ministero dell’Interno

La fase della protesta si chiude quindi laddove era più forte. Così come tra la fine degli anni Novanta e Duemila il Veneto lasciava il leghismo indipendentista per abbracciare il berlusconismo, così al Sud e nelle Isole si assiste al ritorno della politica più tradizionale e dei campioni locali, come era fino a poco tempo fa, prima che il Movimento 5 Stelle appiattisse la mappa politica del Mezzogiorno travolgendo i De Luca, gli Orlando, gli Emiliano. Oggi è la rivincita di questi ultimi, e si chiamano Tamajo, che ha riportato Forza Italia a essere primo partito in Sicilia, e Decaro, il sindaco di Bari che ha reso il Pd il primo partito del Sud.

Il dato di Forza Italia è paradigmatico, ha aumentato i propri voti assoluti soprattutto laddove un suo esponente era candidato presidente uscente alla regione: in Piemonte e, appunto, in Sicilia, in cui ha incrementato il numero di consensi del 63,2 per cento, dove ha ripreso a radicarsi a spese del M5S. Perde altrove, almeno in termini assoluti, dove sono altri radicamenti a prendere il posto dei pentastellati.

Dati del ministero dell’Interno

Se nelle regioni meridionali finisce l’epoca del voto di opinione di protesta di massa è probabilmente anche perché siamo in una fase di stabilità dell’economia e in una situazione di boom occupazionale senza precedenti, soprattutto nel Mezzogiorno.

È qui che il tasso di occupazione e il numero dei lavoratori è cresciuto di più negli ultimi anni: il primo a fine 2023 era aumentato del 4,33 per cento, più dell’incremento medio del 3,07 per cento. I dati migliori sono quelli della Puglia, dove la percentuale degli occupati sulla popolazione è salita del 4,4 per cento tra 2019 e 2023 e i lavoratori sono cresciuti del 5,9 per cento. Mentre in Lombardia, per esempio, solo dello 0,9 per cento.

La storia non si ripresenta mai uguale, però, rispetto a venti-venticinque anni fa milioni di italiani hanno rinunciato a votare. La stabilità in cui ci troviamo ha basi molto precarie, ancora più di allora. I conti pubblici, lo sappiamo non sono sostenibili, a cominciare dal nostro debito, dipendiamo sempre più da eventi esterni che l’Italia, con il suo peso decrescente, non può determinare.

La crisi del voto populista sembra essere più un sintomo di stanchezza e rassegnazione, in provvisoria assenza di crisi acute, che di rinnovata fiducia nel sistema politico. Chi sta peggio ha scelto di astenersi, ce lo dicono le indagini demoscopiche come quella di Swg che mostra come l’astensione tra i ceti più bassi sia salita del tredici per cento, contando anche schede bianche e nulle, dal quarantacinque al cinquantotto per cento, mentre in media è aumentata del sette per cento. Il tessuto sociale rimane diviso e frammentato. Lo dimostra la permanenza del divario tra città e campagna che è cresciuto negli ultimi anni e che in queste elezioni, anzi, in alcuni centri si è addirittura allargato. A Milano e Torino, per esempio, dove la sproporzione tra le percentuali raggiunte nel capoluogo e nella regione corrispondente è aumentata per la maggior parte delle forze più grandi.

Per esempio, la Lega ha perso più consenso nel comune di Milano che in Lombardia e ora ha il 6,1 per cento, che è il 53,44 per cento in meno della percentuale che raggiunge in regione, il 13,1 per cento. Cinque anni fa il divario era inferiore, del 50,94 per cento. Un discorso simmetrico si può fare per il Pd, che nel capoluogo naturalmente prendeva già molto più della media regionale, ma ora ha goduto di un incremento proporzionalmente più ampio, cosa che ha accresciuto il divario rispetto al voto nelle province. Divario che si è allargato anche per Fratelli d’Italia e il centro liberale, se confrontiamo Azione e Terzo Polo. Lo stesso vale per Torino, dove è ancora più evidente e la tendenza coinvolge anche Avs. Meno, invece, Bologna e Firenze, che però sono molto più piccole.

Dati del ministero dell’Interno, è misurata la differenza percentuale tra le percentuali dei partiti nel capoluogo e nella regione corrispondente

La breve stabilità della Seconda Repubblica, lo sappiamo, fu bruscamente interrotta dalla crisi finanziaria, da cui scaturì un lungo periodo di protesta e populismo, che alimentò, per esempio, proprio la nascita del Movimento 5 Stelle.

I partiti tradizionali, che stanno pregustando il ritorno di un comodo e confortante bipolarismo, non possono dormire sonni tranquilli, di fronte alla fragilità economica e sociale che ci caratterizza. I cigni neri, lo abbiamo imparato, sono sempre dietro l’angolo. Quali novità politiche partorirà il prossimo?

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