Greenwashing nazionalista Le inquietanti basi sovraniste dell’ambientalismo di Jordan Bardella

Le Pen e il suo “enfant prodige” hanno trasformato una delle loro debolezze, la questione climatica, in un vantaggio elettorale: la chiave è stata sfruttare l’ecologismo come un tema divisivo a livello locale, riproducendo uno schema già riuscito con il dossier sull’immigrazione

AP Photo/LaPresse (ph. Thibault Camus)

Dopo le elezioni europee sembra essersi aperto un nuovo capitolo nella politica francese, in cui il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e Jordan Bardella è il favorito per la vittoria alle prossime elezioni legislative del 30 giugno. Negli anni, la scalata al potere del partito è stata costruita attraverso un rebranding politico ben preciso (passando ad esempio da Front a Rassemblement National), che potesse coinvolgere più fasce dell’elettorato e cancellare il passato oscuro dell’epoca di Jean-Marie Le Pen: un’operazione che ha coinvolto anche le posizioni del partito su clima e transizione energetica.

Già nel 2019, il Rassemblement aveva presentato una piattaforma politica sul cambiamento climatico, unendo sovranismo e transizione ecologica in maniera piuttosto controversa: «Le frontiere sono il più grande alleato dell’ambiente, è attraverso di esse che salveremo il Pianeta», aveva dichiarato Jordan Bardella. La stessa Le Pen aveva definito la lotta al come intrinsecamente nazionalista. Coloro che sono «nomadi», aveva detto, «non si preoccupano dell’ambiente; non hanno una patria». Solo da questo piccolo scorcio è possibile intuire le basi dell’ambientalismo di Le Pen e Bardella, un pensiero opportunista e sovranista, che ha giovato anche di una campagna elettorale per le europee in cui la questione climatica è stata «assente» dal dibattito, secondo Le Monde.

È proprio così che Le Pen e Bardella hanno trasformato una delle loro debolezze, la questione ambientale, in un vantaggio elettorale: la chiave è stata sfruttare l’ambientalismo e le inevitabili misure di adattamento al riscaldamento globale come un tema divisivo a livello locale, riproducendo uno schema riuscito già con il dossier immigrazione. Affinando la propria dottrina ambientale, il Rassemblement ha cavalcato le divisioni tra città e campagna, tra sviluppo urbano e mondo agricolo.

Il «localismo», ossia il concetto chiave di Le Pen quando si parla di frontiere e immigrazione, è stato quasi l’unico argomento del Rassemblement in questi anni, e ha trovato un corrispettivo ambientale: la cosiddetta «ecologia del buon senso», contrapposta all’«ecologia punitiva» della Commissione europea. Un’agenda che ricorda molto quella della Lega di Matteo Salvini, che ha costruito la sua campagna alle europee sulla «protezione» di case e macchine, rispettivamente dalla direttiva Ue sulla case green e dallo stop europeo ai motori termici. «L’ideologia (degli ambientalisti, ndr) è la lotta contro l’uomo», ha detto Marine Le Pen nel 2023, dichiarando di voler «rappresentare un’ecologia molto più efficace, che rispetti l’equilibrio tra attività umana e natura». In questo senso, il Rn chiede una revisione del Green deal europeo e degli obiettivi sul taglio delle emissioni. 

L’impressione è che a differenza del passato i partiti di estrema destra in Europa abbiano iniziato a riconoscere che il clima è una preoccupazione per gli elettori, ma che allo stesso tempo vogliano declinare anche questo dossier in chiave anti-establishment. In altre parole, il Rassemblement intende opporsi a qualsiasi cosa minacci di cambiare lo stile di vita e i modelli di consumo dei francesi e che sia deciso – sia a Parigi, sia a Bruxelles – in nome della riduzione delle emissioni e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Uno schema familiare in molti Stati: dalla già citata Lega in Italia a Vox in Spagna, fino al populismo agrario nei Paesi Bassi con il partito Bbb, il Movimento civico-contadino.

«Il contraccolpo populista della destra minaccia la lotta al cambiamento climatico», ha scritto in questi giorni Bloomberg, allargando lo sguardo anche a una possibile vittoria di Donald Trump alle elezioni negli Stati Uniti. L’estrema destra europea non segue una linea coerente sul climate change e le differenze nazionali sono importanti. Tuttavia, certe somiglianze appaiono evidenti: queste formazioni sono più propense a scoraggiare l’uso delle fonti rinnovabili e a ridurre la cooperazione internazionale nella lotta per il clima, ad esempio. 

Nello specifico, il programma di Le Pen prevede di «restituire alle famiglie i cinque miliardi di euro di sovvenzioni dati in particolare agli impianti eolici», «bloccare i progetti di parchi eolici e smantellare gradualmente quelli esistenti», rivitalizzare i settori nucleari e idroelettrici,  investire nell’idrogeno» e uscire dal mercato europeo dell’elettricità per «ripristinare prezzi decenti».

Si tratta di proposte molto accattivanti per un certo tipo di elettorato ma poco coerenti tra loro: le singole misure messe insieme non forniscono alcuna strategia concreta e non raggiungono nessun obiettivo particolare, né istituiscono una governance pubblica per monitorare questo processo. Nel manifesto climatico del Rassemblement ci sono difetti, incongruenze e mancano molti aspetti chiave, il che impedisce la realizzazione di una strategia credibile per la decarbonizzazione nazionale.

Per cui, nonostante Jordan Bardella abbia detto che «la nostra famiglia politica commetterebbe un grosso errore se si comportasse ciecamente sulla questione ambientale come la sinistra ha fatto sull’immigrazione negli ultimi trent’anni», il partito ha abbracciato una forma di ambientalismo basata sul protezionismo commerciale, sul rientro delle industrie in Francia e sulla difesa dell’identità nazionale e di uno stile di vita inquinante, soprattutto nelle piccole città e nelle aree rurali. La strenua opposizione degli eurodeputati del Rassemblement alla transizione ecologica dell’Ue è la ciliegina sulla torta.

In piena crisi energetica e mentre la guerra condotta dalla Russia in Ucraina è stata direttamente finanziata dalle nostre importazioni di gas e petrolio, Marine Le Pen ha promesso di fermare i progetti sull’energia solare e smantellare le turbine eoliche (che valgono circa il dieci per cento della produzione energetica della Francia) e i suoi rappresentanti in Europa hanno votato contro il raddoppio della quota delle energie rinnovabili previsto dal Green deal. 

Invece, è stata proprio la crescita senza precedenti di queste fonti di energia a garantire in Europa una riduzione del ventisei per cento della produzione di elettricità dal carbone e del quindici per cento dal gas, solo nel 2023. Il Rassemblement preferisce puntare tutto sul nucleare con venti nuovi impianti entro il 2045, dimenticando che il tempo di costruzione delle nuove centrali è di almeno quindici anni e che, nel frattempo, senza eolico e solare, saranno le centrali a gas e a carbone a dover lavorare.

Una vittoria dei lepenisti potrebbe mettere quindi in pericolo le aziende di servizi pubblici, gli sviluppatori di energie rinnovabili, i produttori di turbine e le aziende di batterie per auto, portando la Francia in rotta di collisione rispetto agli obblighi verso i partner europei. Se il Rassemblement national dovesse formare il prossimo governo, potrebbe bloccare lo sviluppo dell’energia eolica, ostacolare il divieto di vendita di automobili a benzina e diesel previsto per il 2035, allentare i requisiti per la ristrutturazione degli edifici e limitare i piani per escludere i veicoli più inquinanti dalle grandi città. Il presidente Emmanuel Macron aveva invece definito una roadmap ambiziosa che comprendeva tutto questo, dall’energia eolica, solare e nucleare, alle auto elettriche, alle ristrutturazioni degli edifici. Ora tutto è in forse.

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