Mentre si disputano in Germania gli europei di calcio 2024, a Bruxelles si pensava di chiudere la partita delle nomine per i top jobs dell’Ue già ieri sera. I nomi erano già pronti, gli incastri politici sembravano tenere. Ma alla fine l’accordo non c’è stato. Se ne riparla tra una settimana, sperando che per allora tutte le divergenze siano appianate.
I negoziati dei capi di Stato o di governo dei Ventisette, riuniti nella capitale belga per una cena informale il cui piatto principale era il pacchetto delle nomine per gli incarichi apicali delle istituzioni comunitarie, si sono interrotti senza una vera conclusione. In ballo ci sono le quattro cariche più importanti del blocco: le presidenze della Commissione, del Consiglio europeo e dell’Europarlamento nonché il posto di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che porta con sé anche la vicepresidenza dell’esecutivo comunitario.
E ci sono già anche i nomi per riempire tutte le caselle: la popolare tedesca Ursula von der Leyen per succedere a se stessa al timone del Berlaymont, il socialista portoghese António Costa per guidare il consesso dei leader Ue, la popolare maltese Roberta Metsola per il bis a Strasburgo e la liberale estone Kaja Kallas a capo della diplomazia comunitaria.
È un risiko che viene tutto deciso a porte chiuse dalle cancellerie nazionali: spetta proprio ai capi di Stato o di governo trovare la quadra cercando di accontentare le varie esigenze di rappresentanza tra appartenenza politica, provenienza geografica ed equilibrio di genere per completare la lista delle nomine destinate ad occupare le poltrone più ambite in Ue.
Ma la quadra, per ora, non è stata trovata. Quella di ieri sera è stata «una buona conversazione che va nella giusta direzione», secondo il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, ma «non c’è ancora un accordo». Insomma, per le nomine ufficiali bisognerà aspettare la prossima settimana, quando si terrà il vertice formale del 27-28 giugno. In quell’occasione, a suo dire, i leader nazionali avranno il dovere collettivo di accordarsi sull’intero pacchetto.
Per ora, comunque, pare messa in cassaforte almeno la riconferma di von der Leyen alla guida della Commissione. Sul suo profilo pare esserci un consenso decisamente trasversale: «È chiaro che ha ottime possibilità», ha certificato ad esempio il premier olandese dimissionario Mark Rutte (lui stesso in pole position per diventare il prossimo segretario generale della Nato).
E del resto, dopo le batoste elettorali prese tanto dal presidente francese Emmanuel Macron (liberale di Renew) quanto dal cancelliere tedesco Olaf Scholz (affiliato ai Socialisti europei) alle scorse Europee, sembra venuti meno i principali oppositori del secondo mandato all’ex ministra della Difesa di Berlino (e, nel caso dell’inquilino dell’Eliseo, anche l’unico vero sponsor europeo di Mario Draghi).
A complicare le cose è stata probabilmente la mossa, piuttosto audace, dei Popolari che, forti dell’indiscutibile successo riscosso nelle urne appena due settimane fa, reclamano ora anche una parte della presidenza del Consiglio europeo. Trattati alla mano, il mandato dura due anni e mezzo rinnovabili, ma da quando questa carica esiste (cioè dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona nel 2009) non c’è mai stato un avvicendamento alla guida del consesso dei leader europei prima di cinque anni (cioè due mandati). Del resto, è difficile vedere come i Socialisti possano lasciar andare questa poltrona, anche considerando che da qui a trenta mesi la composizione stessa del Consiglio europeo potrebbe variare.
Un’altra casella su cui ci sono ancora dei dubbi è evidentemente quella dell’Alto rappresentante, con il presidente slovacco Peter Pellegrini (che sostituiva il premier Robert Fico, convalescente dall’attentato) che arrivando alla riunione ha sottolineato come «dobbiamo stare molto attenti a chi rappresenterà l’Unione europea e la Commissione a livello internazionale, per non creare ancora più tensione di quanto non ve ne sia in realtà». Il riferimento alle relazioni, già ai minimi storici, con la Russia di Vladimir Putin è evidente, e Bratislava non è l’unica capitale ad avere dubbi sull’opportunità di avere un’esponente baltica come Kallas (che non nasconde l’antipatia per l’uomo forte di Mosca) a capo dell’azione esterna del blocco.
Ad ogni modo, sembra archiviata anche l’ipotesi di maggioranze alternative che aveva riempito le prime pagine in questi mesi. I candidati per i top jobs provengono dalle tre famiglie politiche del centro europeista (Popolari, Socialisti e liberali), e la stessa Giorgia Meloni, che le dietrologie giornalistiche vorrebbero costruttrice di una coalizione tutta a destra dei liberali, sul modello di quella al governo a Roma, sembra non aver toccato palla nel risiko delle nomine di Bruxelles.
Gli incontri bilaterali ci sono stati tra i negoziatori di Ppe, Pse e Renew, ma nessuno ha coinvolto la premier italiana per riempire le caselle fondamentali della prossima architettura comunitaria. Ora a Meloni non resta che reclamare per il suo Paese una vicepresidenza di peso nella Commissione von der Leyen 2.0, anche se non sarà semplice ripetere il colpaccio fatto all’epoca del Conte I quando fu paracadutato Paolo Gentiloni all’Economia. Il nome che circola ora è quello della diplomatica Elisabetta Belloni.
Per completare il quadro rimane la presidenza del Parlamento europeo. Tecnicamente non è una nomina che spetta al Consiglio europeo, perché sono i deputati a eleggere il proprio capo autonomamente, ma è evidente che nell’equilibrio generale dei top jobs si tiene conto della composizione politica dell’Aula. Anche qui è dunque estremamente verosimile che si vada verso la riconferma della presidente uscente, la popolare maltese Roberta Metsola, per un altro mandato di due anni e mezzo.
Dopodiché, come consuetudine a Strasburgo, ci dovrebbe essere un avvicendamento e il posto dovrebbe andare ai Socialisti, che probabilmente installeranno un eurodeputato del Partito democratico italiano o del Psoe spagnolo, le due delegazioni nazionali più folte all’interno del gruppo S&D nell’emiciclo.
La decima legislatura comincerà ufficialmente i propri lavori con la sessione inaugurale del 16-19 luglio. In quella sessione, verrà eletto l’intero bureau della presidenza (un presidente, cinque vicepresidenti e quattordici questori) e se, come probabile, dal Consiglio europeo formale di fine mese arriverà la fumata bianca per von der Leyen, già il 18 luglio gli eurodeputati potrebbero votare per sostenere o affossare definitivamente il suo secondo mandato.