Propaganda colonialistaSostenere la resistenza ucraina significa preservarne l’eredità culturale

Entrare nell’Unione europea aiuterebbe Kyjiv a riappropriarsi di quell’identità storica che la russificazione del Cremlino continua a voler cancellare, forzando l’idea di un omogeneo patrimonio artistico comune a tutte le ex Repubbliche sovietiche

AP/LaPresse

A febbraio 2013, un anno prima dell’invasione della Crimea, il capo dell’esercito russo Valery Gerasimov ha spiegato a tutto il mondo il modo in cui Mosca combatte. «Le regole della guerra sono cambiate. Il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è cresciuto e ha spesso sorpassato il potere delle armi in termini di efficacia», si legge nelle dichiarazioni di Gerasimov.

Per il Cremlino la cultura è diventata uno degli strumenti di propaganda più importanti per inculcare ideologie razziste e imperialistiche ai propri cittadini, e a quelli di tutto il mondo: la Galleria Tretyakov di Mosca opera sotto la guida di Elena Pronicheva, figlia di un generale del Kgb e scelta come sostituta di Zelfira Tregulova, accusata di aver minacciato il patriottismo russo dopo aver esposto opere di artisti originari delle regioni ucraine di Luhansk e Donetsk.

Ancora, Mikhail Piotrovsky, il direttore dell’Hermitage di San Pietroburgo, ha paragonato a un’offensiva culturale le mostre all’estero curate dal museo, e «perché no, a un’“operazione speciale” che nessuno potrà ostacolare». In Russia la concezione militaristica della cultura affonda le sue radici nell’arte classica. Le idee di slavofilia e panslavismo avanzate da Dostoevskij, per esempio, hanno gettato le fondamenta per l’ideologia del Russkij Mir su cui si basano le mire espansionistiche moderne di Mosca.

Così, la cultura russa è diventata un’arma coloniale nelle ex Repubbliche sovietiche: «Non voglio sminuire il genio letterario dei maestri del passato, ma voglio ribadire che le loro opere sono nate in un contesto coloniale, da cui sono state influenzate», spiega a Linkiesta Yuliia Shaipova, del think tank “Ukrainian Prism” ed ex policy advisor del Parlamento ucraino. E ancora oggi l’Ucraina deve imparare a gestire l’eco del suo passato da colonia: «Credo che, per esempio, non dovrebbero esserci monumenti dell’età imperiale nelle nostre strade. Sì, sono parte della nostra storia, ma in Germania non si vedono monumenti dedicati a Hitler o Goebbels. Eppure la storia tedesca è anche il nazismo». E prosegue: «La metafora della storia come museo, invece, mi piace molto: si hanno a disposizione migliaia di opere e quadri, ma il direttore deve scegliere quali esporre, e quali tenere negli archivi».

Un altro problema da affrontare, poi, ha a che fare con la percezione occidentale di una cultura sovietica sovranazionale comune a tutto l’Est Europa, che ha come conseguenza l’annullamento delle tradizioni dei singoli Paesi, e contemporaneamente la romanticizzazione della cultura sovietica. «L’architettura brutalista è diventata quasi di moda in Occidente, e si è persa la sua essenza. Non è nata per essere bella, ma per costruire alloggi temporanei – mai demoliti per mancanza di fondi – a poco prezzo», spiega Shaipova: «Esiste una percezione dell’Unione Sovietica come culla dell’uguaglianza, ma nel concreto alla popolazione non è mai spettata l’assegnazione di una casa gratis, ma piuttosto quella di un gulag. È giusto che il capitalismo venga criticato, ma quello che mi preme è far capire che anche il comunismo si è basato sulla povertà della collettività per poter arricchire la nomenklatura».

E poi c’è la questione dell’appropriazione russa della produzione artistica degli altri Paesi. In questo caso, la figura di Gogol’ è esemplificativa: «Il poeta è uno dei massimi esponenti del barocco, una corrente letteraria che non era mai arrivata a Mosca prima. Gogol’ era ucraino, e infatti a Kyjiv il barocco era fiorito già da tempo: questo perché l’Ucraina è sempre stata Europa», ribadisce Shaipova. «Si parla spesso di come Pietro il Grande abbia “aperto una finestra sull’Europa” per la Russia, ma nel mio Paese non ce n’è mai stato bisogno, non c’era nessun muro a separarci dal resto del continente».

È anche per questo motivo che diventare membro dell’Unione Europea è così importante per gli ucraini. Si tratta di riappropriarsi della propria identità, andata persa negli anni, soprattutto nella percezione occidentale, che ha iniziato a vedere l’Ucraina come una zona grigia tra Bruxelles e Mosca. «Noi non siamo questo. Abbiamo davanti a noi una scelta: la Russia, che nega la nostra esistenza, o l’Unione Europea, che incoraggia lo sviluppo culturale di tutti i suoi membri. È ovvio quale sia per noi la scelta migliore», racconta la ricercatrice.

Per far sì che tutti si rendano conto dell’unicità di ogni Paese est europeo, non è possibile continuare a basarsi sulle testimonianze raccontate dalla Russia sovietica o zarista: «Per studiare la nostra regione si devono leggere gli autori ucraini, bielorussi e georgiani, e dobbiamo impegnarci a tradurre più testi per renderli fruibili a un pubblico ampio», continua Shaipova. Oggi è impensabile leggere un testo scritto in Inghilterra che spiega la storia dell’India senza contestualizzarlo in un quadro postcoloniale, ma è un ragionamento che manca totalmente quando si tratta di studiare le ex Repubbliche sovietiche.

Per il Cremlino, la cultura fa parte dell’industria bellica. E in quanto tale, in guerra deve essere distrutta. La più grande casa editrice ucraina, “Faktor”, che ha sede a Kharkiv, è stata colpita dall’esercito russo appena una settimana fa, il 23 maggio. I morti sono stati sette, i feriti sedici. Ma l’obiettivo delle bombe non era semplicemente quello di uccidere. Il significato dell’aggressione ha radici molto più profonde, ed è l’ennesimo tentativo di eliminare ogni tipo di resistenza alla russificazione e all’omologazione culturale. Il fuoco scatenato dalle bombe ha distrutto più di cinquantamila libri, eppure gli impiegati della casa editrice non si danno per vinti: il mese prossimo a Chernivtsi aprirà una nuova filiale, e la cultura ucraina avrà una nuova opportunità di essere diffusa.

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