No, non siamo qui per parlare degli iced coffee tipo lo shakerato, il leccese, o l’espresso con ghiaccio (osceno!), anche perché ciascuno ha una propria versione di caffè estivo e tutte hanno in comune una cosa: sono fatti male. Caffè che stazionano nel frigo per giorni, in attesa che qualcuno ne chieda una tazza. Il fondo di quella bottiglia diventa nero quanto le pareti dei bidoni Tamoil, il sapore è discutibile, sempre troppo zuccherato. Ma non ci facciamo caso e ci godiamo i sorsi attorno al tavolino del bar, mentre commentiamo perché certe donne vanno in giro con il costume a due pezzi – a conferma che, oltre a non capire una mazza di caffè, siamo ancora una società misogina e pervasa dalla grassofobia.
Ma torniamo alla bevanda. Se per un iced coffee (caffè estratto a caldo e poi raffreddato) casalingo gli strumenti di preparazione sono tanti, dalla diffusa moka a quelli scoperti più di recente, come Chemex, aeropress, dripper o french press, diverso è per i cold brew, caffè fatti per essere bevuti freddi e che sempre a freddo vengono estratti (senza uso di acqua calda o bollente). In un articolo di qualche tempo fa abbiamo spiegato bene come si preparano i cold brew.
Senza entrare troppo nei tecnicismi, basta dire che i caffè estratti a freddo sono di gran lunga migliori, nel sapore e nella qualità complessiva, degli iced coffee; ma allora perché ci ostiniamo a mettere in frigo bottiglie di caffè da raffreddare? Per il tempo.
Fare un caffè freddo con la tecnica del cold brew significa investire dalle sette alle dieci ore di tempo necessarie per consentire all’acqua fredda di estrarre un’ideale componente aromatica dalla polvere di caffè attraverso un processo di macerazione (di caffè con acqua e/o ghiaccio) e successivo filtraggio.
Insomma, a meno che non siate talebani del caffè, è difficile convincervi a mettere a macerare la polvere con un giorno di anticipo. Mia nonna prepara la caffettiera la sera prima di andare a letto, e il sacrificio mi pare troppo grande per uno che non ha fatto la guerra.
In compenso, una coppia di professionisti del settore, Simone Previati e Stefano Cevenini del centro di formazione per baristi e coffee lover Full Service Training Lab, hanno pensato di sfruttare la più tradizionale macchina per caffè casalingo per mettere a punto un sistema di estrazione che non prevedesse lo sfruttamento del calore come mezzo di estrazione, ma la pressione d’aria insufflata dall’esterno. Così nasce una prima versione di Pump My Moka, una Bialetti truccata (come la Vespa Special di Cesare Cremonini) per riuscire a fare il caffè anche lontana dal fuoco e in poco tempo.
Come funziona la moka a freddo?
Di sicuro non basta una moka qualsiasi, ma una macchinetta modificata ad hoc (sullo store di Pascucci disponibile a 190 euro), integrata di una valvola a cui si collega una pompa esterna che consente di «regolare la pressione dell’acqua che attraversa il macinato, influenzando l’intensità e l’aroma del caffè», dice il comunicato stampa dell’azienda produttrice. Si può utilizzare acqua calda o fredda, con la consapevolezza che più è bassa la temperatura dell’acqua, minore è la capacità di estrarre aromi. Solitamente è il tempo a fare questo lavoro in sostituzione, mentre con Pump My Moka, neanche quello.
Si possono allora usare accorgimenti come la macinatura del caffè (meglio un macinato per espresso, quindi più fine) e dei lentissimi movimenti con la pompa per lasciare stazionare l’acqua con la polvere quanto più secondi possibili. Insomma, maggiore pazienza corrisponde a migliore risultato.
L’idea è originale, mi immagino già in spiaggia, mentre tutti pompano il materassino, io sto lì a pompare dentro la caffettiera ottenendo un caffè estratto a freddo da fare invidia alla signora con il thermos e i bicchierini di plastica avvolti in altrettanta plastica e al signore che arriva con la bottiglia della Fanta piena di caffè congelato, che si scioglierà in tempo per il dopo pranzo.
Tuttavia, sono un attaccabrighe e mi chiedo come il risultato di un caffè estratto a freddo in pochi minuti possa essere paragonabile a quello fatto in dieci ore.
In anni di piatti mangiati, libri gastronomici letti e chiacchiere varie, ho imparato che il tempo rende migliori i cibi, mica gli chef!
E in effetti la caffettiera a pompa non si sostituisce certo a un tradizionale cold brew, ma non per questo è una cattiva idea.
Come vediamo spesso, la cultura del caffè in Italia sta vivendo un processo di evoluzione che sposta lo sguardo dall’espresso e dai soliti metodi estrattivi verso nuovi modi di consumo e preparazione, che ci aprono a bere caffè dai gusti quasi esotici per noi, decisamente nuovi. Stiamo riscrivendo i codici del gusto del caffè e certi sistemi, seppur forse ancora un po’ sperimentali e piuttosto costosi, possono essere un entry level per coloro che il caffè freddo lo conoscono solo estratto a caldo e mal gestito. Da qui, per arrivare al cold brew può avere senso iniziare a parlare di estrazione a freddo, magari passando da aggeggi familiari come la moka, appunto.
Certo, serve anche maggiore conoscenza sugli ingredienti, come l’utilizzo di un caffè adeguato (le singole origini cento per cento arabica, magari particolarmente fruttate) e una maggiore consapevolezza sull’acqua da usare. Ma anche un attrezzo che potrebbe far storcere il naso ai coffee specialist può sicuramente contribuire a una presa di coscienza nuova sul caffè, a partire dal basso.
Già mi vedo questa estate con mia nonna a fare il caffè estratto a freddo, a pompare in quella caffettiera come fossimo personaggi de “La casa nella prateria” che vanno a tirare l’acqua dal pozzo.