Di recente Masterchef Italia ha festeggiato la trecentesima puntata e ha toccato un nuovo record di ascolti. È l’ennesimo segno che gli italiani non si sono ancora stufati di sentir parlare di cibo, anzi. Continuiamo a farci condizionare tutte le volte che il cibo viene trattato in tv o quando un argomento gastronomico viene esposto dai media. Tutto questo influenza le nostre scelte alimentari, che non sono poi così fisse come i tradizionalisti amano pensare.
La nostra visione di cucina si muove e cambia nel tempo, facendo scrivere sempre una nuova pagina alla voce “mangiare italiano”. Tutto questo è un bene, perché le evoluzioni e le influenze in cucina ci piacciono assai, peccato però che certe volte facciamo proprio delle scelte scarse.
Per esempio, quand’è, esattamente, che il classico piatto bianco del ristorante si è trasformato in una lastra in ardesia con una maledetta cucchiaiata di salsa (fatta male)? In che momento abbiamo accettato di usare il pomodoro Pachino fresco anche a gennaio, e il pistacchio in qualsiasi modo e a tutti i costi (su questo ci siamo già pronunciati)? Ma soprattutto, perché diavolo abbiamo tutti sviluppato una rinnovata voglia di impegnarci in cucina, replicando piatti anche complessi, ma abbiamo schifato la caffettiera in favore delle più-facili-da-usare capsule di caffè (quando va bene)?
Il novanta per cento degli adulti nel mondo consuma caffeina sotto una qualche forma. Secondo un rapporto Mediobanca dello scorso 2023, si tratta di 3,1 miliardi di tazze di caffè al giorno, di cui 95 milioni solo in Italia (e il dato è in crescita).
Con questi numeri, siamo tra i principali Paesi a consumare il maggiore quantitativo di caffè, ogni giorno. Di tutti questi caffè, buona parte deriva sempre di più dalle capsule che, a quanto pare, ammaliano per la loro comodità.
Anche la pasta alla carbonara surgelata è più comoda da preparare, ma non sembriamo ugualmente attratti all’idea. E allora che problema c’è con il caffè? Dove è finito il nostro spirito di tutela della tradizione italiana se poi ci è passata la voglia di avvitare la Bialetti ogni mattina?
Stando ai numeri, sempre secondo il report Mediobanca, la verità è che il mercato del caffè in polvere per moka rimane ancora oggi leader di mercato, con un valore di 640 milioni rispetto ai 540 di capsule e cialde. A confermare il dato c’è anche un autorevolissimo sondaggio sul mio profilo Instagram in cui, alla domanda «Come fai il caffè a casa?» il 48,5 per cento ha confermato di usare la moka, il ventotto per cento usa la macchina a cialde o capsule, il quattordici per cento preferisce l’americano, chemex o french press e solo il nove per cento usa una macchina espresso a grani o polvere.
Quindi possiamo tirare un sospiro di sollievo: c’è ancora speranza per la caffettiera, che è forse la migliore idea di caffè italiano universalmente apprezzata.
Molto del merito è di Bialetti, l’azienda che ha dato forma alla prima caffettiera, e che è stata capace di farla viaggiare fino a oggi, a novant’anni dalla sua creazione, adattandola alle esigenze contemporanee senza farle perdere il fascino che l’ha resa parte del patrimonio culturale italiano, al punto da essere inserita nelle collezioni permanenti di musei come il MoMa di New York e del Triennale Design Museum di Milano.
Con la caffettiera Bialetti non solo ha generato un nuovo modo di estrarre caffè dai chicchi macinati, ma ha creato un rito a cui tutti abbiamo preso parte: prima indirettamente, da bambini, quando mamme e zie versavano il caffè da una caffettiera in arrivo dalla piastra rovente, poi nel gabbiotto dei bidelli e infine, direttamente, come studenti universitari bisognosi di una pausa a base di caffeina, nelle colazioni confuse del sabato mattina post sbornia e dei pomeriggi tra amici dopo un pranzo della domenica.
È qui che forse si conserva l’aspetto più nobile del caffè italiano: il contesto. Non siamo famosi per la selezione della qualità – almeno quando si guarda alla maggioranza dei caffè che consumiamo –, ma al momento che costruiamo intorno alla tazzina.
Beviamo il caffè per ottenerne energia, per distrarci da un momento di noia, per concederci una pausa. Il consumo di caffè che più amo è quello a scopo sociale, in cui la frase «vediamoci per un caffè» assume sempre una specie di significato in codice per dire le cose più disparate: ti devo raccontare dei segreti/spettegoliamo/facciamo sesso.
E sono fermamente convinto che tutto questo sia merito della caffettiera, mica dei bar. Quelli sono arrivati dopo.
Da un punto di vista tecnico, la moka rimane un ottimo strumento per ottenere un buon caffè. Di gran lunga superiore ad altri sistemi tradizionali o macchine domestiche per l’espresso. L’importante è seguire poche regole che vanno a sfatare dei miti. Uno tra tutti: la moka non si lava! Abbandonate l’idea che il residuo di caffè possa migliorare quello successivo, è una stupidaggine. La parte grassa del caffè tende a bruciare e peggiorare ogni cosa, è sensato quindi utilizzare prodotti poco aggressivi e adatti per detergere la caffettiera, seguendo anche una regolare manutenzione.
Sul resto delle regole e su come preparare un caffè, qui qualche indicazione e approfondimento.
A nobilitare la caffettiera c’è anche l’aspetto ambientale. L’assenza di residui, a eccezione del fondo del caffè, e la necessità di lavarla con prodotti delicati fanno della moka uno dei metodi più sostenibili per la preparazione del caffè. Certo, a onore del vero dobbiamo sempre ricordare che il mercato del caffè, di per sé, non è proprio paladino di sostenibilità visto che il prodotto attraversa il pianeta per arrivare a noi, ma anche per questo Bialetti ha mantenuto nel tempo la volontà di usare l’alluminio per le sue caffettiere: perché materiale riciclabile e meno soggetto a usura rispetto ad altri.
Nessuno vuole dirvi con quale sistema preparare il caffè a casa, e soprattutto non sarò io a farlo visto che preparo ogni giorno due caffè diversi perché nemmeno in due riusciamo a metterci d’accordo sul sistema ideale – per me è la moka, nel caso non si fosse capito –, ma questo è solo un modo per mettere al centro della discussione la caffettiera, in un momento in cui il dibattito sul caffè italiano è finalmente vivo e sembrano accendersi diverse discussioni sulla qualità del caffè che storicamente beviamo. E, ahinoi, il quadro che ne sta emergendo è desolante.
La qualità del caffè che compriamo è scarsa, i bar non sanno fare un buon caffè, per non parlare dei ristoranti che molto spesso rovinano cene intere con una tazzina.
Ma non offendetevi, e non pensate che si voglia screditare la tradizione italiana. Certe volte i tempi sono maturi per accorgersi che le cose si possono migliorare.
Piuttosto, rimettete in discussione l’uso delle capsule a casa e tirate fuori la moka dalla dispensa: aumenterete le probabilità di bere un caffè migliore e di mantenere viva quella che forse è la vera tradizione del caffè italiano.
Fun Fact sulla Moka Bialetti
– Il termine moka deriva dal nome della città portuale di Mokha, nello Yemen, da dove partivano per l’Occidente le navi cariche di caffè.
– Sono circa due milioni le Moka Express vendute nel mondo in un anno (quaranta per cento in Italia, sessanta per cento all’estero).
– Le caffettiere Bialetti per il mondo nascono in due stabilimenti produttivi, e ci sono sei filiali commerciali in tutto tra Italia, Francia, Germania, Turchia, Giappone, Stati Uniti e Australia, per un totale di 1.026 dipendenti, di cui 668 in Italia e 358 all’estero.
– L’evoluzione dei metodi di cottura e l’espansione dei piani a induzione hanno spinto Bialetti a progettare una caffettiera adatta per questi nuovi sistemi, creando così, nel 2014, la prima caffettiera pensata per l’induzione.