C’è una nuova puntata nella lunga telenovela che vede protagoniste le concessioni demaniali delle spiagge e la relativa applicazione della Direttiva Bolkestein. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, sollecitata dal Consiglio di Stato italiano, si è recentemente espressa sul tema dei beni «non amovibili» costruiti su un’area demaniale in concessione e ne ha legittimato l’acquisizione da parte dell’ente pubblico (in questo caso un Comune) senza la necessità di riconoscere alcun indennizzo ai concessionari. L’ennesima sentenza sfavorevole per un settore che da anni paga le conseguenze del vuoto normativo nel sistema italiano.
Andiamo con ordine. La questione delle spiagge è ormai nota: l’Europa chiede all’Italia di modificare il meccanismo delle concessioni garantendo imparzialità, trasparenza e concorrenza nell’assegnazione delle aree demaniali. In altre parole: le concessioni devono passare attraverso un sistema di gare. Dal 2006 i Governi che si sono succeduti hanno rimandato il recepimento della Direttiva e questo ha portato a varie sentenze, oltre all’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dello Stato italiano.
Nel 2022 Mario Draghi ha provato a mettere mano alla questione ma il suo esecutivo è caduto prima che l’iter potesse concludersi. È però con Meloni che sembrava potesse arrivare la vera svolta, visto che per anni ha ripetuto molto chiaramente che con Fratelli d’Italia al Governo la Bolkestein non si sarebbe applicata. Stessa spiaggia, stesso mare, insomma. Certo, senza le gare sarebbero fioccati i ricorsi per il mancato rispetto della normativa europea e della sentenza della CGUE del 2016, ma Fratelli d’Italia sembrava avere un piano. Una volta a Palazzo Chigi, invece, la linea di Meloni ha deviato la propria traiettoria ed è iniziata così una fase di stallo, sbloccata dall’istituzione di un tavolo tecnico per la mappatura delle coste italiane, che in quasi un anno di lavoro ha provato a dimostrare che la risorsa spiaggia non è scarsa e che quindi la Bolkestein non è applicabile. Il tentativo è fallito e secondo la Commissione europea i risultati emersi dal tavolo tecnico sono incompleti e tengono conto di elementi parziali basati su criteri generali e non definitivi.
La melina del Governo ha portato la Commissione ad avviare una procedura d’infrazione che ha messo l’Italia con le spalle al muro e con il serio rischio di dover pagare una multa salata. Bruxelles è stata ancora una volta molto chiara: alla fine del 2024 (termine in cui scadrà l’ultima proroga stabilita dalla legge 118/2022 dell’esecutivo Draghi) si dovranno fare le gare. La vicenda sta preoccupando anche il Quirinale e Mattarella ha richiamato più volte l’esecutivo.
Il vuoto normativo di questi anni ha portato a un cortocircuito sfociato in una serie di ricorsi e così sono state le sentenze dei tribunali a iniziare a tracciare la strada da percorrere, riducendo sempre di più i margini di manovra del legislatore. È stato così nel 2016 e nel 2023, quando la Cgue ha indicato le gare come unica soluzione, e nel 2021 quando il Consiglio di Stato ha definito illegittime le proroghe delle concessioni fino al 2030.
L’ultima sentenza in ordine cronologico è arrivata, appunto, la scorsa settimana: la Corte con sede in Lussemburgo è stata chiamata a esprimersi su un contenzioso tra il Comune toscano di Rosignano Marittimo e uno stabilimento balneare gestito da quasi cento anni dalla società Siib (Società italiana imprese balneari). Nel 2007, alla scadenza di uno dei periodi di concessione, il Comune aveva acquisito i beni immobili «non amovibili» costruiti sull’area demaniale senza riconoscere alcun indennizzo all’ imprenditore che li aveva realizzati. Il ricorso presentato dalla Siib verteva sul fatto che l’art. 49 del codice della navigazione italiano, quello, appunto, relativo all’acquisizione di opere non amovibili, fosse contrario alla libertà di stabilimento e alla libertà d’impresa. La Cgue ha invece riconosciuto la legittimità dell’acquisizione da parte del Comune senza la necessità di corrispondere alcun indennizzo in quanto tutti gli operatori, nel momento in cui presentano un’offerta per ottenere una concessione, sono consapevoli della durata limitata della stessa.
Una sentenza che infligge un altro duro colpo agli imprenditori del settore ma che nel vuoto normativo degli ultimi anni non rappresenta certamente un’anomalia. I Comuni sono da tempo in grande difficoltà e si trovano a dover gestire le concessioni in scadenza senza un quadro normativo nazionale chiaro. Gli enti locali procedono in maniera eterogenea, alcuni prorogando le concessioni in essere e altri preparandosi alle gare, con il forte rischio che in entrambi i casi si inneschi una catena di contenziosi tra privati e Comuni, che riguarderanno probabilmente anche il tema degli indennizzi. Questa volta però la scadenza di fine 2024 è perentoria e il Governo non potrà più rimandare. Dovremmo quindi essere finalmente arrivati alle puntate finali di questa telenovela che va avanti da quasi vent’anni.