Immaginatevi nel bel mezzo di una foresta incontaminata, respirando aromi legnosi, avvolti dalle forme sinuose delle sequoie. Vento, rocce, onde che nascondono tronchi di legno, salsedine del Pacifico. Rigenerante, la passeggiata prosegue lungo le coste frastagliate del nord della California. Lo scultore americano J.B. Blunk (1926-2002) era abituato a questo genere di routine. È proprio qui, nei pressi di Inverness, a un’ora e mezza circa da San Francisco, che alla fine degli anni Cinquanta ha innalzato il suo angolo di pace.
Ha immaginato una sorta di caverna di Alì Babà rivestita di legno, che racchiude al suo interno sgabelli essenziali, sculture rotonde, versatili ceramiche, gioielli, bozzetti, dipinti. Una buona parte delle sue creazioni insomma. Per farlo, il pittore surrealista Gordon Onslow-Ford, suo amico e mecenate, gli aveva offerto un acro di terra. Oggi è la figlia Mariah Nielson che continua a occupare la curiosa dimora costruita a mano. Ci organizza anche visite guidate intime, su appuntamento, con l’obiettivo di dare una seconda vita al patrimonio che ha ereditato.
Nella cittadina di Pont Reyes gestisce una piccola galleria dove riedita alcune ceramiche e gioielli disegnati dal padre. Per chi fosse curioso di saperne di più ma non ha in programma di recarsi in California a breve termine, la Fondation d’entreprise Martell ha organizzato Continuum, la prima retrospettiva in Europa dedicata all’artista discepolo di Isamu Noguchi, aperta fino al 29 dicembre a Cognac, a nord di Bordeaux.
Originario del Kansas, laureato in belle arti a UCLA, per tutta la vita Blunk si è concentrato sulle connessioni tra natura e paesaggio. Una visione olistica che deve anche a un soggiorno in Giappone successivo alla guerra di Corea durante il quale ha avuto modo di confrontarsi con grandi maestri ceramisti. Scolpiti in legno, ceramica o pietra, accostati a una pratica regolare della pittura, del disegno e della gioielleria, i suoi lavori formano una collezione unica che riconcilia i principi del femminile e del maschile, del sacro e del profano.
«J.B. aveva uno spirito aperto e un atteggiamento disinvolto nel rivolgersi alle persone, sia che si trattasse di intavolare una conversazione, di proporre di organizzare una mostra, o di scrivere una lettera sincera», ricorda Mariah Nielson confermando ciò che percepiamo osservando i molteplici manufatti. Suo padre era un umanista, pioniere nella sua precoce sensibilità ecologica. Portare la casa, un’opera d’arte totale immersa nella natura selvaggia, negli spazi post-industriali della fondazione, è stata una sfida: «Abbiamo scelto di esporre una selezione di oggetti con cui conviviamo, simbolo della nostra quotidianità», precisa l’architetta di formazione, ex bibliotecaria, che da anni si dedica esclusivamente al J.B. Blunk Estate.
«Blunk ha spezzato le barriere tra le pratiche, senza preoccuparsi dei confini che le delimitano. Tutto ciò che ha realizzato, l’ha fatto con le sue mani, pensando a dettagli quasi triviali, come i sanitari nei bagni o gli interruttori per la luce», prosegue entusiasta Anne-Claire Duprat, direttrice della Fondation d’entreprise Martell. «Mariah ci ha aiutati a ricostruire la storia di un personaggio affascinante. Quella di un artista a tutto tondo, radicato nel suo territorio, che lavorava a contatto con l’ambiente che lo circondava. Alcuni aspetti della sua ricerca sono in stretta relazione con il progetto della fondazione».
Grazie all’attenta intuizione di Anne-Claire Duprat, la sua opera è oggi condivisa con il pubblico europeo, in una mostra curata da Anne Dressen (Musée d’Art Moderne de Paris) che vanta un allestimento d’eccezione, firmato Martino Gamper. Il designer amico di Mariah Nielson ha ridisposto parte degli interni della casa d’artista californiana nei locali luminosi del piano terra della fondazione, ricreando un’estetica rustica, organica. «La trasposizione della casa è un esempio di come la creazione sia quotidiana, la questione artigianale del design è abbordata in modo semplice. Oggi arte e creazione non sono solo un oggetto su un piedistallo inaccessibile», aggiunge soddisfatta la storica dell’arte che, di ritorno da una missione di quattro anni negli Stati Uniti, ha assunto la direzione della fondazione nel 2022 con l’obiettivo di traghettarla verso nuovi orizzonti, all’insegna del design rigenerativo.
«Presentando le opere – indiscutibilmente contemporanee – di un artista come Blunk che celebrano la forza della natura e della vita al crocevia delle discipline, questa retrospettiva si unisce alla nostra ambizione di incoraggiare approcci artistici inediti, attenti alla mutazione ecologica dei territori e dei nostri stili di vita», conferma passeggiando tra i corridoi mentre racconta che le iniziative promosse spaziano dalla ricerca alla sperimentazione, oltre che alle sensibilizzazione e all’apprendimento. Creata nel 2017 nel sito storico di Maison Martell, questa piattaforma poliedrica organizza esposizioni tematiche e sperimentali che contribuiscono alla transizione ecologica, permettendo ad artisti e designer emergenti di implementare le loro ricerche.
Qui, design e arte sono leve essenziali per una nuova generazione di creatori sensibili alle questioni ecologiche e sociali. Le loro idee resilienti prendono forma in laboratori e spazi espositivi al secondo piano dell’edificio industriale in stile Bauhaus di cinquemila metri quadrati del 1929 che fino al 2005 accoglieva le linee di imbottigliamento di una delle più antiche aziende produttrici di cognac.
Nel corso dell’ultima residenza Olivier Peyricot e Lola Carrel, Valentin Patis e Mathilde Pellé sono partiti da diverse competenze artigianali regionali. Le loro sperimentazioni spaziano dalla viticultura rigenerativa in Champagne all’estrapolazione di porcellana dai cocci delle ostriche nei pressi di Bordeaux, fino alla lavorazione delle corde e della lana, caratteristica del Limousin. «Volevamo avere una visione panoramica di ciò che ci circonda per stimolare nuovi dialoghi tra designer e visitatori, confrontandoli con le problematiche locali», dettaglia Anne-Claire Duprat, la cui missione è innegabile: creare nuovi strumenti di conoscenza.
«Finora ci siamo concentrati su elementi specifici del territorio circostante, ma ci sono altri materiali di scarto che si possono recuperare in regioni più lontane. Gli aspetti da esplorare per far comunicare i savoir-faire in via d’estinzione restano molti», conclude la direttrice, il cui approccio, effettivamente, sposa la filosofia visionaria di J.B. Blunk. Oggi più che mai.