Le immagini delle alluvioni nel Sud del Brasile ad aprile e maggio sono ancora vivide. Nella regione del Rio Grande do Sul sono morte più di centocinquanta persone, e cinquecentomila residenti sono stati costretti ad abbandonare le loro abitazioni. Le strade sono state distrutte, i ponti sono crollati, l’aeroporto è stato chiuso. Non tutti i cittadini hanno evacuato la zona al primo allarme, e si sono presto ritrovati senza acqua, elettricità e servizi essenziali. Oltre ai danni alle strutture e allo sfollamento degli abitanti, detti gauchos, le recenti alluvioni stanno provocando anche il formarsi di numerose malattie trasmesse dall’acqua sporca, come la leptospirosi o l’epatite A.
Dal 29 aprile, primo giorno di forti piogge e conseguenti alluvioni, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha visitato la regione colpita per tre volte. Il governo federale avrebbe stanziato 1,8 miliardi di Real – la valuta del Brasile – per permettere al Rio Grande do Sul di risollevarsi. Un altro miliardo dovrebbe arrivare dalla banca per lo sviluppo dei Brics, il raggruppamento delle economie mondiali emergenti. Secondo le autorità, ci vorranno mesi o addirittura anni prima che la situazione ritorni alla normalità. La regione è già soggetta a frequenti alluvioni, come testimonia il sito Lupa, ma per i residenti un fenomeno di tale portata non si è mai verificato prima d’ora.
Tuttavia, molti abitanti si sono lamentati per la lentezza degli aiuti e per il mancato investimento in infrastrutture che avrebbero potuto mitigare i danni. «Gran parte delle inondazioni vengono dai fiumi ingrossati, che sono esondati – spiega Antonella Mori, a capo del programma “America Latina” dell’Ispi». Il fatto, prosegue l’esperta, «è stato aggravato dalla tanta cementificazione, e dalla mancanza di bacini per convogliare le acque. Tutto questo è anche una responsabilità delle amministrazioni locali, che in uno stato federale come quello brasiliano hanno dei compiti importanti. L’attuale presidente Lula è attento ai cambiamenti climatici, ma Bolsonaro era un negazionista: questo ha influenzato anche le scelte sulla spesa dei fondi limitati».
Alla già complicata situazione si aggiunge un altro aspetto, quello della disinformazione. Molti articoli, video e post hanno criticato la gestione della crisi da parte del presidente Lula, attestando ritardi e blocchi negli aiuti economici e sanitari diretti verso le zone colpite, ma queste informazioni si sono poi rivelate false. «Occorre considerare che la situazione politica brasiliana è molto polarizzata – continua la professoressa Mori –. L’ex presidente Bolsonaro ha ancora una base di appoggio molto forte e ricordando anche tutte le fake news diffuse durante la campagna elettorale, non mi stupisce che possano esserci state notizie false sull’incapacità del governo di rispondere ai danni».
Non solo disinformazione e cambiamento climatico: anche la deforestazione ha giocato un ruolo centrale in quella che viene definita la più grande alluvione brasiliana. Secondo gli esperti di MapBiomas.it, la perdita di vegetazione avrebbe aumentato l’intensità delle inondazioni: le foreste assicurano infatti che l’acqua impregni il suolo, in modo tale da evitare un eccessivo accumulo in superficie. Nel 2022, la deforestazione in Brasile sarebbe aumentata del ventidue per cento.
Gran parte della perdita della vegetazione è dovuta alla coltivazione di riso, eucalipto e soia, prodotti largamente esportati dal Paese. Tuttavia, l’attenzione alla deforestazione è uno dei punti cardine delle politiche climatiche dell’attuale presidente, mentre durante la presidenza di Bolsonaro la perdita di vegetazione era aumentata del sessanta per cento. A gennaio Lula si è prefissato l’obiettivo di deforestazione zero dell’Amazzonia entro il 2030.
Questa politica green contrasta però con la continua produzione di petrolio. Infatti, il Brasile ha intenzione di prendere parte all’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. Secondo l’Anp, l’Agenzia nazionale brasiliana di petrolio, gas naturale e biocarburanti, la produzione di petrolio in Brasile avrebbe raggiunto i livelli più alti proprio nel 2023. L’ottantasette per cento della produzione proviene da Petrobras, la più grande azienda petrolifera del Paese, che è per metà detenuta dallo Stato. L’impresa professa un’attenzione particolare all’ambiente, attraverso una prima analisi degli impatti ambientali prima di ogni operazione di trivellamento.
Recentemente Lula ha licenziato il Ceo di Petrobras, Jean Paul Prates, a causa di incomprensioni nel pagamento di alcuni dividendi. La nuova amministratrice, Magda Chambriard, è stata incaricata da Lula allo scopo di incentivare il lavoro delle raffinerie e dell’estrazione. Uno dei punti di partenza sarebbe l’esplorazione alla ricerca di petrolio del Rio delle Amazzoni. A maggio di quest’anno il permesso per ulteriori accertamenti sul progetto è stato negato dall’Ibama, l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali rinnovabili, perché l’ente non considerava la valutazione dei rischi da parte di Petrobras adeguata.
Tuttavia, l’azienda ha presentato ricorso, e ora gran parte della decisione sarà a carico delle comunità indigene circostanti il Rio delle Amazzoni. Secondo Nature, le politiche climatiche brasiliane sarebbero contrastate dal fatto che Lula, esponente di sinistra, debba continuamente confrontarsi con il Congresso brasiliano, a stampo conservativo. Chiamato a rispondere sulla posizione controversa tra deforestazione e investimenti in combustibili fossili, Lula ha detto a Nature: «Tutti vogliono risolvere il problema dei combustibili fossili, ma sfortunatamente l’umanità non può ancora farne a meno».
«Lula sta cercando di recuperare i passi indietro sulla deforestazione dei quattro anni di Bolsonaro – chiarisce la professoressa Mori –. Ricordiamo poi che il ministro dell’Ambiente è Marina Silva, che è cresciuta in Amazzonia. D’altra parte, è anche vero che il presidente Lula ha come obiettivo quello di reinserire il Brasile come un Paese dalla base industriale importante, perché poi è quella che crea lavoro e valore aggiunto. Mi aspetto che la continua produzione di petrolio verrà fatta in modo attento. Ad esempio, Lula potrà ridurre le perforazioni o le ricerche nell’Amazzonia e aumentare quelle nella zona fuori nel mare, per fare in modo che la produzione di idrocarburi avvenga nel modo più sostenibile possibile. Non dimentichiamo che il Brasile ha già una produzione di energia elettrica molto rinnovabile». Un dato sottolineato dal Climate Change Performance Index, che nel 2024 assegna al Brasile un rating elevato in energie rinnovabili. Inoltre, con l’adozione del Nationally determined contribution, il Paese si è posto l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
La posizione assunta dal Brasile nei confronti del cambiamento climatico sarà determinante non solo per la salvaguardia degli ecosistemi nazionali, ma anche per la tenuta delle promesse fatte da Lula a livello nazionale, considerando che nel 2025 la Cop30 sarà ospitata a Belém, in Amazzonia.
«Oltre all’intenzione di ospitare Cop30, il Brasile ha la presidenza del G20, e Lula ha sempre avuto una grandissima attenzione anche al ruolo internazionale – conclude la professoressa Mori –. In ultimo si dovrà trovare il modo di far fronte a questi eventi climatici sempre più impattanti, e c’è una convergenza molto importante sul fatto che bisogna gestirli. Il cambio di rotta con l’amministrazione precedente è visibile anche nei rapporti con gli indigeni. Bolsonaro li giudicava dei primitivi, un ostacolo allo sviluppo. Lula tende a considerare e a proteggere queste comunità, che vuol dire anche proteggere l’Amazzonia».