Anticorpi democraticiIl desiderio illiberale di Meloni e il dovere dell’opposizione di fare l’opposizione

L’appello delle personalità liberal-democratiche a rinunciare a una contrapposizione frontale con la maggioranza sull’elezione diretta del premier è pericoloso

Lapresse

Un folto gruppo di studiosi, accademici, giornalisti ed esponenti della società civile, tutti di cultura liberaldemocratica e fra di loro alcuni fra i più autorevoli, Angelo Panebianco e Sabino Cassese, hanno lanciato ieri un appello alle opposizioni perché rinuncino a una contrapposizione frontale con la maggioranza e cerchino di avviare «un dialogo capace di condurre verso soluzioni migliori e condivisibili».

L’appello è del tutto condivisibile nel merito ma a mio parere profondamente ambiguo sotto il profilo politico.

Basterebbe la lettura dell’intervento di Peppino Calderisi, massimo esperto delle questioni costituzionali in materia di istituzioni e sistemi elettorali, per capire che la strada scelta da Giorgia Meloni (non dalla maggioranza, che semplicemente si è chinata alla sua volontà) è stata finora quella di una forzatura politica e costituzionale. Si dovrebbe prevedere, scrive Calderisi, il ballottaggio per evitare che una minoranza conquisti tutto il potere (ma il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha cominciato a parlare di un quorum al quaranta per cento, per ora solo per i Comuni, ma probabilmente guardando più avanti); di conseguenza si dovrà procedere all’abolizione del bicameralismo paritario (altrimenti, visto il principio dell’autonomia delle Camere, il ballottaggio con una sola scheda e un solo voto per la scelta del premier non sarebbe possibile); si deve rivedere anche il meccanismo relativo alla circoscrizione estera (altrimenti i cinque milioni di elettori esteri determinerebbero nel nuovo sistema proporzionale il risultato). Vedremo se la maggioranza sarà disponibile in futuro a discuterne, certo non lo è stata fino a oggi.

Il punto non sta però in queste modifiche semplicemente ragionevoli. Meloni vuole una cosa e soltanto una cosa: l’elezione diretta del premier e allo stesso tempo la sottomissione del Parlamento all’esecutivo, attraverso un meccanismo elettorale che lega in una sola scheda il candidato premier e la coalizione che lo propone. Di fatto sarebbe il premier ad eleggere la sua maggioranza. I parlamentari perderebbero ogni legame con gli elettori, e quindi quell’autonomia consacrata del dettato costituzionale all’art. 67 secondo cui «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Ne conseguirebbe, senza l’ostacolo del principale contrappeso che la dottrina costituzionale liberale abbia opposto all’eventuale abuso di potere da parte dell’esecutivo, l’asservimento di ogni altro potere istituzionale o statale.

«A qualsiasi costo», ha sottolineato Meloni più volte riferendosi all’elezione diretta del premier. Meloni, va ricordato e enfatizzato, non vuole il premierato, che è la forma prevalente in tutte le democrazie liberali non presidenzialiste (dove il presidente assorbe i poteri del premier). Come ha ricordato anche di recente il presidente della Corte Costituzionale, Augusto Antonio Barbera, il premierato attribuisce al primo ministro decisivi poteri: da un lato controlla l’agenda del Parlamento richiedendo il voto a data certa di provvedimenti governativi urgenti, dall’altra può porre il veto ad emendamenti parlamentari che aumentino la spesa o diminuiscano l’entrata. Inoltre ha il potere di scegliere e revocare i ministri e gli altri componenti del governo e di sciogliere il Parlamento con o senza condizioni. Questo è il premierato e su questo le opposizioni dovrebbero convergere. Se questo dicesse l’appello lo firmerei subito.

Ma Meloni non è interessata a questo. Meloni vuole l’elezione diretta del premier. Sono due cose diverse e incompatibili nel quadro del costituzionalismo liberale. Se ne rendono conto i firmatari di questo appello? Lo spero, ma non ne sono del tutto sicuro. Altrimenti farebbero loro per primi la distinzione e chiederebbero non all’opposizione ma alla maggioranza «un dialogo capace di condurre verso soluzioni migliori e condivisibili».

Senza questa rinuncia all’elezione diretta nella forma pretesa da Meloni è velleitario chiedere all’opposizione la sottomissione e di facilitarle il passaggio all’acquisizione dei pieni poteri e al processo che porterebbe alla creazione di una “democrazia illiberale”.

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