Fiel amigo bacalhau Come baccalà o come stoccafisso, il merluzzo ha conquistato il mondo

Un pesce, due metodi di conservazione diversi e una storia plurisecolare che lo vede al centro di traffici marittimi, incidenti di percorso e persino guerre navali

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Baccalà e stoccafisso per molti sono, nel linguaggio comune, tutt’uno. Invece, benché sempre di merluzzo si tratti, c’è una fondamentale differenza di base che li rende protagonisti di due storie diverse: il baccalà è merluzzo salato, lo stoccafisso è merluzzo essiccato all’aria. Entrambe le lavorazioni sono tipiche dei Paesi del Nord Europa, cioè dell’area di pesca del merluzzo, ed entrambe sono diffuse e amate in Italia.

A complicare le cose, ci sono un’ulteriore tipo di lavorazione del baccalà che prevede prima la salatura e poi l’essiccazione, e l’uso improprio dei termini: in Veneto, e dintorni, è lo stoccafisso a essere usato in alcune ricette tipiche. Che però sono note, ad esempio, come baccalà mantecato o baccalà alla vicentina.

Del resto, anche l’origine del nome contribuisce a confondere le idee. Baccalà, sia che derivi dal fiammingo kabeljaw, dal portoghese bacalhao o dallo spagnolo bacalao, che a loro volta derivano dal latino baculus, ha sempre lo stesso significato: bastone. Stoccafisso pare che derivi dal norvegese stokkfisk o dall’olandese antico stocvisch, ovvero «pesce a bastone» o «pesce seccato sui bastoni».

Decisamente diversa è la lavorazione: lo stoccafisso si produce unicamente in Norvegia, principalmente sulle isole Lofoten, solo nei mesi invernali, cioè quando i merluzzi arrivano nei mari limitrofi per deporre le uova e le condizioni climatiche sono favorevoli per l’essiccazione.

Lofoten, foto di Einar Storsul su Unsplash

Una volta pescati e puliti, i filetti di merluzzo sono sistemati su apposite rastrelliere a essiccare per circa tre mesi, con l’aiuto del sole e del vento. A questo segue un ulteriore periodo di riposo, una volta a destinazione, per un totale di un anno.

Si tratta di un processo lungo e complesso, che influisce anche sul suo maggior costo al dettaglio.

Il baccalà, invece, può essere prodotto tutto l’anno e ovunque: si coprono i filetti di merluzzo di sale e si lasciano riposare per tre settimane. Nel caso, si procede poi anche con l’essicazione per una settimana.

Il primogenito, tra i due, è lo stoccafisso e la sua messa a punto si deve ai vichinghi. Popolo avventuroso di navigatori, esploratori e pirati, trovarono nel merluzzo un cibo nutriente, facile e abbondante da pescare nei loro mari, semplice e leggero da portarsi dietro ovunque, una volta essiccato, senza il rischio che andasse a male.

A insidiarne il primato, furono altri formidabili marinai, i pescatori baschi in cerca di balene che dal Golfo di Guascogna arrivarono fino all’Atlantico settentrionale, e trovarono banchi di merluzzi a perdita d’occhio. Per conservarli a lungo, in zone molto meno fredde e assai più umide, adottarono il metodo di conservazione che usavano per le balene: il sale.

Era appena nato il baccalà che, all’occorrenza, a bordo poteva servire da barometro. Appeso a una fune, all’aperto, quando il sale di cui era intriso cominciava a sciogliersi, indicava che il maltempo era in arrivo. A innamorarsene, fin dal quindicesimo secolo, furono soprattutto altri navigatori transoceanici, i portoghesi, che si crearono la loro riserva di pesca a Terranova e del «fiel amigo bacalhau» fecero uno dei caposaldi dei loro commerci e della loro alimentazione, fino a diventarne, nel dopoguerra, il maggior produttore. E anche se nel 1974, con la caduta della dittatura, finì anche la pesca a Terranova, l’amore continua e in Portogallo ci sono, dicono, mille maniere diverse di cucinare il baccalà.

Al contrario, fu un mercante ebreo portoghese, si racconta, a donare al Regno Unito l’intramontabile fish&chips copiando l’idea durante una sosta al porto di Genova, dove tutto il pesce che non veniva venduto al mercato, insieme agli avanzi, veniva infarinato e fritto in grandi padelle e venduto a poco prezzo in coni di carta marroni. Nel Nord, in mancanza di alici, sardine, sgombri, si usò il versatile merluzzo. In seguito, si aggiunsero le patatine fritte, nate, forse, in Francia durante la rivoluzione.

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In Italia il baccalà, che però era ed è stoccafisso delle Lofoten, è arrivato grazie alle avventure, e alle disavventure, del nobile veneziano Pietro Querini che il 25 aprile 1431 salpò da Candia (Creta) verso le Fiandre con un carico di ottocento barili di Malvasia, spezie, cotone, cera e altre mercanzie ma, superato Capo Finisterre, incappò in una formidabile serie di tempeste che affondarono la nave e lo costrinsero a vagare con i suoi marinai su una lancia fino al fortunoso sbarco sull’isola di Sandøy, vicino a Røst.

Una disgrazia che finì per diventare una fortuna: durante il loro lungo soggiorno forzato prima di riuscire a rimpatriare, Querini e i suoi undici marinai superstiti impararono dai pescatori l’arte della conservazione del merluzzo. Il 15 maggio1432, i veneziani ripartirono infine portando con loro sessanta stoccafissi essiccati. I primi di una lunga serie.

I viaggi del merluzzo continuano oltreoceano dove Cape Cod, nel Massachusetts, ne perpetua il nome e racconta la pescosità di quei primi approdi dei Pilgrim Fathers, i Padri Pellegrini, protestanti in fuga dall’Inghilterra, che vi sbarcarono con la Mayflower nel 1620. Le fortune di quei commerci sono testimoniate ancora oggi dal sacred cod, il grande merluzzo in legno appeso nella public gallery della Massachusetts House of Representatives. Dal New England il merluzzo sotto sale arrivava ovunque, fino ai Caraibi, scambiato con prodotti coloniali e anche con schiavi per le piantagioni. Che spesso venivano nutriti proprio con gli scarti di lavorazione.

Il merluzzo salato è stato per molto tempo l’alimento più a basso costo e meno deperibile a disposizione di tutti i lavoratori, che non potevano permettersi l’acquisto della carne o di pesce fresco. Tutta la demografia europea, per secoli, fino alla Russia, è stata tenuta in piedi dal suo consumo.

E la storia continua: risale agli anni Settanta del Novecento, prima della definizione del limite delle acque territoriali, l’ultimo episodio della Þorskastríðin, la guerra del merluzzo tra islandesi e inglesi per i diritti di pesca.

In cucina, tanto lo stoccafisso come il baccalà devono stare in ammollo prima di essere cucinati, per una settimana il primo, per due-tre giorni il secondo. Congelarlo dopo l’ammollo permette di averne sempre a disposizione la quantità necessaria sul momento.

Nelle ricette tipiche si trovano merluzzo fresco, baccalà e stoccafisso in ogni versione: fritti, in umido, alla griglia, bolliti, in insalata, cotti al forno o lavorati per ottenere ottime polpette e croccanti frittelle. Del resto, anche la salute ne giova, perché il merluzzo, soprattutto quello fresco, è consigliato da un punto di vista dietetico, perché è digeribile, ricco di proteine, povero di grassi, ed è una fonte di Omega 3.

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