Indovina chi Sai qual è la differenza tra merluzzo, stoccafisso e baccalà?

Quante volte avete avuto il dubbio? Molto probabilmente più del dovuto, perché questi termini, che fanno riferimento a due preparazioni ben diverse, spesso in Italia vengono confusi tra di loro, anche da chi ne conosce benissimo il significato

Varietà di pesce
Partiamo dal pesce. In entrambi i casi, si tratta del merluzzo: generalmente si utilizza la varietà nordico grigio (Gadus macrocephalus) per il baccalà e il nordico bianco (Gadus morhua) per lo stoccafisso. Il primo presenta un corpo allungato, lanceolato, e una livrea, il colore della “pelle”, variabile dal marrone al verdastro grigio sul dorso, che è cosparso di macchie brune, mentre diventa più sfumato e bianco sul ventre. Le dimensioni massime che può raggiungere sono dell’ordine di 120 cm di lunghezza e 22 kg di peso. Il secondo ha anch’esso un corpo slanciato, con una livrea che passa dal brunastro al verdastro sul dorso, cosparso di macchie grigiastre, verdastre o brune, talvolta biancastre, mentre diventa più sfumato sui fianchi e biancastro nel ventre. Può raggiungere un peso massimo di 96 kg e i 2 m di lunghezza, anche se più spesso è dell’ordine del metro. Tanto per intenderci, questa è la specie dalla quale si ricava l’olio di fegato di merluzzo.

Differenze nel processo di produzione e nella provenienza
Il baccalà si ottiene per decapitazione, eviscerazione, salagione al termine, almeno il 18% in peso del pesce deve essere costituito da sale) e successiva eventuale essiccazione; lo stoccafisso, invece, per decapitazione, eviscerazione ed essiccazione. Fondamentale differenza è il paese di provenienza, che determina anche il periodo dell’anno in cui questi pesci conservati possono essere prodotti.
Nel caso dello stoccafisso, l’area è limitata alla Norvegia, principalmente Isole Lofoten, e la produzione avviene da febbraio a giugno, quando i merluzzi nordici bianchi giungono in questi mari per deporre le uova. Negli stessi mesi, si registrano condizioni ideali per l’essiccazione, che avviene su rastrelliere ad hoc, con la sola ventilazione naturale e la luce solare. Al termine di questo periodo di essiccazione, il pesce può essere venduto come tale o ammollato, scelta che non ne preclude il successivo congelamento. Nel caso lo si comprasse secco, è fondamentale ammollarlo previa cottura per almeno 7-10 giorni con acqua molto fredda, se necessario con l’aiuto di ghiaccio, cambiando l’acqua ogni giorno.

Quando si parla di baccalà, la produzione spazia dalla Danimarca all’Islanda, passando per Norvegia, Canada e Isole Fær Øer. Se in Italia, da DM n° 19105 del 22 settembre 2017 ci si può riferire al baccalà solo quando la varietà ittica è il Gadus macrocephalus o merluzzo nordico grigio, nel resto del mondo il termine indica il pesce conservato per salagione, come testimoniato dall’inglese salted cod. Non richiedendo particolari condizioni di produzione, visto che la sua zona di produzione e le sue condizioni climatiche non sono rispettivamente limitate alla Norvegia e ai mesi invernali, il baccalà viene prodotto tutto l’anno. In questo caso l’ammollo deve durare almeno 2-3 giorni, sempre con acqua cambiata di giorno in giorno, processo che serve a dissalare la carne e a renderla consona alle preparazioni.

Come sono arrivati in Italia?
Se la globalizzazione ci ha abituati a prendere confidenza con cibi e bevande che hanno poco a che fare con la nostra tradizione e area geografica, come possono pesci conservati di paesi nordici essere entrati a far parte della nostra storia già da diversi secoli?
Nel caso dello stoccafisso, l’affascinante storia da romanzo è diventata protagonista di libri e di un documentario. Si narra che il mercante e navigatore italianosenatore della Repubblica di Venezia, Pietro Querini salpò Il 25 aprile 1431 da Candia, in Creta, verso le Fiandre a bordo della caracca Querina con oltre 60 uomini. Il 17 dicembre, dopo una tempestosa burrasca, l’equipaggio si divise. Una parte (18 uomini) prese una piccola scialuppa e la restante una scialuppa più grande. Se non si hanno dati storici sulla prima, si sa invece che 16 uomini della seconda il 14 gennaio raggiunsero l’isola deserta di Sandøy, nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, nei pressi di Røst. Nei quattro mesi che Querini e i suoi compagni trascorsero in quest’area della Norvegia, adesso leader della produzione di stoccafisso, scoprirono quest’affascinante tecnica già conosciuta ai tempi di Carlo Magno (IX secolo) che lo stesso mercante illustrò a Venezia, dove giunse il 12 ottobre 1432. La diffusione nell’Italia centro-meridionale, dove il pesce è tuttora protagonista di numerose ricette, è avvenuta nella metà del secolo successivo (1561) quando lo stoccafisso fu importato dal porto di Napoli e quindi in Calabria, nei paesi dell’entroterra Mammola e Cittanova, dove il pesce veniva ammollato con acqua dell’Aspromonte. In Sicilia, le testimonianze storiche dicono che lo stesso ingrediente di numerose ricette, qui chiamato pesce stocco o stocco, l’abbiano portato i Normanni, “eredi dei Vichinghi”, già nell’XI secolo. In seguito al terremoto avvenuto nello Stretto di Messina del 1908, navi norvegesi cariche di stoccafisso raggiunsero la zona, per portare provviste agli abitanti di Messina e Reggio Calabria. Per quanto riguarda infine la Liguria, dove il merluzzo essiccato è inserito fra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) regionali, qui lo stesso arrivò nel XVII secolo, grazie agli scambi commerciali con i Portoghesi.

Sul baccalà, invece, le testimonianze storiche sono ben più incerte. Sembra che l’origine della tecnica di salagione del merluzzo si debba attribuire ai pescatori baschi che, seguendo i branchi di balene arrivati al Mare del Nord, riuscirono a pescare enormi banchi di merluzzo verso l’isola canadese di Terranova. Qui, decisero poi di conservare i pesci appena pescati con una tecnica di conservazione che già adottavano per la carne di balena: la salagione. Quando e come avvenne lo scambio interculturale tra la penisola iberica e lo stato italiano non ci è dato saperlo, ma il fatto che l’alimento in questione fosse conservabile per lunghi periodi ne facilitò indubbiamente il commercio e la diffusione oltre il confine nazionale.

In Italia si cucina il baccalà o lo stoccafisso?
Se, come accennavamo all’inizio, c’è ancora molta confusione sul termine, possiamo constatare che il merluzzo conservato è protagonista in tutta Italia, in entrambe le sue vesti.

Alcuni esempi di ricette tradizionali con il baccalà sono:
Baccalà alla livornese (Toscana): preparazione di tranci di baccalà ammollato (dissalato) infarinati e fritti in olio d’oliva, quindi immersi in un soffritto già preparato con cipolle affettate, pomodori pelati, aglio, da cuocere successivamente con patate tagliate a cubetti
Baccalà in pastella (Lazio): componente del fritto misto alla romana
Baccalà “arracanato” (Molise): con mollica di pane, noci, uva passa, olive nere, pomodorini e aglio
Baccalà alla lucana (Basilicata): con peperoni rossi dolci essiccati e fritti, i peperoni cruschi 
Baccalà alla cannaruta (Campania): infarinato e fritto, ripassato in padella con cipolla, noci, pinoli, uvetta e sfumato con il vino bianco
Baccalà alla cosentina (Calabria): con patate, olive nere, peperoni, salsa di pomodoro, alloro, prezzemolo, sale e pepe
Baccalà “alla messinese” (Sicilia): con pomodoro, capperi e olive verdi

Anche all’estero il baccalà è oggetto di ricette nazionali, arricchite di ingredienti locali. Le più conosciute oltreconfine sono il Lutefisk norvegese, ricetta che prevede che il baccalà o stoccafisso oltre a essere ammollato in acqua venga marinato nella liscivia – una soluzione alcalina che gli fa assumere una consistenza gelatinosa – il Bacalhau à Brás portoghese, con uovo sbattuto, patate e cipolla fritta, prezzemolo e olive nere, e il Bacalao al pil-pil spagnolo, che prevede una caratteristica cottura in pentola di terracotta con olio di olivaaglio e peperoncino.

Spostandoci sul merluzzo essiccato, invece, alcuni esempi di ricette tradizionali con lo stoccafisso sono:
Brandacujun (Liguria): mantecato con patate, tipico della Riviera di Ponente
Baccalà alla vicentina (Veneto): pestato, messo a bagno per tre giorni in acqua, perché si ammorbidisca, poi pulito, quindi tagliato in grossi pezzi, infarinato e cotto a lungo a fuoco lentissimo in un tegame di coccio con abbondante cipolla, ricoperto di latte e olio di oliva in uguali quantità, avendo cura di non rovinare il pesce nel mescolarlo
Stoccafisso all’anconitana (Marche): cotto a lungo con patate in pezzi grossi e una grande abbondanza di vino e olio di frantoio
Stocco alla mammolese (Calabria): cotto in un tegame con pelati, patate a spicchi, olive e peperoni
Stocco alla ghiotta (Sicilia): cotto in tegame con pomodoro, patate, capperi e olive
All’estero, oltre al Ludefisk norvegese, lo stoccafisso è protagonista dello stocafi, un piatto tipico del Principato di Monaco preparato con stoccafisso bagnato, salsa di pomodoro aromatizzata con aglio ed erbe e olive nere.

Dove mangiarlo? Esiste un ristorante a tema
Abbiamo visto che le ricette per assaggiarlo sono innumerevoli ma dove è consigliato mangiarlo? Se è indubbio che, prima di approcciare alle ricette contemporanee nei ristoranti di alta cucina e nei bistrot, vi consigliamo di apprezzare il baccalà e lo stoccafisso nelle trattorie e nei luoghi che come i bacari o bacaréti perpetuano la storia fatta di piatti, molto meno scontato è sapere che esiste un ristorante a tema, situato a Torino. Poco al di là di Piazza Vittorio, nel quartiere Vanchiglia, da settembre 2017 si trova Bacalhau Osteria – dal termine portoghese di baccalà – un luogo dove il merluzzo essiccato e salato viene esaltato in tutte le portate possibili, dolce compreso. Si ha la possibilità di assaggiarlo in antipasti, primi piatti, secondi e appunto dessert sempre in chiavi nuove, sempre in varianti altrettanto interessanti. Lo chef di origine vicentina Fabio Montagna, che ha alle spalle una carriera ormai trentennale, è qui protagonista con i suoi piatti a base di Gadus morhua di provenienza islandese. Perché questa scelta? “Si tratta della qualità più apprezzata e pregiata al mondo. Il pesce viene pescato secondo tecniche certificate sulla costa non toccata dalla corrente del Golfo, dove l’acqua è più pura, e viene salato in loco. Risulta più grande e magro rispetto al norvegese e al danese, ma anche al “cugino” Gadus macrocephalus, il quale può raggiungere il 40% di grasso in peso rispetto al 4% dell’islandese”. Il gusto è più delicato e la sua versatilità permette allo chef di liberare la propria creatività in tutte le portate. Se all’inizio il ristorante proponeva esclusivamente ricette regionali italiane, con il tempo si è aperto alla cucina portoghese – molto apprezzata dai clienti – ai piatti di fantasia dello chef, ai crudi, per i quali la varietà islandese si presta benissimo, e ai tagli alternativi come la lingua, solo su richiesta. Nella fattispecie, sia il baccalà che lo stoccafisso qui assaggiabili provengono dall’isola nordeuropea.

 

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La differenza sta nel fatto che il primo viene salato in loco e dissalato in Italia, per un periodo di due settimane, mentre il secondo viene pescato in Islanda, essiccato in Norvegia. Anche in questo caso, una volta giunto nel nostro Paese, subisce un passaggio preliminare – la reidratazione in acqua per almeno un mese – prima di andare in cucina. Il format è nato dopo due anni di studio e rappresenta il desiderio portato a termine “di avviare un’attività totalmente diversa da quella della ristorazione classica, che si lega alla mia infanzia veneta, periodo nel quale sono cresciuto con le ricette di mia nonna”. Due fra i piatti più emblematici del ristorante sono lo Stoccafisso mantecato con patate – piatto che ricorda il brandacujun nel risultato, ma dal quale differisce per la consistenza più cremosa e per l’impiego di una quantità di pesce pari al 95% del piatto – e la Cheesecake con mango, ricetta nata dopo un lavoro di ricerca che ha impiegato 3 mesi e che è scaturito dalla domanda innocente di un cliente , che una sera chiese incredulo se al ristorante era possibile assaggiare anche un dolce a base di baccalà.

 

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Il ristorante dispone anche di un dehors aperto da aprile a ottobre, situato nell’ex fermata del tram 3 – Fermata Bacalhau – contesto ideale per degustare l’aperitivo portoghese, a base di vino lusitano e petiscos, l’equivalente dei cicchetti nello stato iberico. Lo chef Fabio Montagna diffonde la cultura di baccalà e stoccafisso anche al di fuori del ristorante – è stato, tra gli altri, ospite alla Fiera del Peperone di Carmagnola – e ha in programma di ospitare a Torino, per un mese, uno chef portoghese che farà formazione ai propri ragazzi e che sarà protagonista per due sere a settimana in un menu a tinte rossoverdi. Il viaggio inverso, anch’esso previsto per un mese, doveva essere già effettuato ad aprile 2020, ma poi è stato annullato per una causa di forza maggiore, che non ha però in alcun modo fermato l’entusiasmo di Fabio Montagna, che ha in previsione anche l’inaugurazione di un luogo, sempre a Torino, pensato e finalizzato per la preparazione dei pasti a domicilio, attività che già svolge consegnando nelle case i piatti che ha in carta già cotti e alcune scelte più semplici.

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