Il background palatale dello chef è condiviso tra Piemonte e Sardegna, ma il Baratie non è un ristorante piemontese e neppure sardo. In realtà, non è nemmeno un ristorante per com’è inteso nella sua accezione più canonica: la cucina di Andrea Cicu – spesso concepita al servizio del cocktail bar – è curata, ma elude volutamente la struttura rigida di un menu tradizionale, tanto nell’intenzione quanto nella forma.
Tapas, cicchetti, pinchos, mezze porzioni… Comunque vogliate chiamarli, al Baratie li troverete sotto il cappello di “cicurie”: un neologismo coniato da Giacomo Sacchetti (co-founder e bartender) per battezzare le sfiziose creazioni del suo compagno di avventure. Hanno la dignità gustativa di una portata vera e propria, ma si presentano sottoforma di piattini da stuzzicare durante quegli aperitivi che si trasformano in cena con la naturalezza che si addice ai posti del cuore, quelli in cui incontri amici vecchi e nuovi senza bisogno di un appuntamento.
Il bancone centrale è l’anima del locale. I tavoli – alti e bassi, interni ed esterni – sono i suoi satelliti. L’apparente caos esteriore nasconde quella strana sensazione di comfort che regna sovrana nelle famiglie numerose, tradotta con sapienza nelle cicurie: piacione ma non banali, sono perfette da condividere, rubare dal piatto del vicino o gustare egoisticamente in un sol boccone.
A chi si lascia confondere dalle origini sassaresi dello chef e si affaccia al Baratie alla ricerca di un maialetto rivisitato alla milanese, Cicu risponde con un bao vegetariano che di tanto in tanto si trasforma in hot dog. Perché assecondare gli stereotipi dimenticando il valore prettamente territoriale di alcune pietanze non è nelle sue corde.
E poi ci sono quei patrimoni dell’umanità, senza terra, senza tempo e senza orario: cosa hanno in comune cervello, sarde, baccalà, fagiolini e zucchine? Tuffati nell’olio bollente hanno il potere di risolvere quasi ogni brutta giornata. Il fritto misto alla Baratie stuzzica l’appetito come un cuoppo in via dei Tribunali. Specialmente quando viene pucciato in quelle maionesi citriche venute al mondo per sgrassare ogni morso e regalare la fugace illusione di un aperitivo light.
Il pericolosissimo “effetto-ciliegia” si ripropone con il bignè di fegatini, che apre la carta delle cicurie dal giorno zero del Baratie. Sarà perché costa meno di un (buon) caffè, sarà perché il quinto quarto fa tendenza, oppure perché è goloso nel senso più sincero del termine, questo “pot-pourri di ferro e campagna” crea dipendenza. Complici il caramello salato, la granella di mandorle e l’inutilità delle posate. Mangiare con le mani – anche stando comodamente seduti a tavola – amplifica il godimento su più livelli sensoriali: sporcarsi le dita spezzando i bocconi con pollice e indice o asciugando le lacrime di sugo versate nel piatto, non è solo divertente ma anche liberatorio.
Lo stesso effetto catartico si può attribuire al cibo di strada, che ha l’ulteriore vantaggio di essere facilmente accessibile e condivisibile, creando un senso di estemporanea appartenenza. Per questo motivo, in occasione della terza edizione del Festival di Gastronomika, abbiamo scelto l’obiettivo dello street food per catturare la fotografia di una giovanissima comunità enogastronomica in evoluzione. E per lo stesso motivo abbiamo chiamato Andrea Cicu per rappresentare la sua visione di cucina spontanea e godereccia insieme ad altri dieci chef under 40, che si sono uniti per celebrare la prima giornata della manifestazione con una cena dal gusto un po’ ribelle.
Il moddizzosu – tipico pane sardo a base di semola e patate – farcito con il diaframma e condito con senape, fondo bruno e cipollotto, non è solo una delle cicurie più apprezzate ma anche un esempio riuscito di contaminazione culturale, incarnando perfettamente lo spirito che caratterizza il Festival sin dai suoi esordi.