Prima di scrivere la serie televisiva “The Newsroom” e vincere l’Oscar con “The social network”, lo sceneggiatore Aaron Sorkin si era fatto amare da generazioni di appassionati di politica per aver scritto la serie “The West Wing”, un dramma in sette stagioni che ha abbracciato la fine della presidenza di Bill Clinton e gran parte di quella di George W. Bush, descrivendo un’America romanzata con un’amministrazione di tendenza liberale gestita dall’eroico presidente immaginario Josiah Bartlet, un democratico schietto, professore di economia e vincitore del premio Nobel, uomo di fede che riesce a risolvere la questione israelo-palestinese negoziando a Camp David nel 2005, che impiega centoquarantamila soldati nel fittizio Stato del golfo Qumar.
Quello di West Wing è un universo alternativo in cui una discussione appassionata e un argomento retorico sono sufficienti a convincere i Repubblicani a «fare la cosa giusta». Definita come una favola sul bene contro il male mascherata da una rappresentazione realistica dei meccanismi interni di Washington D.C., “The West Wing” ha venduto molte fantasie diverse, una delle quali era che i politici agissero sempre in buona fede. L’America del 2024 ci ha insegnato che non è più così. Ma anche quella del 2016 e soprattutto del 6 gennaio 2021.
«In America non abbiamo governi ombra o governi di opposizione in attesa di subentro. Quello che abbiamo invece è “The West Wing”, la serie della Nbc sullo staff della Casa Bianca», scriveva diciotto anni fa il New Yorker sul rapporto quasi ossessivo della politica americana nei confronti della serie di Sorkin, tanto da arrivare a coniare l’espressione «West Wing fantasy» per descrivere l’atteggiamento idealista e spesso ben distante dalla realtà assunto da molti politici alla Casa Bianca.
L’immagine idilliaca della politica americana è stata poi picconata da altre due serie televisive cult: “Veep” di Armando Iannucci e la più conosciuta in Europa “House of Cards”. Se l’ironica ingenuità dei protagonisti di “The West Wing” era coerente in quell’universo del sogno americano e della missione messianica e civilizzatrice che gli Stati Uniti credevano di avere nei confronti del resto del mondo, gli anni Duemila aprono nuovi scenari, e all’orizzonte non resta che la natura hobbesiana dell’homo homini lupus di Frank Underwood di “House of Cards”, che addirittura nella prima puntata uccide il cane dei vicini senza mostrare alcuna pietà o rimorso. Così come rimane impressa l’interpretazione satirica e grottesca di Julia Louis-Dreyfus nei panni di Selina Meyer, la vicepresidente democratica di “Veep” che, tra un evento benefico e l’altro, passa tutto il giorno nell’inutile tentativo di orchestrare manovre politiche alquanto inutili. Tutte e due danno una rappresentazione cinica della politica americana.
La giornalista Elizabeth Spiers, in un editoriale sul New York Times, parla di «Terminal West Wing brain», sindrome che sembra aver colpito l’ultima generazione di Democrats. Un universo certamente attraente per le buone intenzioni dei politici che ha però ben poco della fantasia irreale e discostata dal mondo in cui viviamo. Il mondo è cambiato, ma i discorsi e le strategie politiche dei democratici in queste elezioni presidenziali non sembrano aver assecondato la transizione.
Se già durante l’amministrazione Obama si era parlato di «West Wing fantasy», la fantasia intellettuale del perfetto presidente, burocrate patriottico dalle nobili vedute ossessionato dalla propria capacità di fare bene e di fare del bene, impersonificato dal Batler sorkiniano sembra aver raggiunto l’apice con Biden. Peccato che «questa non sia un’elezione con un repubblicano squilibrato ma ben intenzionato. È una guerra totale con un megalomane illiberale che distruggerà felicemente la democrazia americana se questo gli farà guadagnare un grammo di potere in più e lo terrà fuori di prigione», speiga Spiers nel suo articolo.
Secondo la giornalista americana questo è il motivo per cui i Democratici non riescono a sviluppare una strategia efficace nell’attuale clima politico polarizzato. In risposta al Progetto 2025, il piano dei Repubblicani per una nuova America, sempre più simile a un’autocrazia, Biden offre per lo più un discorso politico secco, arido. Razionale sì, ma inefficace contro le assurdità dell’avversario. Sui diritti riproduttivi, il presidente non parla di diritti, di libertà ma si limita a descrivere asetticamente qualche grafico, a riportare qualche dato. Al contrario, Trump fa affermazioni assolutamente false ma convincenti, del tipo: «Toglieranno la vita a un bambino all’ottavo mese, al nono mese e anche dopo la nascita», descrivendo il dibattito sui diritti riproduttivi come una guerra santa in cui la civiltà è in bilico. E le risposte buoniste dei Democrats non bastano a dimostrarne la vuotezza. Sono intelligenti ma non si applicano, verrebbe da dire.
«Che Biden resti o se ne vada, questa è un’opportunità per spiegare agli elettori che i Democratici capiscono che il mondo in cui viviamo non è tanto “The West Wing” quanto “Veep”, dove ogni cosa di terribile che può accadere accade (scenario ancora attuale) – e per dimostrare ancor di più che sono in grado di adattarsi a esso», aggiunge Spiers. Se «The West Wing» si basava sulla convinzione che gli Stati Uniti fossero una forza intrinsecamente nobile per il bene in contrapposizione a nazioni che cercavano di accumulare spietatamente il potere ciò non regge più in un ambiente mediaticamente esposto ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, in cui le conseguenze delle nostre azioni vengono trasmesse affinché il mondo le veda. «Gli elettori sono adulti. Vogliono vedere il loro Paese in modo positivo, ma vogliono anche un riconoscimento di ciò che possono vedere con i propri occhi, vogliono leader reattivi», aggiunge Spiers. La politica idealista non è più sufficiente.
«I Democratici di oggi sono stati colti di sorpresa dalla volontà di Trump di ribaltare la democrazia per guadagno personale, dalla corrosione delle norme etiche e dalle decisioni della Corte Suprema nelle ultime settimane. E sono stati colti di sorpresa da un dibattito così disastroso da andare in tilt. Devono smettere di pensare troppo e devono ora impegnarsi spietatamente in un piano. Quale opzione perseguono – il signor Biden, il vicepresidente Kamala Harris o qualcun altro – conta meno del fatto che lo facciano», conclude Spiers.
Nella seconda stagione di The West Wing, a salvare il presidente Bartlet dallo scivolone previsto dai sondaggi nella sua ricandidatura alle presidenziali, dopo che non ha rivelato di soffrire di una condizione medica (scenario piuttosto attuale), è il buon animo degli elettori e il fair play dell’avversario repubblicano. Negli Stati Uniti del 2024 lo scenario sembra però ben diverso.