Che belli gli strumenti a corda. Ce ne sono di tantissimi tipi, forme e provenienze. A seconda della struttura, del materiale, del tipo di corde e di come queste vengono sollecitate, percosse, pizzicate o sfregate, il suono cambia completamente e potremmo riconoscerne la voce a occhi chiusi. Certo, su una viola o un clavicembalo potremmo vacillare, magari li identificano meglio un esperto o un appassionato, ma quando sentiamo il suono di un pianoforte non abbiamo dubbi e lo chiamiamo con il suo nome.
Ma non era un articolo sul rum? Ora ci arriviamo.
Avete di fronte un’orchestra, splendida, piena di strumenti a corde. Fate finta però di poterli chiamare soltanto con un nome generico, “cordofoni”. Avete appena riconosciuto un violino, ma non possedete la parola violino, soltanto “cordofono” e di colpo vi ritrovate a ingegnarvi con le perifrasi più creative, tipo “cordofono piccolo da mento a corde sfregate” o “cordofono panciuto gigante a corde pizzicate”. Svegliatevi, era un incubo, anzi no, siete già svegli ed è quello che succede nel mondo del rum. Un’orchestra di “distillati di canna da zucchero” per i quali la materia prima è sempre la stessa, ma di varietà diverse e impiegata in maniera diversa, fresca o cotta, solo che potete chiamarli soltanto in un modo: rum. E le varianti francese e spagnola, rhum e ron, sono solo una consolazione appena sufficiente.
Per districarsi in questo groviglio può essere utile l’aiuto di Leonardo Pinto e Marco Graziano, tra i maggiori esperti e formatori italiani nel campo del “distillato di canna da zucchero”, che spiegano in cosa consiste la diversità e come orientarsi per conoscere e riconoscere i rum.
Il rum è un nome plurale
«Rum è un termine universalmente utilizzato per indicare un distillato che proviene in qualche modo dalla canna da zucchero, che sia puro succo, melassa – come per oltre il novanta per cento della produzione mondiale – sciroppo o un blend di questi tre prodotti di partenza», la definizione la fornisce Marco Graziano, che sul rum forma bartender e professionisti. «Inoltre rum è un termine che abbraccia tutto il mondo, dai Caraibi si arriva in Italia ma anche in Giappone, India, Thailandia e non solo. Con la diversificazione in spagnolo o francese a seconda della cultura di origine».
«È un po’ come se raggruppassimo cognac, grappa e distillato d’uva sotto la stessa nomenclatura, semplicemente perché tutti e tre vengono fatti a partire dall’uva», dice Leonardo Pinto, che lavora nel campo della formazione e delle normative legate al distillato, oltre a organizzare ogni anno ShowRum (in programma a Bologna i prossimi 6 e 7 ottobre). «Sappiamo bene che le tre differenti materie prime – vino, vinacce e fermentato d’uva – per quanto derivino dallo stesso frutto, danno tre risultati aromatici diversi e la stessa cosa vale nel mondo del rum», solo che in questo caso il termine di riferimento è lo stesso.
A livello di terminologia in realtà qualche eccezione c’è, come il grogue di Capo Verde – probabilmente il primo distillato di succo di canna della storia – e la cachaça brasiliana, anch’essa distillata da succo di canna fresco. «La cachaça poi è un macro-contenitore che abbraccia tutto il Brasile» dice Graziano. «Ce ne sono di molto diverse a seconda della regione di provenienza (un po’ come succede per la nostra grappa, ndr). In termini di volumi di produzione, tra i grandi distillati nazionali è ritenuto secondo solo ai giganti d’oriente, baijiu e shochu», solo che sul nostro mercato ha iniziato ad affacciarsi soltanto da poco e quindi è meno conosciuta.
Tante variabili dalla fermentazione all’invecchiamento
Facendo un passo indietro, proviamo a sintetizzare il modo in cui si produce il distillato. «Il rum si fa utilizzando il prodotto di una pianta della famiglia delle graminacee che è la canna da zucchero» spiega Graziano. «Una volta matura, ha la peculiarità di sviluppare saccarosio, un’ottima sostanza fermentescibile. Grazie all’azione dei lieviti, gli zuccheri fermentano, producendo un liquido alcolico, che con l’ausilio di un alambicco viene distillato».
In mezzo a questo procedimento, un bivio importante è rappresentato dalla materia prima. «Della canna si può utilizzare il puro succo, oppure fare ciò che storicamente è sempre stato fatto: bollire più volte sottovuoto il succo in modo che il saccarosio cristallizzi, estrarre lo zucchero di canna e ottenere una materia di scarto chiamata melassa, che però ha ancora tutte le caratteristiche necessarie per fermentare ed essere distillata».
La melassa presenta necessariamente delle differenze, così come le presenta lo sciroppo, ottenuto scaldando il succo fresco, in modo da far evaporare l’acqua e concentrare gli zuccheri. «Una materia prima cotta – dice Pinto – dà risvolti aromatici diversi rispetto a una materia prima fresca. Hai presente un pomodoro? Dagli un morso, poi cuocilo e dagli un altro morso. È sempre un pomodoro, ma hai applicato calore e il gusto è cambiato. Allo stesso modo, producendo rum da succo fresco, sciroppo o melassa si ottengono prodotti, tutti potenzialmente meravigliosi, ma semplicemente diversi». Un po’ come un cognac è diverso da una grappa, per capirsi.
Rispetto al succo, melassa e sciroppo hanno anche un vantaggio importante, sono materie prime meno deperibili e più facili da stoccare e trasportare. Così, non è detto che poi vengano distillate in loco, ma possono anche essere vendute, spedite e distillate altrove. Ne sanno qualcosa i distillatori italiani che, non potendo procurarsi succo fresco a chilometro zero, producono ottimi rum da melasse o da sciroppi di altri Paesi, spesso caraibici.
Le differenze tra i rum poi non finiscono qui. Il processo di fermentazione è un altro spartiacque importante e, in seguito, c’è il metodo di distillazione. Di base la distillazione può essere continua o discontinua e a questi metodi corrispondono due diverse macro-famiglie di alambicchi – le approfondiremo con un articolo dedicato. All’interno di ciascuna famiglia, gli alambicchi possono essere fatti in tanti modi diversi e dare, secondo le scelte dei distillatori, risultati molto diversi.
Dopo la distillazione, si può decidere di far invecchiare un rum e anche in questa fase le variabili si moltiplicano. Il risultato che avremo nel bicchiere sarà infatti estremamente diverso sia in base alla tipologia di legno scelta, che al clima in cui il rum viene fatto maturare. Così, nel caso qualcuno stesse pensando di cavarsela con le sole materie prime.
La normativa europea
Come fa dunque un consumatore a capire cosa c’è nella bottiglia? La legge europea fornisce la propria definizione. «Il rum è la bevanda spiritosa ottenuta esclusivamente mediante distillazione del prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica di melasse o sciroppi provenienti dalla fabbricazione dello zucchero di canna, oppure di succo della canna da zucchero, distillata a meno di 96 % vol. (qui si parla della gradazione a cui il distillato esce dall’alambicco, poi viene diluito, ndr), cosicché il prodotto della distillazione presenti in modo percettibile le caratteristiche organolettiche specifiche del rum». Il titolo alcolometrico minimo è fissato a 37,5 % vol., non è permessa l’aggiunta di alcol di altra origine né di aromi, mentre è consentito aggiungere caramello come colorante e zucchero fino a un massimo di venti grammi per litro.
A questo devono adeguarsi tutti i prodotti che vogliono riportare la scritta «rum» in etichetta. «La normativa europea è piuttosto lasca, perché è rivolta soprattutto all’import e non alla produzione, non si tratta di un disciplinare. In sostanza definisce tutto ciò che può essere chiamato rum sul mercato europeo» spiega Leonardo Pinto e aggiunge: «I singoli Stati membri che hanno una tradizione di produzione, come il Portogallo con Madera o la Francia con la Martinica, si sono dati le proprie regolamentazioni che vengono riconosciute dalla normativa europea». Il testo stabilisce infatti che «Il termine “agricolo” possa essere utilizzato solo nel caso di un’indicazione geografica di un dipartimento francese d’oltremare o della regione autonoma di Madera». Ecco perché quando si parla di un rum da puro succo proveniente da altri Paesi sarebbe corretto non chiamarlo «agricolo», cosa che a volte colloquialmente si fa per semplificazione.
Ciò che la normativa europea non precisa, a differenza di quanto fa invece per il whisky o whiskey, sono gli anni minimi di maturazione che deve avere un rum per essere definito «invecchiato» (nel caso del whisky/whiskey sono almeno tre). Viene specificato invece il modo in cui l’età del distillato dev’essere riportata in etichetta: «Il periodo di invecchiamento o l’età possono essere menzionati nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura di una bevanda spiritosa solo se si riferiscono al più giovane dei componenti alcolici di detta bevanda». Così, se un rum è frutto del blend di più annate e in questo blend il distillato più giovane ha invecchiato per dieci anni, si scriverà dieci anni anche se è presente una piccola percentuale di distillato invecchiato venti anni. Inoltre, per i distillati invecchiati con metodo solera – simile al modo in cui invecchiamo l’aceto balsamico – il testo stabilisce la formula per calcolare l’età media del distillato finale.
Come orientarsi per conoscere il rum
Gli stessi produttori sono ben consapevoli delle difficoltà incontrate dai consumatori nell’identificare le caratteristiche di un rum e in molti Paesi si stanno muovendo per cercare di creare dei disciplinari, che rendano il prodotto locale più facilmente distinguibile tra le tante etichette sul mercato.
«Una buona idea di approccio per avvicinarsi al mondo del rum può essere proprio quella di esplorarlo Paese per Paese» consiglia Leonardo Pinto. «Sceglierne uno e cercare di documentarsi, assaggiandone i distillati, così da capire anche se quel tipo di prodotto corrisponde ai nostri gusti». Nello specifico, si potrebbe partire dai Paesi che hanno già una normativa nazionale. «La cachaça ha una sua legge ben definita riguardo la materia prima, le fermentazioni e il mondo dell’invecchiamento. Una cachaça invecchiata – spiega Graziano – deve riportare in etichetta anche la tipologia di legno utilizzato. Riguardo il controllo sugli invecchiamenti poi, il faro è la Martinica, che con la sua Aoc fornisce informazioni chiare in etichetta. Dal canto suo, Madera ha un disciplinare molto performante, che nasce sulle basi del famoso vino locale».
Anche il ron cubano segue una propria normativa nazionale, quella della Dop Cuba. Giamaica e Venezuela hanno le proprie Indicazioni geografiche che indicano delle linee guida nella produzione di rum. Anche se alcune Ig non sono ancora state formalmente riconosciute dall’Unione Europea, sono comunque valide a livello locale.
Non sarà una classificazione come dalla viola al fortepiano e dal mandolino al sitar, ma per lo meno le indicazioni geografiche permettono di capire meglio come e dove collocare quello che sta dietro un’etichetta.