La pista dello Stade de France su cui si svolgerà buona parte delle competizioni di atletica leggera è stata presentata dal comitato organizzatore di Parigi come un piccolo capolavoro dell’innovazione. È composta da un particolare granulare ottenuto da gusci di molluschi tritati e da materiali provenienti da plastica riciclata, che promettono ottime prestazioni. Sul tracciato color lavanda, ideato dallo storico produttore Mondo, il 6 agosto andrà in scena la batteria dei 1500 metri femminili. Tra le protagoniste ci sarà anche Nikki Hiltz, americana non-binaria che si identifica con i pronomi they/them.
La ventinovenne mezzofondista ha trionfato ai trials americani con un tempo record di tre minuti, cinquantacinque secondi e trentatré centesimi, conquistandosi un posto nella selezione statunitense ai Giochi Olimpici. La gara del 6 agosto arriverà dopo una settimana di dibattito sugli atleti transgender nello sport, in particolare sulle atlete trans che gareggiano nelle categorie femminili, dopo il ritiro della pugile Angela Carini dall’incontro con l’algerina Imane Khelif, atleta con disordini dello sviluppo sessuale (dsd), da giorni al centro della polemica per la sua partecipazione ai Giochi Olimpici. In tanti hanno difeso Carini e della competizione «ad armi pari», identificando, senza alcun fondamento, la sfidante algerina come transgender e accusandola di avere un eccessivo vantaggio fisico sull’italiana.
Non è questo il caso di Nikki Hiltz, nata a Santa Cruz, California, ma cresciuta nella città di Aptos, Hiltz ha conquistato il titolo Ncaa (competizioni del college statunitense) sui 1500 nel 2017 e nel 2018. Diventata professionista, nel 2019 ha partecipato ai Mondiali di Doha, disputando la finale e piazzandosi al dodicesimo posto. All’epoca, Hiltz non aveva ancora manifestato apertamente la sua identità.
L’attenzione del mondo dell’atletica, e poi dei media internazionali, si è concentrata sulla sua storia solo nel 2021, quando, in occasione della Giornata internazionale della visibilità transgender, l’atleta ha fatto coming out come persona trans e non-binaria sul suo profilo Instagram. «Non mi identifico con il genere che mi è stato assegnato alla nascita – ha scritto Nikki – il termine che uso per descriverlo correttamente è non-binario. E il miglior aggettivo per esprimerlo fluid». L’atleta ha poi aggiunto: «Raccontare tutto questo è tanto emozionante quanto difficile, ma sarò sempre convinta che vulnerabilità e percettibilità siano essenziali per generare inclusione e cambiamento sociale».
Da allora Hiltz è diventata un simbolo della comunità Lgbtq+, prestando più volte il suo volto a una serie di iniziative volte all’inclusione. Per citarne una, a marzo 2020, durante il lockdown per la pandemia da Covid-19, ha dato vita, insieme alla compagna Emma Gee, al progetto Pride 5k, una gara da correre inizialmente da remoto ma poi svoltasi in presenza a Flagstaff, in Arizona. Scopo dell’evento era raccogliere fondi a favore di The Trevor project, un’organizzazione statunitense non a scopo di lucro fondata con l’obiettivo di garantire assistenza ai giovani Lgbtq+. La quarta edizione del Pride 5k, che si terrà il prossimo 12 ottobre, devolverà i fondi alla no profit Point Of Pride che fornisce aiuti finanziari alle persone trans che necessitano di cure mediche.
La vera svolta nella carriera sportiva di Nikki Hiltz è arrivata con la qualificazione a Budapest 2023, diventando la prima atleta gender fluid degli Stati Uniti a prendere parte ai Mondiali di atletica. Seppur gender fluid, a Parigi potrà continuare a gareggiare nella categoria femminile. La Federazione mondiale di atletica le ha infatti concesso di poter gareggiare perché non fa parte della lista di atlete dsd. Nata biologicamente donna, da sempre corre con le donne, e sicuramente correrà anche per quelle che non hanno avuto lo stesso privilegio. «Come persona che ha praticato sport femminili per tutta la vita, penso che abbiamo bisogno di essere protette», ha affermato Hiltz, «ma sicuramente non dalle donne trans». Il suo è un caso all’apparenza meno controverso rispetto a quello di altre colleghe, ma la cui rilevanza politica e sociale nel cammino verso uno sport più inclusivo ha una portata storica.
Che si tratti di atlete che hanno completato un processo di transizione o che presentano disordini dello sviluppo sessuale, la loro ammissione alle competizioni femminili è una questione complessa su cui le federazioni e i comitati mondiali da anni faticano ad allinearsi. Nonostante il Comitato olimpico non abbia stabilito criteri di valutazione universali, sono diverse le federazioni che hanno scelto la via dell’esclusione delle atlete con caratteristiche fisiche tipicamente maschili, come la World Aquatics e la World Athletics.